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Il ruolo della comunità internazionale riguardo a un Iran libero e pacifico – Parte prima

 

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Il senatore Robert Torricelli, già membro del Senato degli Stati Uniti per il New Jersey, che ha lavorato con la Resistenza iraniana per più di trent’anni, ha scritto un saggio per il libro “Iran Democratic Revolution”, pubblicato dal Comitato internazionale “In Search of Justice” (ISJ). Di seguito la prima parte del saggio del senatore Torricelli.

Il ruolo della comunità internazionale

La rivolta del popolo iraniano, scoppiata il 16 settembre 2022, ha portato ancora una volta la crisi iraniana fra le più importanti notizie a livello internazionale. Ragazze e donne hanno sfidato il sistema dominante, mostrando un coraggio senza pari. Nel giro di poche ore, le proteste contro l’omicidio di una giovane donna si sono trasformate in una rivolta contro l’intero regime, diffondendosi in tutto il Paese.

Il mondo sta affrontando nuove realtà in Iran, che accentuano l’imperativo di modificare la politica internazionale nei suoi confronti. Ciò che è necessario è una revisione approfondita. Il tempo per tale cambiamento è ora, non fra un anno, sei mesi, o anche un mese. Il cambiamento è atteso da tempo.

La frase di William Shakespeare “ciò che è passato è prologo” può essere istruttiva qui. Quando il presidente Jimmy Carter si rivolse allo scià a Teheran il 31 dicembre 1977, dicendo: “l’Iran, grazie alla grande leadership dello scià, è un’isola di stabilità in una delle aree più travagliate del mondo”, non poteva nemmeno immaginare che esattamente un anno dopo, nel gennaio 1979, lo scià sarebbe stato costretto a fuggire dal Paese e in febbraio la monarchia sarebbe stata rovesciata definitivamente. Anche nell’autunno del 1978, gli analisti della CIA valutarono che l’Iran non era “né allo stadio rivoluzionario né allo stadio pre-rivoluzionario”. Tali valutazioni emersero nonostante il fatto che gli Stati Uniti avevano un’ambasciata a Teheran e oltre 50.000 americani operavano a vario titolo in tutto il Paese.

Allo stesso modo, nel 2022, la rivolta ha colto di sorpresa governi e analisti occidentali. L’opinione diffusa nelle capitali occidentali era che il regime degli ayatollah fosse praticamente invincibile e la prospettiva di un cambio di regime inconcepibile.

Tale pensiero è servito come fondamento della politica occidentale nei confronti dell’Iran per molti anni. Su questa base, l’unico modo efficace per trattare con il regime sembrava quello di blandirlo e scendere a compromessi con esso. Ironia della sorte, più il regime clericale intensificava la repressione all’interno dell’Iran, l’esportazione del terrorismo e la destabilizzazione internazionale, più l’Occidente cercava di appagarlo.

Nel novembre 1979, per la prima volta nella storia moderna, un governo di un Paese prese in ostaggio i diplomatici di un altro. Circa 50 diplomatici e cittadini stranieri furono tenuti in ostaggio per 444 giorni dal regime iraniano. Il regime affermò che i sequestratori erano studenti, ma erano, in realtà, i “Seguaci dell’Imam”, il partito politico della “Guida Suprema”.

Negli anni successivi, ulteriori azioni malevole sono state intraprese dal regime. Oltre agli assassinii di oppositori, le sue atrocità includono: l’uccisione di 241 marines americani, 58 soldati francesi e 6 operatori civili di mantenimento della pace in Libano nell’ottobre 1983; la presa di ostaggi di cittadini occidentali in Libano; attentati terroristici in Europa nel corso degli anni ‘80; esplosioni in Paesi arabi, in Africa e in America Latina negli anni ‘90; e l’orribile attacco terroristico alle Khobar Towers in Arabia Saudita nel giugno 1996, che uccise 19 persone e ne ferì quasi 500. Il continuo terrorismo del regime iraniano, così come il suo intervento violento in Medio Oriente, ora come in passato, non sono stati affrontati con alcuna seria contromisura da parte dell’Occidente. Cosa ancora più sconcertante, l’Occidente ha compiuto sforzi coscienti per coprire o minimizzare il ruolo del regime iraniano negli atti di terrorismo.

Il 10 aprile 1997, dopo che un tribunale in Germania ebbe esplicitamente evidenziato il ruolo dei più alti dirigenti del regime iraniano nell’omicidio di quattro oppositori al ristorante Mykonos di Berlino, gli Stati membri dell’Unione Europea richiamarono i loro ambasciatori da Teheran e l’UE annunciò che non avrebbe permesso agli agenti dell’intelligence del regime iraniano di mettere piede sul suolo europeo. Ma nemmeno questa linea di condotta fu mantenuta a lungo, con una ripresa di normali relazioni e concessioni al regime nel novembre di quell’anno.

