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In occasione dell’VIII edizione di FESTIV’ALBA 

FEDRA

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di Ghiannis Ritsos

spazio scenico e regia di Alessandro Machìa

con LAURA LATTUADA

e Andrea Beruatto nella parte di Ippolito

costumi Laura Giannisi

luci Giuseppe Filipponio

habitat sonoro Giorgio Bertinelli

aiuto regia Tommaso Garrè

organizzazione Sofia Chiappini

una produzione Compagnia Zerkalo

 

in accordo con Arcadia & Ricono srl per gentile concessione di Ery Ritsou

 

ANFITEATRO ROMANO

DI ALBA FUCENS

1 agosto ore 21.15

 

In occasione dell’VIII edizione di FESTIV’ALBA, rassegna di spettacoli estivi organizzati dall’Associazione culturale Harmonia Novissima, sarà in scena giovedì 1 agosto presso l’Anfiteatro Romano di Alba Fucens, lo spettacolo FEDRA di Ghiannis Ritsos, con Laura Lattuada e con Andrea Beruatto nel ruolo di Ippolito, spazio scenico e regia di Alessandro Machìa.

 

Scritto in esilio e terminato nel 1975, poco dopo la fine del regime dei Colonnelli, Fedra, appartenente alla raccolta denominata Quarta dimensione, è forse è uno dei testi più riusciti del grande poeta greco Ghiannis Ritsos; il più palpitante, a un tempo carnale e mistico, interpretato qui da una straordinaria Laura Lattuada.

Ritsos, attraverso il meccanismo della confessio, riflette sul desiderio come oltranza e abisso, che confina con l’estasi; ma anche sul tempo, sulla bellezza del corpo come luogo del mistero, come tempio sacro, in una prossimità di amore e morte.

 

Fedra parla, dice tutto, dichiara in maniera feroce il suo desiderio bruciante per il giovane e bellissimo figliastro Ippolito. Parla a un corpo che l’ascolta muto, quel corpo che si nega, si sottrae, e che per Fedra è una casa, un tempio. Ippolito, nella sua fissità da oggetto del desiderio è esposto allo sguardo, su un piedistallo, come una statua greca, offerto per essere scrutato e toccato, come un Cristo sul quale Fedra rovescia addosso parole deliranti e lucidissime, di passione cieca e di negazione. Questa liberazione della parola avviene in una scena obitorio, fredda, invasa da una luce bianca e fatta di pochi elementi d’arredo, i cui bisturi sono proprio quelle parole che in un eccesso lirico e allo stesso tempo erotico, tentano di toccare il corpo di Ippolito, di comprometterlo, di gettarlo nel mondo, di umanizzarlo, smascherando come falsa la castità del ragazzo, il suo rifiuto del desiderio, “la santità della privazione”.

Ma a Fedra, inconciliabile e umanissima, di fronte all’impossibilità di conoscere quel corpo e alla sproporzione del suo desiderio senza compimento, di fronte alla “gelida santità” di Ippolito, non resta che il suicidio e la vendetta della lettera infamante, come ultima possibilità di “toccare” l’amato.

 

Un minuzioso lavoro di sonorizzazione della scena, di tessitura di suoni reali della natura e di rumori come provenienti dalla psiche di Fedra, farà emergere quella quarta dimensione, quell’invisibile che abita i testi di Ritsos, dando vita a uno spettacolo polivocale, onirico e fortemente suggestivo.

 

 

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