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ACS intensifica gli aiuti
per cristiani della Terra Santa

Aiuto alla Chiesa che Soffre ha intensificato il suo sostegno alle comunità cristiane della Terra Santa. Attualmente, ACS sostiene direttamente 602 famiglie attraverso la fornitura di buoni pasto, 128 famiglie con il pagamento delle spese (ad es. le utenze), e 122 persone con supporto medico. Ciò si aggiunge al programma di creazione di posti di lavoro e ad altri progetti.

Una delegazione della Fondazione pontificia si è recata in Israele e in Cisgiordania per valutare lo stato di avanzamento delle iniziative che sta sostenendo, e per individuarne di nuove. In molti casi, soprattutto al di fuori di Gaza, i cristiani sono tra i più colpiti dal conflitto.

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Dima Khoury dirige il Dipartimento dei servizi sociali del Patriarcato Latino di Gerusalemme (LPJ). «Temiamo che la Terra Santa divenga la prossima Siria, una guerra senza fine». ACS è stata tra le prime organizzazioni a fornire contributi finanziari per molti dei progetti avviati dal Patriarcato, tra cui la fornitura di buoni pasto, l‘acquisto di medicine e cure mediche, lo sviluppo di un programma di creazione di posti di lavoro che ha permesso a molti di ricominciare a lavorare, guadagnando un salario dignitoso. «Tra i cristiani di Gaza, Gerusalemme Est e Cisgiordania, abbiamo sostenuto 715 famiglie attraverso il Fondo di soccorso umanitario e di emergenza», ha spiegato Dima Khoury. «Con il programma di creazione di posti di lavoro, finanziato da ACS, siamo riusciti a prendere tre piccioni con una fava, sostenendo le famiglie, iniettando denaro nella comunità e mantenendo in attività alcune organizzazioni gestite da cristiani», ha aggiunto.

Una parte significativa dei finanziamenti va al supporto medico, soprattutto per i cristiani palestinesi in Cisgiordania, che non beneficiano di programmi sanitari statali, poiché non sono cittadini israeliani. Inoltre il Patriarcato sostiene 200 malati cronici con le terapie farmacologiche. Un altro contributo rilevante è stato il pagamento delle tasse scolastiche, anche per coloro che non frequentano la vasta rete di scuole del LPJ, e per gli studenti universitari di qualsiasi confessione cristiana. «Abbiamo anche un serio problema con gli alloggi, soprattutto a Gerusalemme Est, dal momento che la maggior parte dei cristiani vive in case in affitto e viene minacciata di sfratto se non è in grado di pagare la propria quota», dice Dima.

Il Vescovo William Shomali, Vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina, ha spiegato ad ACS che non passa giorno senza una nuova richiesta di aiuto. «I permessi per entrare in Israele dalla Cisgiordania sono la cosa più importante. Ce n’erano 160.000, ora credo non più di 10.000, probabilmente 8.000. Ma le persone vogliono davvero lavorare. Ecco perché apprezzo il sostegno di ACS ai progetti di creazione di posti di lavoro, piuttosto che limitarsi a fare beneficenza. È un buon principio e difende la loro dignità», ha aggiunto Mons. Shomali.

Sami el-Yousef, amministratore delegato di LPJ, per quanto riguarda la sospensione dei permessi per entrare in Israele per lavorare, ha spiegato che i residenti in Cisgiordania «pensavano ci sarebbero voluti un paio di mesi, e poi Israele avrebbe riemesso i permessi, perché hanno bisogno dei lavoratori. Ma con l’attuale mentalità israeliana, questo non conta. Hanno iniziato a importare migranti da tutto il mondo. Questo raddoppia il loro costo del lavoro, e i migranti non hanno le competenze o il valore della lingua». Ciò dimostra come gli attacchi del 7 ottobre abbiano portato a una completa rottura della fiducia tra arabi e israeliani in Terra Santa.

L’AD del Patriarcato conclude: «Se ci concentriamo troppo sull’orizzonte politico, faremo le valigie e ce ne andremo. Tuttavia, questa terra ha già visto molte crisi in passato, e la Chiesa ha sempre trovato il modo di essere il mezzo di sostentamento della comunità. Non c’è motivo di credere che le cose andranno diversamente. È più difficile, e dobbiamo pensare bene a quello che faremo in futuro, ma sono sicuro che la presenza cristiana sopravvivrà, e la Chiesa deve essere presente con le sue istituzioni».

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