Da allora la politica occidentale non è migliorata.

Nel 2018, i servizi di sicurezza di Belgio, Germania, Francia e Lussemburgo, in un’operazione congiunta, hanno neutralizzato un attentato dinamitardo contro il raduno del Consiglio Nazionale della Resistenza (CNRI) che si svolgeva nei dintorni di Parigi. Sotto la supervisione di Assadollah Assadi, un  diplomatico iraniano in servizio in un Paese dell’UE, il piano del regime era quello di far esplodere una bomba nel cuore dell’Europa, in una manifestazione a cui partecipavano decine di migliaia di comuni iraniani e personalità di spicco di Paesi occidentali.

In risposta, l’Unione Europea si è accontentata di inserire due funzionari del regime nell’elenco dei terroristi senza intraprendere azioni concrete o significative contro il regime nel suo complesso. Anche dopo che il tribunale di Anversa ha condannato il diplomatico a 20 anni e i suoi tre complici a 17 e 18 anni di carcere, e anche dopo che documenti e prove presentati in tribunale hanno dimostrato che la bomba era stata portata in Europa in una borsa diplomatica dall’Iran, l’Unione Europea si è nuovamente astenuta dall’adottare misure pratiche. Apparentemente, il regime iraniano ha una completa immunità politica dall’Occidente.

Giustificazioni per la condiscendenza

I governi occidentali, naturalmente, negherebbero di avere una politica di condiscendenza nei confronti dell’Iran. Invece, in pubblico, la loro linea politica viene giustificata con l’affermazione che esista una fazione moderata all’interno del regime che potrebbe essere la fonte di un cambiamento positivo, anche se graduale, nel suo comportamento. Ogni presidente, tranne uno, è stato presentato come un silenzioso oppositore della Guida Suprema. Di fronte agli stretti legami del presidente Mahmoud Ahmadinejad con la Guida Suprema, è emersa una nuova giustificazione: i benefici per l’Occidente nel raggiungere un accordo sul programma nucleare iraniano supererebbero altre considerazioni. L’Occidente ha acclamato come un grande risultato l’accordo nucleare concordato durante la presidenza di Hassan Rouhani, formalmente noto come Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA). Allo stesso tempo, l’Occidente ha rivendicato che la propria inazione contro il terrorismo iraniano era in realtà una politica volta a tenere a bada gli “estremisti” del regime attraverso il riavvicinamento. Gli oppositori di tale politica sono stati chiamati “guerrafondai”.

La pretesa dell’Occidente che esistesse una fazione moderata in Iran è stata completamente smentita dalle proteste in Iran dal 2017: il popolo iraniano grida lo slogan “Riformisti, estremisti, ora il gioco è finito”. Durante l’attuale rivolta, la popolazione ha dimostrato di disprezzare i presunti “riformisti” tanto quanto i “sostenitori della linea dura”, incolpando i primi di avere svolto a lungo il ruolo di valvola di sicurezza del regime.  Anche Mohammad Khatami, visto in Occidente come il più moderato di tutti i presidenti iraniani, ha espresso sostegno alla politica del regime di repressione della rivolta.

Un’altra giustificazione presentata dall’Occidente era che il cambio di regime fosse impossibile nel contesto della potenza militare iraniana e che la presenza del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), in particolare, non lasciasse alcuna possibilità di cambiamento da parte della popolazione. Quindi, secondo tale logica, l’unica opzione sarebbe stata aspettare le riforme dall’interno del regime. Questo ha il suo parallelo con quando negli anni Settanta veniva affermato che la forza dei militari avrebbe protetto lo scià.

L’IRGC starà con Khamenei fino alla sua amara fine. Tuttavia, nessuna forza militare, indipendentemente dalla sua potenza, può resistere alla volontà della propria popolazione. In ogni caso, l’IRGC è lacerato dalla corruzione e, di fronte alla rivolta, dalla disillusione, in particolare tra il suo personale di medio e basso livello.

Ancora un’altra razionalizzazione della politica occidentale nei confronti dell’Iran è che il regime abbia una base sociale stabile tra le classi inferiori della società. Questa percezione è stata infranta nel novembre 2019 con la rivolta delle classi inferiori, quando i manifestanti dettero fuoco a migliaia di centri affiliati al regime. Erano proprio quelle persone “svantaggiate” che il regime aveva affermato essere la sua base principale. Naturalmente, Khamenei soppresse la rivolta uccidendo 1.500 persone. Ma il mondo poté osservare in modo chiaro la dissoluzione della base del regime tra le classi più povere.

