IL PUNTO n. 942 del 16 febbraio 2024
di MARCO ZACCHERA
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Sommario: Secondo i sondaggi quasi il 65% degli italiani dà ragione agli agricoltori che protestano e nel giudizio si sommano tutte le contraddizioni europee, i costi della filiera alimentare che mortificano i produttori, l’invasione di prodotti stranieri di bassa qualità. Anche per questo il governo ha accettato molte delle loro richieste aprendo un altro fronte verso Bruxelles e dando una specie di voce ai “piccoli” rispetto alle multinazionali. Mentre si parla di “guerre spaziali” qualche commento poi sul post Sanremo e – per Verbania – il silenzio sul mega-porto di Pallanza mentre riprendono le mie trasmissioni in TV sulla storia locale. A seguire “Gente di Lago”. E l’approfondimento dedicato alla “Giornata del Ricordo”
GUERRE SPAZIALI
“Fonti di intelligence” USA sostengono che la Russia stia pensando a guerre spaziali, Putin smentisce. Nessuno sa quale sia la verità ovvero se l’allarme sia concreto o se sia una pressione psicologica della Casa Bianca nel giorno in cui il Congresso USA non vota nuove armi a Kiev. Tutti noi siamo dei turaccioli che galleggiano nel mare della propaganda e si capisce bene come la verità ci sia spesso nascosta.
Per esempio in Italia non si è dato spazio alla lunga intervista di Putin concessa a Tucker Carlson sulla guerra, sicuramente una interpretazione di parte ma che andava conosciuta per almeno farsi una opinione più completa: che senso ha avuto ostracizzarla? Forse il timore di imbarazzanti realtà, come le accuse di Putin per il sabotaggio al gasdotto baltico che ha messo KO l’approvvigionamento energetico europeo?
Se ci consideriamo persone adulte dobbiamo pretendere trasparenza nell’informazione e questo vale sia per le “storiacce” sui vaccini COVID (ne parlerò la prossima settimana) come per le guerre. Ci si dia una informazione onesta e completa, poi ciascuno liberamente ed autonomamente giudicherà.
Il 2024 sarà un anno sempre più difficile, anche perché tra Trump e Biden rischiamo di avere prossimamente la prima nazione del mondo in mano a un presidente comunque inadeguato.
SANREMO
Evito troppi commenti sull’ultima edizione del festival di Sanremo che tutto è diventato tranne che il festival della canzone italiana. Un minestrone del tutto e di più alla disperata ricerca di audience e con tanto gay alla moda dei tempi, concluso con un evidente stravolgimento del risultato finale reso anche necessario – credo – constatando che il testo della canzone di Geolier era del tutto incomprensibile e, per capirlo, ci sarebbe stato bisogno dei sottotitoli. Faccio mio il titolo di “Allora!” – giornale degli italiani d’Australia – che giustamente in prima pagina commenta “Dove il canoro diventa un ricordo lontano”. Insomma, hanno capito tutto più a Sidney che a Roma.
PORTO DI PALLANZA: AVVISO AI NAVIGANTI
Mi sembra incredibile che un’opera così mastodontica (e per me assurda) come l’ipotizzato nuovo mega-porto a Pallanza possa procedere perchè nessuno – destra o sinistra che sia – si prende la briga di almeno guardare le carte, eppure bisogna presentare entro il prossimo primo marzo eventuali eccezioni alla valutazione di impatto ambientale…silenzio..
E’ comunque incredibile come l’attuale amministrazione cittadina sia stata capace di far procedere il progetto per anni senza sollevare alcun dibattito, osservazione, discussione: tutti zitti anche perchè – in buona sostanza – non lo sa nessuno, nè sembra che la questione sollevi dubbi all’opposizione.
Penso a quando ero sindaco e su ogni questione nascevano polemiche, accesi dibattiti, dichiarazioni infuocate…adesso nulla: calma piatta, disinteresse e silenzio.
Si concretizzerebbe uno scempio ambientale incredibile e sostanzialmente inutile, che non porterà nulla alla città ma sarà uno sgorbio all’intero Golfo Borromeo che si vorrebbe poi pure proporre come luogo tutelato dall’UNESCO. W l’ipocrisia, ma non si dica poi che non erano stati (tutti) avvertiti.
