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Direttori stranieri dei Musei italiani/Sgarbi: «Gratitudine e riconoscenza. Mie espressioni giocose trasformate in attacchi».

Ed ancora: «Sempre più difficile parlare in Italia»

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ROMA – Il Sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi interviene sul senso di alcune sue dichiarazioni, espresse ieri sera a Viareggio nell’ambito di un dialogo su arte a attualità al «Principe di Piemonte» con il giornalista Stefano Zurlo:

 

«In merito ad alcune mie espressioni giocose e, oso presumere, spiritose, stimolate da Stefano Zurlo, comincio a rendermi conto che non si può più né scherzare, e forse neppure parlare.

Io non ho dato pagelle a nessuno. Ho fatto battute: punto.

E voglio ribadire, nella sostanza del loro lavoro, tutta la mia considerazione per i direttori “stranieri” di alcuni grandi musei italiani, come gli Uffizi, Capodimonte, Brera.

 

Ho sempre pensato e dichiarato che hanno fatto bene. Ma italiani o non italiani, dopo due mandati, per una legge voluta dall’ex ministro Franceschini, non possono essere riconfermati e non saranno più, quindi, direttori di quei musei.

 

Ma tutti conoscono l’attività svolta con impegno da Eike Schmidt, con il quale ho più volte lavorato in grande sintonia.

Lo stesso voglio dire, e ho già detto, nelle sedi proprie, per Sylvain Bellenger, direttore intelligente e fantasioso, che stimo e di cui sono amico, e con il quale ho collaborato in diverse mostre. A lui va tutta la mia stima e considerazione; ma non governo io l’orologio del tempo.

 

Sono certo che sia Schmidt sia Bellenger faranno molte altre cose per i musei italiani e per l’Italia, che amano più degli italiani, come i grandi viaggiatori stranieri che l’hanno resa celebre, francesi e tedeschi, come loro: Montaigne, Winkelmann, Goethe, Stendhal. Loro sono più italiani degli italiani.

 

Ma una cosa sono le battute, un’altra la riconoscenza e la gratitudine che ho per loro.

 

Mi spiace dire che, nella sempre più frequente incomprensione dei due registri, probabilmente dovrò rinunciare alle battute.

E’ sempre più difficile parlare in Italia. Il tempo di Pasolini, di Flaiano e di Tito Balestra è finito»

 

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