Al 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria attenzione per le nuove frontiere diagnostiche e terapeutiche della malattia di Alzheimer. Solitudine, ageismo, Intelligenza Artificiale, cambiamenti climatici, novità farmacologiche le priorità della comunità scientifica in un Paese sempre più “vecchio”
AIP – Alzheimer: pazienti sempre più anziani, ma identificati come probabili fattori di rischio diabete, insulino-resistenza, malattie del fegato, disturbi del sonno. Con la diagnosi precoce nuove opportunità per frenare la malattia
“Per l’Alzheimer si riduce l’incidenza e aumenta la prevalenza. Gli ottantenni di oggi sono meno colpiti, ma l’invecchiamento della popolazione porta in assoluto a un incremento di pazienti” spiega il prof. Alessandro Padovani, Direttore della Clinica di Neurologia e Prorettore alla Ricerca dell’Università degli Studi di Brescia
Nuovi studi sui fattori di rischio della malattia di Alzheimer propongono scenari inediti per effettuare una diagnosi precoce, che potrebbe ritardare la comparsa dei sintomi o evitare che questi insorgano. Sono stati infatti identificati alcuni fattori di rischio come diabete, insulino-resistenza, malattie del fegato, disturbi del sonno, che molto probabilmente concorrono a determinare questa patologia. Se queste ricerche fossero confermate sarebbe un significativo passo avanti nella prevenzione, visto che le terapie, nonostante alcune potenzialità, non presentano significative novità. Questi studi sono stati al centro del 24° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Psicogeriatria – AIP. Tre giorni al Palazzo dei Congressi a Firenze con oltre 500 specialisti tra geriatri, neurologi, psichiatri.
AUMENTA LA PREVALENZA, MA L’INCIDENZA È IN DIMINUZIONE – L’Alzheimer rappresenta numericamente la principale forma di demenza tra le malattie neurodegenerative in tutto il mondo. In Italia ci sono 1,1-1,2 milioni di persone affette da demenza, di cui il 60-80% affetti da Alzheimer, quindi si stimano circa 800mila persone. “Negli ultimi anni però sono stati riscontrati due trend opposti, una riduzione dell’incidenza e un aumento della prevalenza – sottolinea il prof. Alessandro Padovani, Direttore della Clinica di Neurologia e Prorettore alla Ricerca dell’Università degli Studi di Brescia –. Confrontando coorti d’età di diversi periodi emerge una riduzione della malattia: gli ottantenni di oggi rispetto a quelli del passato sono dunque meno colpiti; il controllo dei fattori di rischio ritarda la comparsa della malattia. Tuttavia, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento del numero di anziani porta a un incremento della prevalenza, con la cifra assoluta che complessivamente è superiore rispetto al passato. Questi trend sono presenti anche nel micro, come dimostra l’osservatorio dell’Ospedale di Brescia, dove i 17mila pazienti affetti da Alzheimer sono per incidenza sempre più anziani, ma la presenza in coloro che hanno tra i 70 e gli 80 anni si è ridotta”.
BIOMARCATORI E FATTORI DI RISCHIO, I NUOVI SCENARI PER L’ALZHEIMER – La ricerca scientifica negli ultimi anni si è concentrata sul fatto che le prime alterazioni neuropatologiche si rilevano già 19 anni prima l’insorgenza dei sintomi veri e propri, con un aumento del tasso di proteina beta-amiloide a cui segue l’alterazione della proteina tau. In generale si consiglia un approccio preventivo basato su socializzazione, alimentazione corretta, attività fisica. Gli studi dell’ultimo anno hanno identificato possibili fattori di rischio che precedono l’accumulo di beta-amiloide.
