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NON SI FANNO PRIGIONIERI

Ogni volta che sento fatti eclatanti in cui sono convolti i più giovani, gli adolescenti imbizzarriti protagonisti di tragedie incomprensibili, dentro una violenza omicidiaria che non risparmia alcuno, disconoscendo perfino l’ultima volontà di un perdono, perché la vita è intesa come un’apnea asfissiante che azzera ogni eventuale e fastidioso senso di colpa. Mi ritorna alla mente il sottotitolo di un mio libro: nella società io vinco, tu perdi, non si fanno prigionieri. Un’esagerazione? Ho l’impressione che per sopperire a una inadeguatezza profonda con il proprio intorno, con il prossimo e le sue prossimità, con la relazione che rimane una parola svuotata di senso e di significato, dunque assente  la consapevolezza che l’altro c’è, l’altro esiste, l’altro è lì, a un palmo dal naso dove non vediamo, dove soprattutto non intendiamo proprio vedere.  Per cui non è percepito neppure lontanamente il rischio che la vita possa diventare una linea mediana banale e sonnolenta, una quotidianità interamente sottomessa alla sopravvivenza, cancellandone di fatto la straordinaria bellezza. Minori con la molletta in tasca, la lama indossata come un’identità e una residenza volutamente precaria. Lo strumento della violenza che cambia le carte in gioco, la botta e il calcio alla testa dove altrimenti c’è la vergogna con cui fare i conti. Non c’è più la giustificazione o l’attenuante prevalente all’aggravante di un’esistenza periferica, ai fianchi della povertà, sopra il giorno che non sai se domani arriverà. Ciò che nel presente insorge non è la soglia di sopravvivenza, ma il traguardo economico raggiunto, a discapito di una tavola di valori consapevolmente condivisi. In branco, in solitudine, in tandem, l’apparenza la fa franca sulla pochezza di spirito, sull’ansia, gli attacchi di panico, i disturbi depressivi. L’autostima svenduta per la roba assunta e la sua cessione, sono il propellente che infiamma  la realtà emergenziale che stiamo vivendo. Qualcuno pensa che innalzando le pene è possibile risolvere questa follia, per esperienza dico che non è così. Non si tratta di tragedie dettate dalla rabbia e dall’ira, ma di atteggiamenti e comportamenti imparati sulla strada delle disattenzioni, della non cura, delle parole scagliate come pietre. La partita della prevenzione preziosa sta su quella strada antica come il tempo, dove stanno in attesa i coltelli, le pistole, le sofferenze delle vittime, anche di chi illusoriamente è convinto di una impunità che invece non ci sarà.

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