Quando la poesia racconta la vita “In percezione di sorriso” di Pierfranco Bruni. Un libro importante per l’edizione Solfanelli
Marilena Cavallo*
Raccontare una vita in poesia? Forse sì. O un forse a metà. Dentro c’è il tempo del poeta.
Il tempo srotola i giorni. Tra le dita si legano a far nodo. Sembrano fili sottili che da un porto giungono in mare aperto. Il vento fa eco.
La poesia di Pierfranco Bruni è l’isola nel tempo della vita. È quell’isola nei viaggi che si raccolgono in una lirica metafisica in cui campeggia la metafora. Nel suo ultimo poderoso libro “In percezione di sorriso”, edito da Marco Solfanelli Tabula Fati (circa 400 pagine) in una veste sobria e bella, il tempo è reale, o sembra reale, ma è anche immaginario, o sembra immaginario.
La liricità è un ermetico sentire la vita tra le onde che sbattono sullo scoglio e la “percezione”, appunto di un esilio abitato con la consapevolezza di abitare l’esilio. Non come solitudine. Bensì come scelta di solitudine.
D’altronde per Pierfranco la poesia è “isola” dalla quale poter osservare il buio perfetto e sa benissimo che anche nella perfezione del buio si immerge, come in una marea, un angolo di luce. A volte si cattura. A volte si lascia soltanto “percepire”.
La nostalgia è la finestra sempre aperta come se fosse una finestra affacciata su un mare in cui gli orizzonti si toccano anche se sono invisibili. Diviso in sei parti. Ogni parte, o ogni labirinto per usare una metafora a lui cara, ha le sue bifore nelle quali ci sono davanzali sui quali appoggiare i pensieri.
I pensieri che si trasformano in versi, ovvero in poesia. Il suo vocabolario è prettamente poetico. La sua poetica è quella “vita nova” che registra il canto in forme, a volte, di prosimetro.
Dante e Pavese sono i suoi pilastri con lo spazio di un Pound che riporta necessariamente ad Omero. È il canto greco, appunto, che ha la voce indelebile che si intreccia con quello persiano dei sufi, dei dervisci, del suono sciamanico degli indiani d’America.
Infatti il vichiano senso della ciclicità unisce poesia e filosofia. Pierfranco che conosce molto bene Maria Zambrano ha dalla sua il “sapere dell’anima” in una ancestrale dimensione spirituale che costituisce il suo vero e sentito incipit. Questo libro ne è una conferma.
Dopo il precedente “Quando Morgana mi raccontò”, (Milella) altro testo di poesia robusto e significante, “In percezione di sorriso” costituisce la continuità e la diversità. Piuttosto problematica che lirica. Il labirinto “In trasparenza di occhi” è la diversità che esplode con una consapevolezza che non è solo lirico-estetica ma anche storica. Infatti in questa parte c’è il dolore dello squarcio e delle macerie per la guerra russo-ucraina e la tradizione si sottolinea in modo dostoskeiano forte. Rimanda al suo saggio proprio sulla letteratura russa e il tragico pubblicato di recente sempre per Solfanelli.
La continuità è la metafisica dell’amore che traccia un cerchio sin dal suo primo libro che risale al 1975. Ma anche in quegli anni (1978) nella poetica di Pierfranco Bruni si è avvertita una rottura con la tradizione precedente. Mi riferisco a “Momenti” nel quale in versi c’è il racconto di una generazione che è quella degli anni di piombo.
È un percorso lungo e vasto quello di Pierfranco. L’ulissismo è stato comunque sempre il riferimento certo. In questo tomo ci sono richiami di un testo del 2009 dal titolo: “Ti amerò fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio” (Csr) che mi ha subito catturato per l’immaginario che crea e la grande passione che cattura. Fino a giungere a “‘L’intagliatore di bastone” (Passerino) del 2020/21 che porta una splendida prefazione di Admira Braja.
“In percezione di sorriso” è la “summa” di un mosaico la cui ultima parte-labirinto ha una potenza dolorante che scava l’anima. Sono le poesie dedicate alla sorella Giulia scomparsa improvvisamente.
È qui che il dolore si fa ontologia del respiro ed emergono i segni indelebili della madre, del padre e della morte che in percezione cattura un sorriso ironico oltre la vita stessa. Infatti nella sua nota che chiama “Post” Pierfranco afferma che si tratta di un libro che non avrebbe mai voluto scrivere. Il libro del dolore tra la vita e la morte, tra l’intimo perfetto e l’immaginario vissuto e quindi “abitato”.
È “uno spaccato di un uomo e del mondo” come ben dice Rosaria Scialpi nelle alette di copertina. L’uomo che si confronta con il mondo confrontandosi con la sua pazienza, le sue disarmonie, le sue attese e il tempo. Un libro importante. Un libro che resta. Oltre cosa c’è? Una vita. Ma per Pierfranco la letteratura è vita.
*Docente di Letteratura