“I fattori di rischio che stanno emergendo come correlati alle caratteristiche neuropatologiche della malattia di Alzheimer sono il diabete o la cosiddetta insulinoresistenza della sindrome metabolica attraverso l’infiammazione sistemica, che favoriscono l’accumulo di beta-amiloide da cui poi deriverebbe il processo neurodegenerativo – sottolinea il Prof. Alessandro Padovani – Altri due elementi sembrerebbero correlati all’infiammazione sistemica: l’insufficienza epatica non alcolica, spesso legata all’obesità e ai disturbi dell’alimentazione, e la steatosi epatica alcolica, spesso aggravata dal consumo di alcol anche in età avanzata. Il fegato, infatti, svolgerebbe una funzione di filtro o di eliminazione dell’amiloide circolante. Ancora non ci sono dimostrazioni scientifiche, ma è un ipotesi accreditata su cui diversi gruppi stanno lavorando. Un terzo aspetto che emerge sull’individuazione dei fattori di rischio è legato ai disturbi del sonno: un sonno disturbato, inferiore alle 6 ore, aumenta il rischio di decadimento cognitivo; da recenti studi emerge che alcuni farmaci che agiscono sull’orexina non solo migliorano il sonno e le prestazioni cognitive, ma agiscono sui biomarcatori correlati allo sviluppo della malattia di Alzheimer”.
“Le recenti ricerche sui biomarcatori dell’Alzheimer identificano importanti segni che un individuo andrà incontro a una demenza – sottolinea il Prof. Diego De Leo, Presidente AIP –. Si tratta di una puntura lombare che preleva il liquor cefalo-rachidiano che circonda il sistema nervoso. Nuove modalità di analisi dei biomarcatori si possono oggi fare anche tramite analisi del sangue, con un accesso più semplice e generalizzato, intervenendo quindi anche in persone che non presentano segni di malattia. Tuttavia, questa disponibilità pone questioni etiche oltre che organizzative, per identificare le persone da sottoporre a questi test”.
DAGLI ANTICORPI MONOCLONALI AGLI OLIGONUCLEOTIDI ANTISENSO: LE FRONTIERE DELLA TERAPIA – L’importanza della prevenzione e dell’identificazione dei fattori di rischio è data dalla mancanza di terapie risolutive della patologia. Negli ultimi anni, la ricerca si è concentrata su anticorpi monoclonali che agiscono contro i primi meccanismi patogenetici dei precursori dell’amiloide, ma gli studi sono ancora in corso e mancano valutazioni da parte delle autorità regolatorie. Attualmente quindi la strategia terapeutica più frequente resta quindi quella di un cocktail di farmaci. “Tra le potenziali novità, vi è una terapia che prevede l’uso di oligonucleotidi antisenso – sottolinea il Prof. Padovani – È una terapia che in Italia è condotta in sei centri, tra cui il nostro a Brescia. Finora non sono emersi effetti collaterali e attendiamo di verificare l’effetto a distanza di un anno, ma i dati sono incoraggianti: potrebbe essere una nuova strada che combina farmaci antiamiloide e antitau”.
IL 24° CONGRESSO AIP: A FIRENZE OLTRE 500 STUDIOSI DELLA PSICHE – Le novità in materia di Alzheimer saranno tra i temi al centro del 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che si tiene a Firenze dall’11 al 13 aprile. Il Congresso, intitolato “Integrazione e innovazione. Fondamenti del sapere psicogeriatrico” raccoglie oltre 500 specialisti e ben 145 relatori, affrontando temi di stringente attualità, come l’avvento dell’Intelligenza Artificiale nella cura degli anziani; solitudine, ageismo, suicidi; i nuovi scenari aperti dalla legge 33; le novità farmacologiche su agitazione e delirium e quelle sui trapianti d’organo.
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Salvo Cagnazzo
Studio Diessecom
3921105394
Comunicato stampa n.1 Aprile 2024
A Firenze oltre 500 specialisti al 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. Tra i temi principali l’Intelligenza Artificiale, terapie e biomarcatori diagnostici per l’Alzheimer, l’approvazione della Legge 33, nuovi farmaci per agitazione e delirium, gli effetti dei cambiamenti climatici. Anziani intesi come una risorsa
AIP (Psicogeriatria) – Dall’11 al 13 aprile a Firenze 500 specialisti per parlare di suicidi tra gli anziani, solitudine, ageismo e depressione
“Oltre all’ageismo, vi è una vera e propria epidemia dei paesi occidentali che contano il 30% degli anziani afflitti da solitudine cronica e il 10% da una forma molto severa, che porta alla depressione e poi in alcuni casi proprio al suicidio”, sottolinea il Prof. Diego De Leo, Presidente AIP
L’Italia è uno dei paesi occidentali in cui diventare vecchi presenta gli scenari peggiori, soprattutto rispetto ai Paesi anglosassoni, dove i tassi di suicidio in età avanzata sono la metà di quelli che avvengono in Italia. Lo dimostrano i dati relativi alla solitudine e ai suicidi, che nel 38% dei casi riguardano persone con più di 65 anni, sebbene queste ultime siano poco più del 20% della popolazione.
