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IL PUNTO n. 941 del 9 febbraio 2024

di Marco Zacchera

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Per contatti, comunicazione nuovi indirizzi, segnalazione di mancati arrivi o proposte, scrivetemi a marco.zacchera@libero.it  IL PUNTO (compresi i numeri arretrati) lo trovate pubblicato anche sul sito www.marcozacchera.it

 

Ai lettori,

si torna al format normale de IL PUNTO e mi scuso per i problemi di impaginazione e stampa nelle scorse settimane. Rientrando nella vecchia Europa trovo i problemi di sempre: proteste, guerra in Ucraina, polemiche di cortile. Vi propongo alcuni spunti sui fatti della settimana con in cima ai pensieri un dubbio angoscioso: ma come sopravviverà l’Italia dopo il festival di Sanremo? Perché proprio il “pompaggio dell’audience” per il festival sembra la più importante notizia – almeno della RAI – da settimane e mesi in qua.

 

AGRICOLTORI IN PIAZZA

In Europa c’è un aspetto di cui si parla troppo poco, ovvero i rapporti tra UE e i suoi cittadini, soprattutto quegli imprenditori “semplici” che sono la spina dorsale del continenti, ma sfuggono alle logiche dei grandi gruppi e quindi sono emarginati dagli aiuti europei e dai tanti favori concessi alla grande finanza e alle multinazionali che detengono i “poteri forti” e (temo) condizionano le stesse scelte europee.

I cittadini non hanno più voce con questa maggioranza di centro-sinistra con in testa soprattutto il pallino demagogico del “verde”. Eppure uno dei motivi per cui protestano gli agricoltori in tutto il continente è proprio che la gran parte dei contributi non finiscono mai in mano ai contadini produttori, ma di fatto solo alle grandi aziende della catena alimentare.

Oltre l’80% dei contributi va a poco più del 10% delle imprese: come mai?

Ormai a Bruxelles tutto è visto in una logica ecologica che non è sbagliata in sè ma non tiene minimamente conto di quello che succede FUORI dall’Europa (ovvero nel 90% del mondo) così quando poi – a costi proibitivi – agli europei si impongono scelte e sacrifici, la concorrenza esterna seppellisce i produttori europei inquinando e distruggendo in modo infinitamente più grave dei possibili, costosi piccoli miglioramenti climatici che faticosamente riusciamo a raggiungere “dentro” l’Europa.

Ne riparleremo, sottolineando che – come in agricoltura – lo stesso avviene per la finanza: la BCE non fa l’interesse del piccolo imprenditore o del risparmiatore, ma prima di tutto delle banche, ufficialmente in nome della “stabilità” ma in realtà così crescono sempre i mega-profitti di pochi e gli altri sono sempre più in difficoltà.

Va tutto avanti così, come è avvenuto per il COVID con scelte sui vaccini che hanno mosso centinaia di miliardi di euro per alcune (ma solo alcune!) aziende del farmaco. Non è più un’Europa dei popoli ma è diventata quella delle lobby, della burocrazia, degli interessi economici di pochi. Di tutti questi aspetti l’opinione pubblica è però tenuta volutamente disinformata, anche se percepisce che qualcosa non quadra. Per questo dobbiamo lottare tutti insieme per una maggiore trasparenza.

 

RENDICONTI E CORRUZIONE IN UCRAINA

Per esempio l’Europa ha deciso di donare all’Ucraina altri 50 miliardi di euro e con questi siamo ad almeno 134 miliardi di “aiuti” di cui circa 15 italiani (ovvero metà di una legge finanziaria).  Visto che i sondaggi dicono che la gran maggioranza degli europei NON vuole continuare in questo modo, come cittadino europeo penso di avere il diritto (come tutti) di conoscerne almeno un rendiconto sommario di come questi soldi siano stati  e vengano spesi, quanti in armi e quanti in aiuti umanitari ed essere rassicurato che una parte non siano invece spariti per strada.

Inspiegabilmente l’UE non ha però alcuna commissione di indagine, di inchiesta, di verifica e credo che  proprio Giorgia Meloni dovrebbe essere la prima a richiederla.

