La criticità è rientrata grazie ad una preziosa opera di mediazione.
Quando lo Stato c’è e funziona!
TRIESTE – In una calda giornata di luglio è andata in scena una vera e
propria rivolta nel carcere di Trieste che avrebbe potuto avere
conseguenze ancor più gravi e drammatiche: tutto questo non è successo
e quello che segue è il racconto di una storia di collaborazione e
dialogo.
Verso le 18:30 del giorno 11 luglio, dal reparto infermeria del
carcere Ernesto Mari di Trieste, “compariva” uno striscione con la
scritta “sovraffollamento cimici sanità – direttore picchia ragazzo
20enne e minaccia tutti i detenuti – mangiare scaduto latte scaduto
persone che dormono per terra” e contestualmente venivano lanciati
dalle finestre, lembi di stoffa incendiati: in sostanza è iniziata una
protesta violenta che si estendeva a tutto il secondo piano
dell’istituto penitenziario.
I detenuti, approfittando della “custodia aperta” – ovvero
dell’apertura delle celle per oltre otto ore al giorno, come
prescrivono i dettami europei – riuscivano a sfondare i cancelli di
sbarramento delle sezioni ed a prendere possesso dei piani detentivi,
e iniziavano a distruggere di tutto: dalle finestre agli arredi degli
uffici dei corpi di guardia, dagli estintori alle bacheche. Venivano
anche devastati gli ambulatori dell’infermeria con il saccheggio di
gran parte dei farmaci e degli strumenti come bisturi, siringhe e
altro.
Una volta scattato l’allarme, veniva richiamato in servizio tutto il
personale di Polizia Penitenziaria in forza all’istituto e disponibile
nell’immediatezza, anche se in congedo o libero dal servizio, che
prontamente si recava sul posto a supporto dei colleghi già
all’interno ed, a stretto giro, giungevano anche ulteriori unità di
Polizia Penitenziaria inviate a supporto dal Provveditorato Regionale
dell’Amministrazione Penitenziaria di Padova; contestualmente il
Direttore attivava il Protocollo di sicurezza, a presidio dello spazio
esterno al carcere, coadiuvato dal Vice Comandante Isp.Sup. Antonio
Gaudio; così, in brevissimo tempo, tutto il perimetro del carcere era
presidiato anche dalle Forze dell’Ordine del territorio.
I detenuti che guidavano la protesta avevano aperto gli idranti
allagando l’intera struttura dove di tanto in tanto, si sentivano le
esplosioni delle bombolette di gas che dai reclusi sono usate per
alimentare i fornelletti da campeggio, mentre i lembi di stoffa
incendiati provocavano anche principi d’incendio di alcuni motori
dell’impianto di climatizzazione, prontamente spenti dal personale
della Penitenziaria, e successivamente, controllati dai vigili del
fuoco.
E’ stata allertata tempestivamente la dott.ssa Annamaria Peragine,
Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria del Carcere, che già
durante il tragitto per raggiungere la struttura si manteneva in
contatto e non appena giunta in carcere, verso le 20.15, dava
disposizione agli agenti di Polizia Penitenziaria in tenuta
antisommossa, di non intervenire per alcun motivo senza un suo preciso
ordine in tal senso.
Disarmata e accompagnata da alcuni colleghi, altrettanto disarmati,
raggiungeva il secondo piano, ed instaurava un primo contatto con i
detenuti che si sono dichiarati disposti a farla entrare in sezione,
ma non ad aprire le porte di accesso ad altri…
Il contatto in quelle condizioni era difficile da proseguire per il
fumo ed il forte odore di gas che fuoriusciva dalla finestrella del
cancello che permetteva l’accesso al piano “occupato”, e nel frattempo
altro trambusto si udiva al primo piano, per cui la Comandante si
portava sul posto dove avviava una fase di ascolto “pacifico” con i
detenuti.
Questa modalità di dialogo ha prodotto un effetto positivo sugli animi
dei presenti che iniziavano a placarsi ….
