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Due Ragionamenti e una trasgressione

di Vincenzo Olita* 

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Da Parmenide a Heidegger e Ritorno: l’ultimo lavoro del filosofo Angelo Giubileo, stimolante quanto complesso, mi ha indotto ad una inosservanza; avevo aderito ad una sollecitazione di Angelo affinché esprimessi delle considerazioni sul paragrafo “L’Animale Politico  “in cui tratteggia della cultura liberale ma, dedicandomi al saggio, con il capitolo Il pensiero dell’Attualità mi sono soffermato sulle riflessioni sul transumanesimo.

Muovendo da una serie di citazioni – trascinante quella di Agostino d’Ippona che afferma di essere un uomo ma di non sapere “cosa” sia perché solo Dio lo sa – all’asserzione di Parmenide “allora di via resta soltanto una parola che <è>con la quale esaurisce ogni ulteriore discorso, l’autore chiarisce che la storia della nostra specie è un continuo cammino di adattamento. Rifacendosi a Heidegger e confortato da un ragionamento del professore, almeno per me leggermente ermetico, il nostro filosofo afferma con convinzione che il transumanesimo non rappresenta un pericolo né un potenziale rimedio. Messa così sono stato auto sollecitato a stendere le mie riflessioni.

All’occorrenza sono gratificato da una pietra d’angolo della speculazione heideggeriana “il pensiero dell’enigma dell’essere che porta l’aurora del pensato vicino a ciò che è da pensarsi”.

Bene, quello che è da pensarsi non sono i miglioramenti della qualità della vita assicurati dalla ricerca scientifica o la teoria evoluzionistica tratteggiata da Darwin ma l’evoluzionismo intenzionale del biologo Julian Sorell Huxley. Ideatore dell’espressione transumanesimo H+ cioè – oltre l’uomo -, ebbe a scrivere:” Quando vi saranno sufficienti persone che possono seriamente affermarlo, la specie umana sarà sulla soglia di un nuovo tipo di esistenza. I transumanisti sono proiettati verso la ricerca dell’immortalità ma in tutti i casi, in virtù dell’evoluzione intenzionale e un’ottimistica certezza, si adoperano per la realizzazione dell’essere postumano. Nick Bostrom, l’intellettuale svedese, noto come il filosofo della Silicon Valley, teorico del transumanesimo e dei rischi esistenziali conseguenza di particolari applicazioni della super intelligenza artificiale, si dice sicuro che entro pochi decenni il sostrato dell’umanità sarà modificato.

Così come il matematico e scrittore statunitense Vernor Vinge, dedicandosi a quella che ha definito Singolarità Tecnologia, avverte che l’evoluzione scientifica, al di là della convinzione umana, darà vita ad un diverso tipo di civiltà. Nel 1993, assicurava che entro un trentennio si sarebbe sviluppata una superiore intelligenza artificiale; ci siamo, ma d’intelligenze superiori continuiamo a conoscere solo quelle umane che, almeno per ora, generano solo superiori applicazioni.

Insomma, lo sviluppo biotecnologico con l’ausilio delle nanotecnologia, neurofarmacologia, biorobotica, bioinformatica, branche di quella ormai definita medicina postumana, rincorre l’allontanamento della morte, aspirazione insita nell’Essere stesso quindi non nuova né moderna.

Oggi, però, l’innaturale, spropositato e ossessivo interesse escatologico pone questo obiettivo, e quindi la paura della morte al centro del nostro cammino, che confligge con la nostra libertà di pensiero, la nostra tradizione, le nostre credenze. La stessa ragione del vivere, il senso della vita per alcuni millenni è stata la filosofica ricerca dell’Io che ha contribuito a spianare gli impervi affascinanti sentieri della conoscenza e non potrà essere il processo biotecnologico, tendente al postumano, a placare sofferenza e gioia indispensabili crocevia di ansia, afflizione e appannamento del mistero nella contemporaneità.

Per l’umanità, il transumanesimo non sarà un pericolo, perché non sarà. Sarà un capriccio Umano del terzo millennio che forse offuscherà etica e responsabilità di numerosi addetti ma non corroderà la dimensione sociale, spirituale, teologica dell’Essere e non intaccherà il valore dell’unicità dell’umano.