TRA NOVITA’ TERAPEUTICHE, TECNOLOGICHE E SOCIALI: A FIRENZE OLTRE 500 STUDIOSI DELLA PSICHE – Solitudine e suicidi negli anziani saranno tra i temi al centro del 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che si tiene a Firenze dall’11 al 13 aprile. Il Congresso, intitolato “Integrazione e innovazione. Fondamenti del sapere psicogeriatrico” raccoglie oltre 500 specialisti e ben 145 relatori, affrontando temi di stringente attualità. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale apporterà modificazioni nella cura degli anziani. La cura delle demenze sta offrendo scenari innovativi con il ruolo dei biomarcatori nell’approccio diagnostico. La recente approvazione della legge 33 sulla non-autosufficienza rappresenta un’altra opportunità di innovazione nell’assistenza, che si sposta dal sanitario al sociale aprendo nuove prospettive. Vi sono poi le novità farmacologiche riguardanti problematiche come il controllo di agitazione e delirium e quelle sui trapianti d’organo. Grande attenzione poi a fenomeni globali come i cambiamenti climatici, che hanno un notevole impatto proprio sulla salute dei più fragili, che possono subire maggiormente gli effetti della disidratazione, dei colpi di calore o semplicemente essere meno reattivi di fronte a calamità naturali per limiti sensoriali o per il basso livello di digitalizzazione, che in Italia nella popolazione anziana non raggiunge il 65% e talvolta implica solo la competenza di saper mandare una mail.
SOLITUDINE E AGEISMO LE CAUSE DEI SUICIDI IN TERZA ETA’ – L’elevato tasso di suicidi tra gli anziani in Italia ha le sue ragioni nella solitudine in cui vengono ridotti gli anziani e nell’ageismo con cui vengono spesso discriminati, con diritti basilari che esistono solo sulla carta. Il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto che sono il 14%, mentre coloro che non hanno nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1% (dati Eurostat). La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari.
A mettere in stretta correlazione ageismo e solitudine sono diversi studi internazionali. Uno studio israeliano di giugno 2023 individua un legame tra il crescere dell’età e la maggiore solitudine, con l’associazione positiva tra i due fenomeni che diventa significativa nelle persone di età superiore ai 70 anni. Uno studio cileno dello stesso periodo mostra un’associazione diretta e indiretta dell’ageismo con gli esiti sulla salute mentale: l’ageismo è positivamente correlato alla solitudine e, di conseguenza, all’aumento dei sintomi depressivi e ansiosi. Analogamente, un documento di ottobre 2021 evidenzia due iniziative innovative dei Paesi Bassi, che dimostrano che i diritti degli anziani possono essere mantenuti in soluzioni abitative collettive.
“Gli anziani spesso vengono estromessi da misure di salvaguardia sanitaria, come avvenuto durante la pandemia, quando i posti in terapia intensiva erano destinati ai più giovani – spiega il Prof. Diego De Leo, Presidente AIP –. Questa impostazione è stata introiettata dagli anziani stessi, convinti che non possano essere utili alla società né attivi: questo non è frutto di un impoverimento cognitivo, ma di un’impressione del loro patrimonio intellettuale come detta la società. Occorre pertanto ribaltare questo modello. Oltre all’ageismo, vi è una vera e propria epidemia di solitudine: i paesi occidentali contano il 30% degli anziani afflitti da solitudine cronica e il 10% da una solitudine molto severa, che porta alla depressione e poi in alcuni casi proprio al suicidio. L’altro Paese più vecchio al mondo insieme all’Italia, il Giappone, ha computato 45mila persone che ogni anno muoiono in completo isolamento, tanto che sono state create squadre di “death cleaners” che si occupano di bonificare i luoghi in cui sono avvenute queste morti in solitudine”.