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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ricorda oggi, 12 luglio, la scomparsa di Michele Fazio, un ragazzo di appena 15 anni, ucciso per un tragico errore, alle 22:30 del 2001, da una pallottola indirizzata al boss del clan barese “Striciuglio”.

Michele era un ragazzo semplice, viveva nella “Bari Vecchia”, una zona che in passato era caratterizzata da molte contraddizioni sociali: un’alta soglia di povertà che spingeva molti giovani a imboccare strade pericolose. Michele non era così; era molto sensibile, gli piaceva socializzare e aveva tanti sogni nel cassetto, tra cui quello di diventare un carabiniere.

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Dopo il fatale proiettile il giovane fu abbandonato nell’omertà e nell’indifferenza a causa della troppa paura.

Eppure vogliamo nuovamente evidenziare le parole con cui il giudice Paolo Borsellino agli inizi degli anni ’90 cercava di scuotere le coscienze civiche dei cittadini onesti affermando che: “Bisogna liberarsi da questa catena feroce dell’omertà che è uno dei fenomeni sui quali si basa la potenza mafiosa. Si è legati a questo fatto dell’omertà, del non riferire nulla delle cose di Cosa Nostra all’esterno, di non sentire lo Stato, di sentire sempre lo Stato come un nemico o comunque come una entità con cui non bisogna collaborare.”

Il caso fu archiviato e solo dopo le insistenze dei genitori riaperto nel 2005 con il successivo arresto e condanna dei mandanti.

A commemorare Michele è proprio una sua coetanea: la giovanissima studentessa Ilaria Galea, della classe I sez. D, del Liceo scientifico Filolao di Crotone:

“La Bari del 2000, un luogo di scontri mafiosi, un luogo di terrore e di morti, proprio come quella di Michele Fazio. Michele era un ragazzo gentile e modesto, un amante della famiglia, infatti proprio nella sera della sua morte egli era sceso a comprare delle pizze per passare una tranquilla serata in famiglia. Al suo ritorno, scambiato per un componente degli Strisciuglio fu sparato al cranio e lasciato lì a morire sulla strada. Questo fu definito dagli assassini un “errore”, un errore che portò alla morte di un sedicenne con un futuro d’avanti e tutta la vita da vivere. Gli assassini furono ben presto condannati permettendo alla famiglia di vivere un momento di sollievo. È assurdo pensare che vite cosi giovani vengono strappate così facilmente, proprio per questo la lotta contro la mafia deve continuare per fermare la crudeltà e il dolore che porta con sé. Le mafie arrecano dolore, portano morte e disperazione lasciando dietro di sé una scia di sangue, è da più di un secolo che insozza la società con i suoi loschi affari e ora bisogna dire Basta, le nuove generazioni devono dire Basta con il loro impegno e con la promozione della legalità.

Michele fu una delle tante vittime innocenti, semplici cittadini estranei totalmente al malaffare e alle logiche perverse della criminalità, che però subirono l’oltraggio e la prepotenza di chi ha deciso di stare dalla parte sbagliata.

Il contrasto a ogni azione deviata deve assumere un momento di enorme rilevanza in ogni aula scolastica, qualcosa di cui si deve assolutamente tenere conto nei programmi di studio dei giovani fin dalla scuola dell’infanzia per far capire quanto sia necessaria, oggi, la legalità e il rispetto delle norme giuridiche. Senza dubbio, la prima arma per combattere e sconfiggere la mafia è non dimenticare, continuando a ripudiare l’illegalità in tutte le sue forme, da quelle più gravi a quelle più banali e semplici della vita quotidiana, come guidare senza le cinture o gettare rifiuti per terra.  Il rispetto della legalità deve essere appreso con impegno e perseveranza.

Ricordiamo Michele per la sua purezza e per il suo sguardo fiducioso nell’avvenire.

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.

Prof. Romano Pesavento

presidente CNDDU

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