Inferno
di lorenzo merlo
C’è uno spettro di realtà che ci convince della sua supremazia e oggettività. Ma non è che il riflesso effimero di una fonte artificiale di luce cosparsa sul mondo. Se la politica del mercato non ha più le doti per dedicarsi agli uomini, gli uomini possono ora liberarsi dal conosciuto e dare il meglio e il segreto di sé.
Le critiche alla politica svenduta ai mercanti, il suo ruolo di portavoce e zerbino che, in un mondo democratico, basterebbero alla rivoluzione, non solo non cambiano nulla, ma dimostrano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, la portata dell’onda che ha già investito e stravolto la relazione analogica che ogni uomo aveva con il mondo. Ciò implica la negazione dell’ordine naturale. È un’analisi che non tutti hanno il tempo di elaborare. Un tempo lucifericamente ridotto dall’imposizione della dimensione digitale.
L’onda avanza, travolge tutto, tranne i pochi surfisti che la stanno cavalcando e l’hanno pazientemente messa in moto, sospinta, alimentata. La politica, analogicamente intesa, è svanita, disciolta nell’individualismo di chi doveva pretenderla e di chi doveva praticarla. Reliquia senza valore e corpo delle macerie che coprono la terra.
Quella massa di energia che sta sopraffacendo il mondo umanistico ha una matrice razionalista. La stessa che ci ha fatto credere che la scienza fosse la verità, che tutto ciò che essa non definiva, catalogava, misurava non solo fosse contorno, ma soprattutto fosse risibile, non avesse la dignità per essere ascoltato, per fare a pieno titolo parte delle politiche, dei pensieri e dei valori indispensabili per realizzare e condurre una vita a misura d’uomo, l’unica capace di spargere benessere.
Una matrice cartesiana, che ha ridotto la vita a due dimensioni e che ci ha fatto credere ad un progresso lineare, infinito. In cui trovavamo la dimostrazione vivente della sua inequivocabile attendibilità. Quella che senza clangore – come si sarebbe immaginato – ha imposto alla politica le soluzioni tecniche; ha tolto l’etica e ha messo la scienza, ha eliminato la natura e impiantato il diritto. Ha abbandonato la generazione in estinzione e si sta prendendo cura dei piccoli, affinché a breve siano buoni esecutori di logiche che crederanno le sole possibili. Non è chiaro a molti che la natura divisoria della scienza, il suo gene oggettificante e definente non è che l’astuta espressione del male. Scambiata dagli uomini come verità, si afferma in noi e noi seguitiamo a propugnarla.
Ma la matrice razionalista è un’egregora che ci tiene lontani dalla verità della vita. Che ci impone la logica della forma e della quantità. Che ci fa correre ad erigere qualunque torre di babele si ritiene possa soddisfare desideri e autostima, che ci rende ciechi su quanto siamo noi stessi a produrci dolore e malattia. Un humus mentale dal quale possiamo emanciparci per poter, al contrario, realizzare serenità e salute.
L’onda razionalista non risparmia nulla. La foga digitalizzante che porta in sé travolge tutto, prioritariamente i pensieri. La sua idolatria, insieme a quella nei confronti della tecnologia, è una conversione richiesta al fine di eludere la tassa esiziale emessa dal potere. La sua velocità è tale che nulla è concesso oltre all’apparenza e al consumo. Ogni approfondimento lascia il tempo che trova, come in una lotta senza pari.
Non concede neppure aggregazioni tra pari posizioni critiche, ognuna delle quali è presa in un modo misto di angoscia, depressione, rabbia, indignazione, stupore, incredulità, idee violente, attesa, speranza che l’onda sia solo un sogno, un incubo e che in quanto tale, nonostante l’incontenibile emozione con la quale ci scuote fino in fondo, fino all’ultimo mattone di identità e sicurezza, alla fine passerà. Come se alla fine ci svegliassimo, ricordandolo con terrore per poi dimenticarlo ed esorcizzarlo. Per poi, ritornati in noi, con nuova consapevolezza e relativo potere che prima non sapevamo di avere, scoprire quali siano i valori effimeri, quali gli essenziali e, nel frastuono assordante dell’onda progressista, distinguere chiaramente le sirene che ci avevano sottratto a noi stessi.
Ma il vero sogno, più segreto e nascosto, è un altro. La sua apparente veridicità sta in una sola parola: identificazione. Qualunque oggetto d’attenzione con il quale ci identifichiamo da un lato comporta la nostra massima partecipazione alla sua difesa e dall’altro, proprio per questo, rende di fatto l’oggetto superiore agli altri. È quello che accade con l’io. È a causa di questo sogno che il termine risvegliato acquisisce senso.
Finché ci identifichiamo con il nome, la professione, il ruolo, i sentimenti che ci attraversano, non possiamo fare altro che muoverci nel buio di quanto crediamo in sostituzione di quanto siamo. Attribuendoci il bene, non possiamo che perpetrare il male. Esso attraversa le persone come la tensione un cavo di rame, ma colpevolizzarle e, di conseguenza, autoreferenzialmente assolverci è l’arguto gioco luciferino.
I cristiani lo chiamano inferno.