Il secondo ragionamento attiene all’opportunità di adoperarsi per realizzare un riconoscibile riferimento del mondo liberale e conservatore. Qui il filosofo si domanda se le due culture possano convivere e quale possa essere il ruolo del mondo liberale. Una volta ancora, per dirla con Heidegger, proveremo a portare il nostro pensiero vicino a ciò che è da pensarsi.

Il termine conservatorismo nacque nel 1818 per opera del politico francese François-René de Chateaubriand anche se il più noto politico conservatore, Edmund Burke visse tra il 1729 e il ’97. Ricordiamo anche il politologo liberale Benjamin Constant (1767-1830) in quanto contemporaneo del conservatore e a dimostrazione della non lieve divergenza sulla valutazione della Rivoluzione dell’89 e delle sue conseguenze. Il XIX secolo, è sufficiente ricordare il travaglio risorgimentale, e parte del XX non hanno certo contribuito all’affinità delle due correnti di pensiero. Di fatto, solo dopo il secondo conflitto si è avviato un processo dialettico, una vicinanza politica che, con il passar degli anni, ha del tutto appianato la storica dicotomia. Pensatori di gran peso quali G. Prezzolini, con il suo Manifesto dei conservatori, A. Del Noce, D. Horowitz, G. Mosca, R. Cristin, esponente di primo piano del pensiero liberalconservatore, sono tra gli edificatori del processo osmotico che consente a Renato Cristin di affermare:” Unire pragmaticamente, e non tatticamente, liberalismo e conservatorismo. Solo così si può combattere il nihilismo e la crisi d’identità che ha colpito il mondo occidentale”.

Riconoscere significato e valore della Tradizione, sfatare i luoghi comuni della vulgata sul contrasto con la Scienza e il suo sviluppo e nel contempo opporsi al nuovismo farcito del nulla, sono segmenti unificanti della missione culturale del liberalconservatorismo nel tempo in cui per Angelo Maria Petroni: “Il liberalismo è in netta alternativa non soltanto alle visioni socialiste e comuniste ma anche alle visioni anticapitalistiche e antimercato proprie di una parte rilevantissima del cattolicesimo politico.

”Una vera democrazia è inseparabile dalla libertà politica ed è basata sul consenso cosciente, libero ed illuminato della maggioranza, espresso in un voto libero e segreto, con il dovuto rispetto per la libertà e per le opinioni delle minoranze”.

(Manifesto liberale di Oxford – Wadham College, aprile 1947).

L’esatto contrario di quanto affermato da un ministro del socialista Francois Mitterrand: “Voi avete giuridicamente torto perché siete politicamente minoritari”

Per la cultura liberale, non si tratta di allestire programmi prettamente politici, non occorre essere parte politica, sarebbe bene essere attenti all’ammonimento popperiano:” Un rapporto troppo stretto con la politica di partito non si concilia facilmente con la purezza di una dottrina”. Sempre valida la distinzione crociana tra la politica dei politici e la politica della cultura, così come Bobbio con la dicotomia tra cultura politicizzata e cultura apolitica.

Del resto, parafrasando lievemente Hannah Arendt crediamo che:gli apostoli del liberalismo hanno difficoltà ad essere politicamente presentabili”, perché visione del mondo, eccesso di individualismo, esigenza di essere cani da guardia del potere, di tutti i poteri, sono ragioni sostanzialmente dicotomiche e inadeguate rispetto all’azione politica.

Solo dall’inizio della cosiddetta seconda repubblica, ad ogni tornata elettorale non avveduti personaggi, organizzati in conventicole professandosi liberali, tentano fortune in ambiti istituzionali con pessimi risultati personali, ma ancor più, per ciò che maldestramente credono di rappresentare.

Siamo altresì tranquilli rispetto al pericolo di una nostra egemonia culturale che, per essere sostanzialmente tale, necessita di una sistematica occupazione degli apparati statali. Su questo siamo stati appena rassicurati dalla Arendt.

Liberali e Conservatori convivranno con la certezza, come ci ricorderebbe Nicola Matteucci, di essere e restare minoranza osservante della Religione della Libertà.

*direttore Società Libera

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