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Che lavoro fai?: il Presidente di squadra di calcio!

Una volta, diciamo una ventina di anni or sono?, sì, essere presidente di una squadra di calcio ma anche di basket o altro ancora era considerata una posizione di prestigio.

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In realtà un imprenditore di rango che viveva dei proventi della sua impresa rilevava la presidenza di una squadra di calcio non quotata in borsa solo ed unicamente per il prestigio di rappresentarla nella sua attività agonistica. Investiva anche del suo ma non certo per lucrare solo per emergere e vincere blasoni. Lo scopo principale ed anche unico era quello sportivo per vantarsi dei trofei vinti e quindi elevare l’orgoglio cittadino, regionale o addirittura nazionale ai massimi livelli.

Insomma nessun presidente avrebbe ricoperto quella carica per sopravvivere e procacciarsi guadagni.

Un nullafacente disoccupato e senza reddito pertanto, ottenendo una fideiussione da qualcuno in grado di offrirgliela, potrebbe fare il presidente di squadra di calcio per vivere. In questo modo, è evidente, si sovverte drasticamente sia la carica che la funzione senza contare il prestigio.

Quando mai. Purtroppo oggi fare il presidente di una squadra di calcio è diventato un lavoro (non per tutti i presidenti per fortuna) dove i bilanci personali e familiari coincidono pari pari con quelli societari. In questo modo ciò che è ragione di interesse personale, del proprio portafoglio cioè, è prioritario rispetto all’andamento societario ma strettamente collegato a questo come se una società sportiva fosse un’azienda.

Ma una società sportiva non è un’azienda ed aggiungiamo non deve essere una azienda in quanto i fini e gli scopi di una società sportiva collidono in un conflitto drastico con quelli delle tasche di chi deve lucrare per vivere dei proventi dell’azienda.

È questo un ossimoro e si sa benissimo a scapito anche di fior fior di professionisti (?) di paese che restano sbigottiti nelle loro contraddizioni di comprendonio costellate di confusioni. Il bilancio della società altro non è che il bilancio familiare.

Fallire in questo caso significa quindi andare gambe all’aria con tutta la propria famiglia in primo luogo.  Conseguentemente anche la società sportiva ma di quest’ultima chi se ne frega tutto sommato una volta falliti.

È evidente dunque che un presidente che vive dei proventi di una compagine calcistica deve necessariamente, stanti così le cose, non solo tenere i conti in ordine ma deve creare anche introiti tali da poterci guadagnare e vivere come se quello di presidente fosse un vero e proprio lavoro non avendone un altro.

L’anomalia non solo sta nel fatto che una carica onorifica per quanto onerosa come quella della presidenza di una società (quando però si ha già un lavoro di solito importante e danaroso) diventi un lavoro per lucro personale ma, cosa di gran lunga più grave, mette in secondo piano l’aspetto sportivo che è sempre stato fine a sé stesso per ottenere il prestigio dei colori, trofei, onori e soddisfazione dei tifosi non certo per impinguare il portafoglio personale.

Il mestiere dunque del presidente si sta imponendo con una sfacciataggine senza precedenti e con la furbizia di commistioni sottili e ragionate propinando a turno il bene della società alla passione dei tifosi puntando unicamente al guadagno personale.

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