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La soluzione alla crisi iraniana

Il Medio Oriente sta attraversando un periodo tumultuoso, con il regime teocratico iraniano, come ampiamente riconosciuto da dirigenti politici e strateghi a livello globale, al centro della crisi. Questa situazione pericolosa deriva da un duplice errore delle nazioni occidentali: l’avere trascurato l’ascesa del fondamentalismo islamico e l’essere state complici nel soddisfare il violento regime teocratico di Teheran.

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Nonostante gli avvertimenti di lunga data del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran (CNRI) sulla minaccia globale posta dal fondamentalismo islamico, le potenze occidentali hanno cercato di riavvicinarsi ai mullah iraniani, anche attaccando coloro che rappresentavano per loro la minaccia più grande. Nel 2003 disarmarono le forze della Resistenza iraniana in Iraq, e in seguito per alcuni anni congelarono i loro beni, bandirono le loro organizzazioni affiliate e alimentarono una campagna di disinformazione contro questo movimento di Resistenza.

Le conseguenze di queste politiche non colpiscono solo la popolazione della regione, ma destabilizzano sempre più le condizioni economiche e sociali degli stessi cittadini occidentali.

Oggi molti Paesi, mentre riflettono su come trovare una soluzione alla crisi attuale, non riescono a riconoscere i punti deboli sottostanti e le ragioni per cui Teheran rifiuta di andare d’accordo con il resto del mondo.

Ali Khamenei, la ‘guida suprema’ del regime iraniano, si trova ad affrontare due dilemmi significativi nel contesto delle continue sfide nazionali e internazionali. In primo luogo, qualsiasi compromesso da parte di Khamenei potrebbe essere percepito come un segno di debolezza, minando potenzialmente la sua autorità sia all’interno del regime che tra le forze che agiscono per sua procura.

In secondo luogo, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), un pilastro cruciale del regime di Khamenei, è sempre più vulnerabile a causa della profonda corruzione economica e delle estese falle nella sicurezza. Lo stato compromesso dell’IRGC mina la sua capacità di sostenere efficacemente il regime. Di conseguenza, una dimostrazione di debolezza da parte di Khamenei potrebbe esacerbare i disordini interni e rinvigorire una società che è alla ricerca di opportunità per rovesciarlo.

Tuttavia, il fenomeno più trascurato dalle potenze globali è l’esistenza delle “Unità di Resistenza”. Questa rete di attivisti affiliati all’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK) è sparsa nelle città, nei villaggi e nei paesi dell’Iran. Operano in varie fasce professionali, specialistiche, di età e sociali, impegnandosi in attività rivoluzionarie organizzate.

Dal 2016, questa rete è cresciuta e si è moltiplicata. È diventata uno dei principali motori delle proteste anti-regime a partire dalla rivolta del 2017, ed è l’elemento che spaventa maggiormente il regime di Khamenei. Nonostante migliaia di membri delle Unità di Resistenza siano stati arrestati e torturati, le loro attività non solo sono continuate, ma sono aumentate in modo esponenziale. Al vertice “Iran Libero” del 2024, la Resistenza iraniana ha presentato 20.000 azioni di protesta e sostegno da parte di queste unità, in un momento in cui il mondo sta riflettendo su come comportarsi con Teheran.

Questa rete è in grado di attivare rivolte popolari a livello nazionale, mobilitando massicce ondate popolari contro l’IRGC e le forze di sicurezza del regime. Il mondo non ha bisogno di infliggere ulteriori danni alle popolazioni della regione e all’Iran per combattere una minaccia che ha contribuito ad alimentare. Ciò che serve è il riconoscimento degli errori del passato, una dichiarazione di illegittimità del regime iraniano, il riconoscimento della resistenza organizzata contro di esso e il pieno inserimento dell’IRGC nella lista delle organizzazioni terroristiche.

La posta in gioco è alta e le scelte fatte ora determineranno se il Medio Oriente continuerà a precipitare nel caos o si muoverà finalmente verso un inizio di stabilità e pace. La strada da seguire non sta nella condiscendenza, ma nel sostegno costante a coloro che resistono alla tirannia e lottano per la libertà della propria nazione e la pace nel mondo.

 

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