Perché Putin sarà un dittatore sanguinario e le elezioni presidenziali di marzo in Russia una bufala da lui orchestrata (ma comunque almeno il 30% dei russi – vedrete – saranno liberi di votargli contro), è stato un aggressore e  avrà tutti i torti…

Ok, ma pochi sanno  (perché quasi nessuno ce lo dice) che in Ucraina questa settimana è stata prorogata di tre mesi la legge marziale e quindi ogni dissenso à da due anni vietato. Anche il presidente Zelensky è a scadenza di mandato, ma le elezioni sono sospese sine-die. Aveva una modesta maggioranza parlamentare, ma i 250 deputati dell’opposizione sono spariti (quelli eletti ad est del paese dai cittadini filorussi sono anche fisicamente spariti). Tutte le garanzie costituzionali sono state sospese, appunto, dalla legge marziale e l’entourage dell’ex comico – eletto dicendo che mai si sarebbe candidato la volta successiva – ha preso tutti i posti di potere. Mentre i profitti delle aziende che producono armi sono incommensurabili, la corruzione in Ucraina si sussurra sia spaventosa (negli USA sono usciti molti articoli ben documentati, ma che in Italia sono stati praticamente censurati, ed anche questo è il motivo per cui il Congresso vuole frenare continui nuovi finanziamenti). Dopo due anni di guerra, tanti morti e grandi distruzioni, infinite difficoltà energetiche ed economiche per tutti noi è legittimo che gli europei chiedano almeno di avere una certezza che i “nostri” soldi siano stati utili ai cittadini ucraini e non siano anche finiti nelle mani sbagliate’?  E’ davvero chiedere troppo VISTO CHE L’ EUROPA SEMBRA COMUNQUE NON VOGLIA MINIMAMENTE PUNTARE ALLA PACE O ALMENO AD UNA TREGIUA?

 

GRAZIE AD ESSELUNGA

Dopo il video pubblicitario “slow” della pesca è venuto quello della noce ed ora quello della carota: la pubblicità di Esselunga stupisce, interessa, commuove.

Nella babele delle pubblicità stupide, esasperate, monotone, trasgressive questi mini-spot sono carichi prima di tutto di messaggi umani, di dolcezza e inducono alla riflessione.

Prima (lo spot della pesca) sulla sofferenza silenziosa di una bimba di genitori separati, poi l’amore di due adolescenti ai piedi di un noce piantato inconsapevolmente insieme tanti anni prima, ora la risposta struggente dei genitori ad una figlia che lascia la famiglia per spiccare da sola il volo della vita, che belli!

Sussurri sui valori veri, quelli appunto della vita, della famiglia (quella normale!) e in fondo di tutti noi. Grazie Esselunga!

 

Riflessione: DETENUTI ITALIANI ALL’ESTERO

 

La vicenda della maestra Ilaria Salis portata in tribunale a Budapest con “i ferri” ha giustamente suscitato indignazione e sottolineato la davvero poca furbizia del governo di Orban che – se avesse evitato quelle immagini facendo accompagnare in aula la detenuta senza catene e inutili manette –  avrebbe potuto gestire il caso giudiziario senza offrire un punto debole di immagine proprio nel momento in cui aveva bisogno di “sponde” a Bruxelles.

Essendo la Salis un’estremista di sinistra (andata volutamente in Ungheria per far violenze, indipendentemente dall’episodio contestatole) si è comunque subito mobilitata la solidarietà con il coro delle accuse per il comportamento “disumano” e le condizioni nelle carceri magiare.

Il caso ha ovviamente preso così una piega tutta politica e come tale finirà, ma ha anche aperto (forse) qualche interrogativo sulla situazione di tanti detenuti italiani all’estero di cui purtroppo si sa poco o nulla.

Nel 18 anni in cui sono stato parlamentare in Commissione esteri occupandomi degli italiani nel mondo mi sono interessato spesso di nostri connazionali detenuti visitandoli in carcere e seguendone le loro vicissitudini dal Ruanda al Venezuela, dall’India all’ Egitto o nei penitenziari USA, passando da quelli bielorussi alla Turchia.

Spesso ho visto cose agghiaccianti e vissuto avventure pericolose (come in Venezuela dove in carcere sono normali le sparatorie e così i detenuti – riuniti in bande – si barricano nelle rispettive celle) ma – purtroppo – questa tematica è ai margini delle attenzioni diplomatiche e lasciate spesso alla sensibilità personale dei nostri funzionari all’estero.