Comunque da Verbania c’è anche una buona notizia: dopo tante proteste, raccolta di firme ecc. l’amministrazione comunale (PD) avrebbe finalmente messo da parte il progetto di sistemazione di Piazza Mercato a Intra da 9.7 milioni di euro. Finalmente una vittoria del buonsenso sulla testardaggine.
VCO AZZURRA TV: PILLOLE DI STORIA LOCALE
E’ ripresa anche quest’anno su VCO AZZURRA TV la mia rubrica settimanale “PILLOLE DI STORIA LOCALE” che va in onda il sabato alle 13.30 e in replica la domenica alle ore 18. (canali 17 e 617). E’ possibile visionare le varie puntate anche sul sito web dell’emittente cliccando “VCOAZZURRATV”, passando poi dall’ home page a “rubriche” e quindi a “Pillole di storia locale”. Sono visibili on line tutte le puntate dell’anno scorso e quelle diffuse da questo mese. Buona visione e – se avete quesiti o temi da proporre – contattatemi via mail.
GENTE DI LAGO 3, AFFRETTATEVI!
E’ già in esaurimento la prima edizione di GENTE DI LAGO 3 che continua la fortunata raccolta di personaggi, racconti, storie del Lago Maggiore arricchito da molte foto d’epoca ed al quale ho direttamente collaborato. I lettori de IL PUNTO possono richiedermelo direttamente via mail al prezzo speciale di 20 euro spese di spedizione comprese. Il ricavato verrà devoluto al “Verbania Center”.
Approfondimento: LA GIORNATA DEL RICORDO
La scorsa settimana è stata ricordata la “GIORNATA DEL RICORDO” voluta per non dimenticare gli eccidi delle foibe e l’esodo forzato delle popolazioni italiane dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia durante e dopo l’ultimo conflitto.
Una brutta e tragica pagina di storia italiana che per decenni è stata ignorata e volutamente nascosta e che solo per la caparbietà di pochi – e soprattutto dell’allora deputato triestino ed ora senatore di FdI Roberto Menia – divenne ufficialmente riconosciuta.
Visto il poco spazio dedicato dai media, credo sia un dovere ricordare ogni anno quei fatti soprattutto per i più giovani che temo siano del tutto all’oscuro di quanto avvenne.
Pochi sanno infatti degli eccidi delle foibe, le caverne carsiche dove migliaia di italiani furono gettati ancora vivi, oppure degli eccidi a Trieste che per 45 giorni fu occupata nel maggio ’45 dalle bande comuniste titine che sottoposero la popolazione italiana ad ogni tipo di violenza. Oppure dell’infamia del trattato di pace di Osimo quando negli anni ’70 la zona di Capodistria e le terre italiane dell’Istria vennero definitivamente cedute – senza alcuna contropartita – alla allora Jugoslavia.
L’esodo fu contraddistinto da episodi assurdi come quello del 17 febbraio 1947 raccontato da Antonio Di Lello quando un treno carico di profughi istriani arriva alla stazione di Bologna. Sbarcati il giorno prima nel porto di Ancona avevano il cuore a pezzi, lo stomaco vuoto, il futuro incerto.
La Croce Rossa aveva preparato pasti caldi ma fu impossibile distribuirli perché dagli altoparlanti, una voce intimò al “treno dei fascisti” di andare immediatamente via, in caso contrario, uno sciopero avrebbe bloccato l’intero scalo ferroviario. Non si trattò di un episodio isolato., l’Italia si comportò indubbiamente da matrigna con i quasi trecentomila esuli delle terre adriatiche. A Venezia e ad Ancona vennero anche aggrediti, presi a sputi e a fischi al grido di «fascisti andatevene!». Ostilità dei militanti comunisti era chiaramente fomentata dai vertici di Botteghe Oscure. “Rinascita”; nel 1947, scrisse che gli esuli erano, nella migliore delle ipotesi, degli ingenui che credevano nelle promesse dei «falsi patrioti». Il colmo dell’infamia lo raggiunse un dirigente della Camera del lavoro di La Spezia, il quale, in un comizio tenuto durante l’infuocata campagna elettorale del 1948, così latrò dal palco: «In Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi‑qui abbiamo i banditi giuliani». Non ovunque ci furono episodi di aperta ostilità ma l’atteggiamento più diffuso fu comunque di indifferenza e diffidenza, né la politica dei governi di allora brillò per spirito di solidarietà.
