La seconda strage di Porto Empedocle, del 4 luglio del 1990, ha lasciato il segno nella memoria collettiva, in quanto morirono due uomini estranei al malaffare: Giuseppe Marnalo, quarantaseienne padre di cinque figli, sposato con Maria Concetta Vecchia, e il giovanissimo Stefano Volpe, appena ventenne. All’epoca in quell’area della Sicilia gli articoli della stampa descrivevano il contrasto violento per la conquista territoriale tra Cosa nostra, all’epoca facente capo alla famiglia Albanese-Messina, e il gruppo degli “Stiddari”, facente capo alla fazione opposta dei Grassonelli. Giuseppe e Stefano si ritrovarono coinvolti nella sparatoria senza alcuna colpa. Solo dopo molti anni la giustizia fece risarcire, attraverso il Fondo di solidarietà per i familiari delle vittime innocenti delle mafie, i congiunti che si erano costituiti parte civile durante il processo contro i responsabili della strage.
Lo studente Stefano Raimondo, della classe III sez. C, del Liceo scientifico Filolao di Crotone ricostruisce gli eventi di allora:
“Oggi ricordiamo Giuseppe Marnalo e Stefano Volpe. Era il 4 luglio 1990 quando Giuseppe Marnalo, che si trovava nell’ officina dei fratelli Albanese insieme ad un suo parente, il boss Sergio Vecchia, rivale dei Grassonelli, fu colpito a morte. Quel giorno i killer arrivarono a Gela, con un solo obiettivo: rivendicare l’assassinio dei sei membri del clan dei Grassonelli, avvenuto nel 1986. L’obiettivo era Sergio Vecchia che aveva preso parte alla strage, ma alla fine morì chi non aveva colpe. Giuseppe Marnalo era un uomo dedito al lavoro e alla famiglia e Stefano Volpe, cognato di Giuseppe, colpito a morte durante l’agguato. Questi avvenimenti dovrebbero far riflettere tutti i cittadini sulla brutalità e sull’immoralità della criminalità organizzata. Tutti dovrebbero prendere coscienza e non rimanere indifferenti davanti a tanta cattiveria; tutti dovrebbero imparare ad assimilare comportamenti virtuosi fin da giovani, perchè ognuno di noi potrebbe ritrovarsi in situazioni analoghe, anche involontariamente. Penso che sia giunto il momento di contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, ognuno di noi con piccoli gesti, a creare un mondo migliore.”
Giuseppe e Stefano erano persone molto vitali e socievoli; conducevano una vita normale costellata da amici e sogni; il loro percorso umano è stato spezzato dalla crudeltà dei propri simili, ma c’è chi non si dimentica e non si dimenticherà mai di loro.
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.
Prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU