A Ischia tra storia e narrazioni 5 giugno al centro del dibattito c’è Kafka
Pierfranco Bruni
STORIÆ, archeologia e narrazioni 2024. Ischia al centro del vasto dibattito delle comparazioni dei saperi. Dalla storia alla letteratura passando con le antropologie. Dentro gli archivi del tempo. Si parlerà anche di Kafka e le sue dissolvenze con l’originale libro di Pierfranco Bruni dedica a “Kafka. La verità tragica”, Solfanelli editore. Un Kafka tra letteratura e antropologia filosofica. Infatti il 5 giugno, alle ore 18.00, Pierfranco Bruni al Festival STORIÆ discuterà di Kafka.
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Inquietante nella sobrietà del non senso. Cosa? Il passare del tempo nella memoria. Il Sisifo di Camus pianta una rosa e pensa che possa durare un eterno pur sapendo che l’eterno è una solitudine che diventa la perla di Steinbeck.
La scrittura può essere una maledizione o un sortilegio.
Franz Kafka non fu soltanto uno scrittore. Fu un Pensiero. Il Pensiero che intrecciò l’enigma delle esistenze con il paradosso di chiedere alla verità di farsi certezza. Le sue Lettere a Milena costituiscono non una storia. Ma il destino di scrivere.
Chi scrive oltre il reale e la cronaca abita il destino. Incarnò la maledizione e il sortilegio. Kafka vive appunto la scrittura come una ferita.
La scrittura di chi non rincorre l’applauso è isola e esilio. Si può raccontare un assurdo senza abitare il senso dell’assurdo? Bisognerebbe non smettere di leggere Kafka per tentare di comprendere se c’è una verità tragica o una tragedia vera dell’uomo nella inquietudine della rivolta dell’esistere. L’assurdo si abita nella sconoscenza.
La sconoscenza è una metafisica dell’assurdo. Se non si conosce la vita è impareggiabile. Ma rispetto a cosa? Alla morte che si vuole credere non reale.
La morte reale è per chi sta accanto. La nostra è finzione. È nella finzione che tutto si sgretola come lo specchio in frantumi di Oscar nel personaggio di Dorian. Una volta rotto lo specchio non si ricompone più e si vive di cocci. Si ha bisogno di slegare ciò che si è legato.
Ciò che si è legato in illo tempore. Come uscire da questo tempo? Con entrare nel mito. Questo è possibile con Camus, Zambrano, Pavese, Yourcenar, Sgalambro, ma non con Kafka. L’assurdo nei primi può leggersi come un archetipo. In Kafka come uno scavo nel paradosso.
Se siamo antichi il tempo e il mito sono dialogante. Questo anche in Kafka. Nella modernità si legge come una contraddizione. Dalla dissolvenza alla disconoscenza: una filosofia antropologica che centralizza il tempo dentro l’eterno.