La logica finale utilizzata dall’Occidente è che dopo aver rovesciato un despota, lo scià, alla ricerca della democrazia, ed essere stato ricompensato con un’altra tirannia, il popolo iraniano non desideri un’altra rivoluzione. L’attuale rivolta invalida questo argomento: i manifestanti gridano: “Questa non è più una protesta, è una rivoluzione”.

Dietro tali logiche ci sono interessi politici ed economici, naturalmente, ma vale anche la pena di esaminare la sofisticata operazione che è la lobby del regime in Occidente. Individui che lavorano sotto la copertura di ricercatori e accademici hanno promosso l’idea che ci siano elementi moderati all’interno del regime. Progetti di ricerca apparentemente indipendenti sono stati finanziati da elementi affiliati al regime iraniano. Molte università negli Stati Uniti hanno ricevuto tale aiuto finanziario dalla Fondazione Alavi. L’Iran ha anche organizzato lobby professionali, come il NIAC (National Iranian American Council) negli Stati Uniti – che è ampiamente disprezzato dagli iraniani.

L’anello mancante

L’anello mancante nella politica occidentale, e specialmente americana, nei confronti dell’Iran è stata la capacità di ascoltare la voce del popolo iraniano e dell’opposizione democratica: una ripetizione dell’errore commesso durante l’era dello Scià.

Peggio ancora, non solo i governi occidentali non hanno ascoltato la voce del popolo, ma al fine di compiacere i mullah la principale opposizione, il MEK, fu designata come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti nel 1997 su richiesta del regime. Il Regno Unito e l’Unione Europea seguirono l’esempio pochi anni dopo. Dopo una lunga battaglia legale, la Corte d’Appello del Regno Unito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e infine la Corte d’Appello del Distretto di Columbia negli Stati Uniti hanno ordinato la cancellazione del MEK da quella lista, attestando la legittimità dell’organizzazione. Tuttavia, quella linea politica ha avuto impatti gravi e di lunga data.

Meno di due settimane dopo l’inserimento del MEK in quella lista negli Stati Uniti, scrissi quanto segue al presidente Clinton: “Scrivo per portare alla sua attenzione un grave errore politico che si sta commettendo. L’8 ottobre 1997, il segretario di Stato Albright ha pubblicato una lista di 30 gruppi designati come organizzazioni terroristiche straniere. In tale elenco figuravano molti gruppi che meritavano tale designazione. Un gruppo che non la meritava era l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (0MPI). Il nostro Paese è nato nella resistenza all’oppressione. Sicuramente la nostra politica estera nella sua lotta contro il terrorismo può distinguere tra i movimenti politici che lottano per preservare i loro valori e opporsi ai regimi tirannici e quelli che prendono di mira civili innocenti. Ho esaminato personalmente il rapporto di intelligence che pretende di giustificare la designazione dell’OMPI come terrorista e lo trovo poco convincente”.

Aggiunsi: “Nel designare l’OMPI come gruppo terroristico, un anonimo ‘alto funzionario dell’amministrazione Clinton’, citato dal Los Angeles Times, ha descritto la decisione di includere l’OMPI nella lista dei gruppi designati ‘come un gesto di buona volontà rivolto a Teheran e al suo neoeletto presidente moderato, Mohammad Khatami’. Qualunque fosse il messaggio che intendevate inviare a Teheran, quello ricevuto è che il regime è giustificato nelle sue politiche omicide nei confronti del suo stesso popolo e dei suoi vicini nella regione. Il regime iraniano ha applaudito la designazione da parte degli Stati Uniti della sua principale opposizione come terrorista, ma non cambierà il suo comportamento in risposta al nostro ‘gesto di buona volontà’”.

E conclusi menzionando le ripercussioni negative della decisione per gli alleati europei: “Anche i nostri alleati in Europa, già desiderosi di sacrificare i principi ai profitti, leggeranno queste recenti decisioni come prova di una cinica doppiezza nella politica degli Stati Uniti: cercare di bloccare i loro rapporti economici con l’Iran mentre prepariamo la strada per i nostri”.

Questa politica è stata dannosa non solo per il popolo iraniano, ma anche per la nostra sicurezza nazionale. Questa politica sbagliata, che è stata adottata anche dall’Europa, ha effettivamente bloccato per molti anni la leva più seria per il cambiamento in Iran, l’opposizione organizzata. Ha creato un campo di prova per la campagna di propaganda del regime iraniano e della sua lobby. Le tattiche dei mullah erano complesse ma allo stesso tempo facili da capire. I suoi tentativi ruotavano attorno al discredito dell’opposizione organizzata per far credere ai governi occidentali che, in assenza di un’alternativa praticabile e democratica, la realpolitik imponga loro di venire semplicemente a patti con questo regime. Inserendo il MEK nella lista nera, i Paesi occidentali facilitavano e permettevano la realizzazione degli obiettivi fondamentali del regime.

 

 

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