D’altronde se sei incarcerato in un paese africano passano a volte dei mesi prima che qualcuno sappia di te e ben raramente – e comunque dopo tempi infiniti – un nostro console passerà a trovarti, anche perché (ma questo non lo sa quasi nessuno) in moltissimi paesi del mondo non ci sono nostre ambasciate o consolati, ma al più solo consoli onorari che si occupano di tutt’altro e non hanno ovviamente una immunità diplomatica.

Sono oltre un migliaio gli italiani detenuti al di fuori dell’ UE ma mentre la notifica di detenzione alle nostre autorità viene rallentata dagli oscuri meandri della burocrazia – che spesso in Africa ha tempi ben peggiori dei nostri – oltre alle consuete violenze fisiche se ti chiudono in un carcere straniero spesso ti ritrovi senza soldi, senza collegamenti, senza difesa. In Egitto sono normali celle con 50-60 detenuti, in Venezuela i penitenziari sono appunto di fatto controllati dalle bande interne, mentre vi sconsiglio la visita a un carcere indiano. Altro che garanzie o assistenza diplomatica: nulla. In Ruanda ho visto carceri che erano semplicemente tendopoli circondate da filo spinato senza neppure l’acqua corrente.

L’iniquità, le violenze e la corruzione sono poi di solito endemiche e più è basso il livello di vita di un paese più i detenuti sono considerati la feccia umana su cui tutto è permesso.

Certo se sei ricco e te lo puoi permettere diventerai il pupillo del corrotto direttore del carcere, ma a volte – se neppure i tuoi sanno che sei in galera – è impossibile perfino collegarsi con l’esterno per chiedere aiuto.

Ricordo l’impegno di don Leonardo, un giovane sacerdote milanese con il quale avevamo organizzato “Soccorso Icaro”, ovvero un’assistenza per gli italiani rilasciati dal carcere in Venezuela in libertà condizionale, ma obbligati a rimanere nel paese fino ai processi di solito per incidenti stradali o piccoli traffici di droga.

Spesso, soprattutto in Africa ed America Latina, lo straniero è tra l’altro accusato ed incarcerato senza alcuna colpa, ma solo per un ricatto economico in vista di una “mancia” ai giudici o ai secondini e così resti detenuto finchè la famiglia non paga un vero e proprio riscatto di solito attraverso avvocati corrotti più dei giudici e che hanno tutto l’interesse affinchè il cliente resti a lungo nel bisogno.

Forse ci si immagina che un italiano detenuto sia in qualche modo aiutato e protetto, ma pochi sanno come siano minime le nostre presenze diplomatiche “sul campo” e spesso passano settimane e mesi prima che un governo africano comunichi all’ambasciata italiana (che di solito è in un altro paese) l’avvenuto arresto di un connazionale che nel frattempo è carne da macello, purtroppo spesso in tutti i sensi.

D’altronde se una nostra ambasciata-tipo da quelle parti ha solo due diplomatici (di solito l’ambasciatore ed un suo giovane vice) e deve coprire molti paesi contemporaneamente, difficile che almeno il “vice” possa arrivare a visitare un italiano detenuto, magari in un piccolo carcere di provincia a centinaia o migliaia di chilometri dalla nostra più vicina sede diplomatica.

Le avventure dei nostri turisti in Madagascar (paese in cui la nostra ambasciata è stata chiusa dipendendo ora da Pretoria, in Sudafrica, che contemporaneamente “copre” sette diversi paesi in tutto il sud del continente e che al Madagascar non è neppure collegata direttamente via aerea) come quelle in altri paesi hanno spesso portato a proteste ed inascoltate interrogazioni parlamentari.

Spesso è poi difficile la cooperazione all’estero tra gli stessi paesi della UE in una sorta di malcelata rivalità, mentre sarebbe molto più logico ed economico che – soprattutto nei piccoli paesi africani o asiatici – una rappresentanza unica ma efficiente dell’Unione Europea segua le vicende di tutti i cittadini europei, compresi quelli detenuti, come già in teoria dovrebbe essere, ma che nella pratica, spesso, purtroppo non avviene.

Tematiche di cui si sa poco o nulla, che raramente vanno sui giornali, ma hanno sconvolto le vite di molte famiglie quando hanno scoperto, spesso dopo lungo tempo, che il famigliare scomparso era semplicemente detenuto iniziando, per cercare di liberarlo, un vero e proprio calvario.

 

Buona settimana a tutti                                                  Marco Zacchera

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