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EMIGRANTI

di Slawomir Mrozek

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con Gianni Colini Baldeschi e Daniele Scattina

regia di Daniele Scattina

musiche di Gianni Colini Baldeschi

Teatro di Villa Lazzaroni

17 e 18 marzo ore 21

 

Sarà in scena il 17 e 18 marzo al Teatro di Villa Lazzaroni lo spettacolo EMIGRANTI di Slawomir Mrozek, con Gianni Colini Baldeschi e Daniele Scattina, regia di Daniele Scattina, musiche di Gianni Colini Baldeschi.

Lo straniero in terra non propria non è altro che l’uomo stesso, viaggiatore, l’Ulisse di ogni epoca e nazione.

In una città straniera due emigranti sono costretti a trascorrere la loro vita nella squallida e desolata stanza del sottoscala dove convivono. Non viene definita la città né lo Stato di appartenenza perché è una storia dedicata a tutti gli Emigranti che, lontani dalla propria terra di origine, cercano riscatto. Emigranti affronta temi molto forti con una vena di umorismo e sa rendere anche le situazioni più drammatiche più leggere e ironiche. I due protagonisti della storia lasciano la loro terra per motivi diversi: uno fugge verso qualcosa e l’altro fugge da qualcosa. Fin da subito si capisce che i due personaggi sono agli antipodi per estrazione sociale, culturale, speranze e stile di vita. L’uno incarna la figura dell’ironico intellettuale socialista, di quelli che rimarcano la propria superiorità rispetto alla massa incolta e ignorante, personificata dal coprotagonista operaio.

Qualsiasi avvenimento quotidiano, come la passeggiata pomeridiana, il lavoro, il cibo, le feste, diventa per i due motivo di confronto, discussione e scambio di idee quasi a voler marcare ancora di più la diversa provenienza sociale dei protagonisti. Due mondi che normalmente non si sarebbero mai incontrati vengono così accostati dalla necessità e dalla condizione di emigrante. La libertà, la politica, l’uguaglianza, sono i temi che risuonano in tutto il racconto. L’intera opera si svolge in un sottoscala serrato, senza finestre, dove i rumori dei piani superiori e del mondo esterno, che si muove e vive, vengono amplificati e trasmessi attraverso i tubi di scarico, le condutture dell’acqua, i tubi dell’aerazione. I protagonisti si sentono come dei microbi all’interno del ventre, dei topi in gabbia, degli animali intrappolati dai tempi, dalla società, dalla crisi e dall’utopia di ciò che sarà, ma non avverrà mai. Due personaggi contrapposti, differenti in pensieri e gesti, che nel corso dell’opera si riconoscono involontariamente amici, pronti ad aiutarsi e a confortarsi quando il mondo al di fuori del loro “rifugio” li isola lasciandoli nella loro sporcizia a mangiare cibo per cani.

Il linguaggio è asciutto e severo, differente tra i due personaggi, da una parte la capacità retorica dell’uno e la mancanza di conoscenza della lingua del paese ospitante dell’altro.

La scena si trasforma in una sorta di arena dove il rapporto carnefice/vittima si ribalta in continuazione. Lo spettacolo trasmette il dramma che vive ogni emigrante, quel dramma che annienta l’uomo, lo rende animale da lavoro e gli toglie perfino la capacità di pensare.

Uno spettacolo “di ieri” tragicamente attuale anche in questa nostra società. Uno spettacolo senza ambientazione poiché ogni Paese è casa di emigranti.

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