CHI SBAGLIA PAGA DOVREBBE VALERE PER TUTTI
In questi giorni di calma apparente, stranamente non siamo stati assaliti da un morto ammazzato a seguire l’altro dentro la cella di uno delle tanti carceri italiani. Ma ecco immediata la smentita, non c’è tempo sufficiente per leggere e ascoltare la comunicazione e l’informazione che avvolge il penitenziario del nostro paese, che nuovamente fanno irruzione le campane a morto, siamo arrivati a 61 evasioni impossibili, 61 persone fuggite con le gambe in avanti, 61 numeri, cose, oggetti, lasciati indietro come detriti da discarica. Mentre questa ecatombe inonda lo spazio più ristretto di una galera, qualcuno si permette pure di fare satira, di affermare che non esiste sovraffollamento, le metrature sono sufficienti, tanto meno c’è tutta questa disperazione, neppure c’è penuria di speranza. Anzi manca la pena certa, come a dire che quelle 61 assenze giustiziate dalla sofferenza imposta e dalla indifferenza elargita a piene mani, non fossero sufficienti a richiedere rispetto della dignità delle persone, anche di quelle che sono detenute e vorrebbero scontare la propria pena senza quella sordità ottusa dettata dalla violenza, l’illegalità, l’ingiustizia. Scorrendo le righe di questo e di quello, di quanti scansano le responsabilità, le modalità di interpretazione del proprio ruolo umano e professionale, e soprattutto avendo un po’ di memoria, per ciò che le parole con i loro contenuti, stanno lì, come fusti di quercia corrosi, ma stanno lì, a destare le coscienze. Fiumi di parole per disegnare tre minori che fuggono da un minorile, senza colpo ferire, senza rompere niente, senza toccare nulla, scavalcano il muro di cinta e se ne vanno. Altre parole per alimentare pericolo, preoccupazione, insicurezza, perché un detenuto è salito sul tetto è sbraita, urla, minaccia, non c’è uso appropriato delle parole, degli aggettivi, la protesta perché di protesta si tratta, è cancellata, tutti a parlare di rivolta, di grande allarme. Un detenuto tutto rannicchiato su stesso, occhi bassi, braccia incrociate, se ne sta lì da solo, come a raccontare il proprio disagio psicologico, non intende rientrare in cella, silenziosamente protesta, ingabbiato ulteriormente dall’ansia, dagli attacchi di panico, disturbi somatoformi e depressivi, in carcere sono tanti i detenuti che soffrono di disturbi psicologici, bordeline, un bacino di utenza sempre più allargato da doppia diagnosi, dove il problema primario non è il reato commesso, ma una vera e propria patologia mentale. Eppure quel che viene raccontato dista anni luce dalla verità, dai fatti, dalle circostanze, da ciò che questi morti ammazzati ci raccontano senza se e senza ma, eppure persino da queste morti disperate c’è il tentativo di buttarla in vacca, di accusare pure Cristo perché è risorto, quindi sarebbe stato necessario chiuderlo meglio quel sepolcro, come in questo presente di ulteriori richieste a chiudere i blindati, piuttosto che lasciarli aperti per responsabilizzare e accompagnare. C’è una lotta serrata per individuare le cause organiche, i fattori psicologici, il rifugio sicuro tra i sistemi complessi, invece nulla o quasi di investimenti e intuizioni adatte ad affrontare le sfide quotidiane, quelle vere, quelle face to face, quelle dei suicidati, rannicchiati nell’angolo più buio dove non è dato vedere, affinchè la vergogna sia lasciata fuori dall’ultimo grande portone blindato. Gli addetti ai lavori ci dicono che le carceri sono delle vere e proprie polveriere, forse sono più semplicemente dei sepolcri imbiancati.