Ma era urgente ritornare al secondo piano della struttura dove il caos
perdurava, utilizzando un altro percorso interno, sino a quando la
dott.ssa Peragine, si è trovata di fronte al cancello di sbarramento
chiuso dai detenuti, molti dei quali con i volti ancora coperti dalle
magliette e che brandivano armi rudimentali come mazze, gambe di
tavoli, coltelli.
In questa incresciosa situazione si è avviata la seconda fase della
mediazione, rafforzata dall’arrivo del Magistrato di Sorveglianza,
Dr.ssa Rosa Maria Putrino e dal Cappellano Padre Silvio Alajmo che,
faticosamente, è andata avanti per oltre due ore.
In sostanza, le lamentele partivano dal mancato riscontro di istanze
già da tempo inoltrate alle varie Autorità giudiziarie e relative al
sovraffollamento, al caldo, alla presenza di infestanti nelle celle,
le cosiddette “cimici dei letti”….
Dopo questa paziente e lunga opera di mediazione, i detenuti
permettevano l’accesso in sezione al Magistrato di Sorveglianza, alla
Comandante Peragine, al Cappellano e ad altri agenti di Polizia
Penitenziaria e si giungeva alla condivisa decisione che gli stessi
detenuti – munendosi di scope, secchi e sacchi per l’immondizia –
avrebbero provveduto a ripulire le sezioni dalle macerie, a far
defluire l’acqua ed a rimuovere da corridoi e ballatoi tutti gli
arredi distrutti….,..
Solo a questo punto, anche con l’impegno preso dal Magistrato di
Sorveglianza, di tornare l’indomani per proseguire il dialogo, la
protesta poteva dirsi conclusa: la crisi si è dunque risolta senza
ricorrere, in alcun modo, all’uso della forza da parte del personale
di Polizia Penitenziaria né delle altre Forze dell’Ordine chiamate a
supporto…
Finalmente all’una di notte del 12 luglio tutti i detenuti sono
rientrati in modo disciplinato nelle rispettive stanze.
Un pomeriggio lungo, con inevitabili momenti di tensione e paura è
stato gestito con lucidità e con un risultato incoraggiante dalla
magistratura e da tutti gli operatori penitenziari coinvolti.
Il bilancio resta, comunque, pesante…..in quanto la struttura ha
riportato gravissimi danni a ben due piani del carcere, con la
devastazione dell’ambulatorio infermieristico ed il relativo il
saccheggio di gran parte dei farmaci, circostanza che ha determinato
il trasporto urgente in ospedale di 9 detenuti per malore…ed il giorno
dopo ha fatto registrare il decesso di un 46enne sloveno, per cause in
fase di accertamento.
Sulla vicenda indaga la Procura della Repubblica di Trieste.
Ora….a luci spente…lontano dai riflettori …resta un grande
interrogativo: cosa è rimasto negli occhi, nella mente e nel cuore di
chi quella sera era presente in prima linea…?
Con molta probabilità, la consapevolezza di aver interrotto l’impegno
serale in corso, per correre nella direzione del carcere, in divisa o
in abiti civili, dopo un saluto frettoloso alle famiglie o agli amici,
ignari dell’entità dello scenario si sarebbe aperto al loro arrivo…ma
sicuri di mettere in campo ogni sforzo possibile, per garantire il
ripristino dell’ordine e della sicurezza delle persone e dei luoghi.
In quella stessa, memorabile e tribolante sera, visto il positivo
epilogo, certamente si può affermare che sono stati elaborati
pensieri, elevato preghiere, formulato disposizioni, sprigionati
sentimenti che connotano la parte migliore dello Stato, quella da
celebrare, quella coraggiosa che, unita, ragiona, pianifica,
collabora, opera, risolve e si emoziona.
Un intervento congiunto, quindi, che ha dimostrato come con l’umanità
e la professionalità si possa vincere il “panico da carcere”.
Noi siamo orgogliosi dei nostri funzionari dello Stato (il magistrato di Sorveglianza,
Dott. Rosa Maria Putrino, il Comandante della Polizia Penitenziaria,
Dott.ssa Annamaria Peragine, il Capellano, padre Silvio Alajmo, che
hanno saputo mediare ed evitare conseguenze molto più gravi per tutti.
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