Una buona parte di loro emigrò un’altra volta verso l’Australia o la Nuova Zelanda (dove ho avuto modo di incontrarli, spesso i loro figli ancora 20 anni fa parlavano solo in dialetto veneto…) dove furono bene accolti mentre tanti altri vissero in Italia per anni nei campi profughi, internati e isolati quasi fosse un’etnia nemica. Ancora nel 1963, sedici anni dopo l’esodo, c’erano quasi diecimila persone in “provvisoria” sistemazione.
Tutti questi drammi sono ricostruiti dallo storico Gianni Oliva (già assessore alla cultura nell’ ultima giunta regionale di sinistra piemontese, non certo un “fascista”) nel volume, “Profughi‑Dalle foibe all’esodo la tragedia degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia” (Mondadori, pp. 221, euro 17,00). Oliva rompe i tabù delle certezze consolidate e la sua tesi sui motivi della diffusa indifferenza per le sorti degli esuli e della rimozione della tragedia delle foíbe non chiama in causa soltanto i comunisti ma anche i governanti democristiani dell’epoca.
Lo studioso giudica «sbrigativo» ricondurre tutto all’«egemonia culturale della sinistra e alla sua volontà di nascondere le verità scomode». Nell’occultamento di quel dramma immane c’è anche dell’altro; c’è un cinico calcolo politico‑ideologico, l’idea che gli esuli e la memoria delle foibe ricordino a tutti quello che la classe politica di allora voleva far dimenticare: e cioè la realtà della sconfitta militare e delle conseguenti mutilazioni territoriali.
Grazie a una esagerata valutazione militare della Resistenza l’Italia di allora (e di oggi) vuole infatti immaginarsi come paese «vincitore», come infatti ci è stato tramandato dalla vulgata corrente. «Questa rielaborazione in chiave assolutoria» poggia – secondo Oliva, ma anch’io concordo – in primo luogo, sulla «distinzione netta di responsabilità tra “fascismo” e “italiani”: il conflitto non è nato dalla volontà del paese, ma è stata una scelta voluta e imposta da Mussolini». Quello che accade dopo l’armistizio dell’8 settembre sarebbe la «storia della vera Italia». E sarebbe questa, appunto, l’Italia che tende di accreditarsi come nazione «vincitrice».
Sul piano internazionale, allora come oggi, una simile tesi non aveva seguito ma sul piano interno, offriva una solta di legittimazione, così come l’identificazione del movimento partigiano come militarmente decisiva nella lotta ai tedeschi.
Per il resto, le vicende più comuni assomigliano a quella della piccola istriana Marisa Brugna (una delle tante storie narrate da Oliva), che giunge a Trieste nel 1949 e che peregrinerà da un campo‑profughi all’altro fino al 1959, anno in cui riuscirà a stabilirsi a Fertilia. Marisa aveva solo sette anni è passerà un’«infanzia prigioniera», con la gamella in mano per ricevere «un po’ di cibo acquoso», «circondata da sguardi mesti, occhi lacrimosi, voci balbettanti dall’emozione». Nella vita degli esuli che arrivano in un’Italia matrigna c’è il marchio della «diversità» e dell’«anormalità».
Quell’Italia avrebbe dovuto ricordare che Marisa e gli altri non erano esuli qualunque. Il loro era stato infatti un «andarsene senza ritorno», uno «sradicamento» in pena regola. Erano tutti protagonisti di una «migrazione senza destino». Oliva cita uno struggente passo di “Sradicamenti” di Annalisa Vukusa , profuga di seconda generazione: «Nessuno ha potuto coltivare l’illusione di tornare a vivere là. Le vecchie radici sono state sepolte, tutto ci è stato tolto e ora si possono riscoprire solo con la memoria storica». Neppure l’ingresso di Slovenia e Croazia in UE ha cambiato qualcosa ed ecco perché è tanto importante che un’altra Italia, finalmente libera dalle ipoteche di un’odiosa mistificazione ideologica, abbia deciso di ricordare le sofferenze di chi avea avuto il solo torto di essere italiano.
UN SALUTO A TUTTI MARCO ZACCHERA