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Clausura. Risposta all’articolo di padre Patriciello su “Avvenire”

“In genere l’interlocutore di buona volontà dice di avere difficoltà a capire che cosa possa spingere una persona sana di mente a chiudersi “tra quattro mura” con tutto il bene che potrebbe fare fuori. C’è poi chi, avendo visto qualche film sulle monache di clausura nel Medioevo, crede che il tempo si sia fermato. Occorre andarci piano. Stiamo parlando di persone consacrate, cocciute, libere, capaci di rimanere per decenni nello stesso luogo, con la stessa comunità, perché convinte di servire Dio, la Chiesa, l’umanità”.

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Sono alcune righe di un articolo di padre Maurizio Patriciello su “Avvenire” di domenica 11 agosto. Prima di riportare uno dei miei diversi articoli sulla clausura, a proposito delle righe trascritte pongo una domanda a padre Patriciello: “Quale padre amorevole terreno, non darebbe della matta ad una figlia che gli dicesse: “Padre, voglio chiudermi in casa per tutta la vita per dedicarmi a te per sempre, anche quando sarai nell’aldilà?”. E ancora:  “Quale padre ne sarebbe contento?”.

Ed ecco un mio articolo di qualche tempo fa, che risponde chiaramente a questo recente di padre Patriciello:

“La Chiesa dovrebbe abolire la clausura
«Nessuno sembra essersi accorto, forse neppure l’autore, che l’Enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI, dimostra in modo chiarissimo che l’istituzione della clausura è in contrasto col vangelo.  Così, al n. 18 della Lettera: “Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto «corretto», ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio…Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento…Così non si tratta più di un «comandamento» dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri”. Ora, è chiaro che l’amore per il prossimo tra le mura di un monastero è solamente pura astrazione: allontanarsi dal prossimo, separarsi da esso e “partecipargli” amore è contraddittorio. Del resto, basta ricordare la parabola del buon Samaritano (Lc 10,25s): una monaca di clausura non avrebbe alcuna possibilità di soccorrere il malcapitato percosso dai briganti, per il semplice motivo che non passerebbe mai per quella strada».
Questo scrivevo quando uscì la lettera enciclica di Joseph Ratzinger. Oggi, in un articolo di don Mauro Leonardi sui viaggi di papa Francesco, leggo:  “Perché il vangelo è spostarsi da se stessi, uscire, per andare incontro al prossimo. Proprio Gesù ha chiesto ai suoi discepoli di andare a trovare le persone a casa loro” (Agi, 22 novembre). Nessuno si sarà accorto, neppure l’autore ovviamente, che queste parole dimostrano chiaramente che la clausura è lontana dal vangelo.
Sul quotidiano Il Tempo del 23 agosto 2006 esprimevo, ad un dipresso, lo stesso concetto esposto da Mauro Leonardi: “Il Signore anche sentiva ogni tanto il bisogno di appartarsi, ma il vangelo è azione, è movimento. Gesù stesso era un uomo d’azione, la sua vita fu un cammino, ed invitò gli apostoli a fare altrettanto: «Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15)”.
La Chiesa dovrebbe abolire la clausura. Il termine “clausura” dovrebbe restare solo nei libri di storia e nei dizionari, anche perché, diciamo la verità, è proprio un brutto termine”.

Padre Patriciello chiude così il suo articolo: “E poi bussare, bussare, bussare e bussare ancora alla porta dell’Innamorato. Senza stancarsi. Insistere, insistere, insistere. Ogni giorno. Ogni notte. A ogni ora del giorno e della notte. Fino a consumare la propria vita. Fino al canto del “ Nunc dimittis”.
Napoli, in via Pisanelli, anche se non lo sai, le “ mie” monache, nascoste per amore, pregano anche per te”.

Ed ecco un’altra domanda per lui: “E gli effetti di questo bussare, bussare, bussare? E ancora: “E’ amorevole un padre che per aiutare le sue creature ha bisogno d’essere pregato con insistenza, altrimenti non si muove?”.

Renato Pierri

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