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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani oggi intende commemorare Salvatore Benigno, Carmela Pannone e Francesco Fabbrizzi tre vite innocenti spezzate dalla criminalità organizzata attraverso le parole di alcuni studenti della classe III sez. G del liceo scientifico Filolao di Crotone:

““Si può impedire un omicidio che è già avvenuto?”, questo il pensiero di Salvatore Benigno durante il 26 agosto del 1986, quando al termine del suo orario di lavoro come cassiere di un cinema nei pressi di Palermo, tornando a casa vide due mafiosi incendiare un’auto, usata per compiere un omicidio. I pensieri del 37enne di Palermo, vanno a cosa quella macchina fosse servita, e quale povera vita fosse stata spezzata prematuramente, non sapendo però che quelli saranno i suoi ultimi pensieri. Dal desiderio di tornare dalla sua famiglia, i pensieri di Salvatore Benigno diventano cupi e pieni di paura. Verrà ritrovato morto agonizzante in una 127 celeste, colpito da 7 pallottole calibro 38. L’unica colpa di Salvatore Benigno è stato vedere qualcosa che doveva rimanere segreto per la mafia, un qualcosa che stava sfuggendo di mano all’organizzazione mafiosa del posto. Il pensiero di un popolo si stringe attorno alla sua famiglia, la quale pagherà la mancanza di un familiare, pur essendo innocente e estraneo ai fatti interni della mafia. Una cosa è certa, la mafia ha colpito, ancora una volta, una persona innocente, l’unico modo che conosce per terrorizzare le persone, tenerle sotto scacco, il terrore verso i cittadini ha permesso alla criminalità organizzata di agire indisturbata, di minare le basi della legalità. È necessario togliere le catene alla legalità e ciò può avvenire se tutti sosteniamo l’agire dello Stato, delle forze dell’ordine, se tutti ci impegniamo a rispettare le leggi, questo è e resta l’unico modo per tarpare le ali alla mafia, che continua silenziosamente a tessere le sue trame.” (Alessandro Verzino)

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“Carmela Pannone fu una piccola vittima innocente di Camorra.

Tutto avvenne 35 anni fa, il 25 agosto 1989, quando Carmela era una bambina di 5 anni e si trovava tra Agropoli e Capaccio Paestum con lo zio di 32 anni, Giuseppe Pannone, ucciso anche lui nello stesso momento mentre aspettava la moglie recatasi al supermercato per alcune spese. Secondo le ricostruzioni compiute dagli investigatori, il pregiudicato con precedenti penali stava trascorrendo le vacanze ad Agropoli ed era una mattina come tante; ad un tratto gli si avvicinarono degli sconosciuti indirizzando diversi colpi d’arma da fuoco, alcuni dei quali colpirono anche dei bambini. L’incidente avvenne poco prima delle 10 del mattino in una zona molto affollata di turisti. Giuseppe si trovava a bordo della sua Fiat Uno turbo.

I criminali giunsero sul luogo a bordo di una Renault 19. Secondo le dichiarazioni raccolte dagli inquirenti, il gruppo era composto da quattro uomini. Due di questi aprirono il fuoco, sparando ripetutamente attraverso i finestrini, utilizzando due pistole calibro 9. La traiettoria dei proiettili era obliqua e, per questo motivo, furono feriti anche due dei quattro bambini presenti sui sedili posteriori, che erano spensierati ed erano intenti a giocare. La piccola Carmela fu raggiunta da una pallottola in testa e perse la vita, senza neanche un grido, subito dopo essere stata ricoverata all’ospedale di Battipaglia per la gravità delle ferite subite.

Nell’area in cui era avvenuto l’agguato, i carabinieri istituirono numerosi posti di controllo, ma non ritrovarono tracce dei colpevoli. I killer fuggirono dopo che il pregiudicato si era accasciato accanto al volante, ormai privo di vita, tra le urla spaventate dei bambini e dei turisti che avevano assistito alla scena. L’auto, una Renault 19, fu ritrovata dai carabinieri, completamente incenerita, a circa un chilometro di distanza, in una zona isolata.

Le indagini poi si scontrano con la paura, l’omertà e il terrore della gente. In pochi avevano visto, i più erano scappati via; fu la moglie del pregiudicato ucciso a far ricostruire la dinamica dell’agguato; Ed è proprio dall’auto incendiata che si comprese che si trattava di un agguato della ‘grande Camorra’.

La brutalità della Camorra è testimoniata da un triste elenco di omicidi di giovani vittime innocenti, la cui unica colpa è stata quella di essere familiari dei “bersagli” o semplici testimoni casuali di qualcosa che non doveva essere visto. Non si può perdere la vita a cinque anni, non si possono uccidere persone innocenti in un agguato solo per raggiungere un obiettivo. La Camorra non ha mai guardato e continua a non guardare l’età delle sue vittime, non bada al fiume di sangue che lascia dietro di sé pur di ottenere quello che desidera. Allora basta agli orrori, alle morti, alle sparatorie, agli agguati, tutti meritiamo una società migliore in cui vivere lontano dalla paura, tutti abbiamo la necessità di vivere nella luce della legalità e della giustizia, ma portare avanti legalità e giustizia vuol dire avere il coraggio di difenderle, di mantenerle, di sostenerle, di cercarle e ricercarle ripetutamente anche nei gesti più semplici e allora impegniamoci tutti a sprigionare l’immensa luce della legalità.” (Ilaria Perri)

Francesco Fabbrizzi venne ucciso nella strage di Torre Annunziata il 26 agosto 1984, giorno di Sant’Alessandro. Nella chiesa della piazza si stava celebrando la messa, quando verso mezzogiorno, un autobus turistico raggiunse Torre Annunziata nei pressi del Circolo dei pescatori, luogo spesso frequentato dagli uomini legati al clan dei Gionta. L’autobus si fermò al centro della piazza e a scendere dal veicolo fu un commando di 14 killer della camorra. Gli assassini cominciarono a sparare alla cieca. A perdere la vita furono ben otto persone e altri sette furono feriti. L’attentato costituì un atto di guerra nei confronti del boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta. Tra le vittime della terribile tragedia c’è anche Francesco Fabbrizzi. L’uomo aveva 54 anni, una moglie e un figlio di soli vent’anni. Ancora una volta ci troviamo di fronte a uno scenario di orrore, dove la criminalità organizzata mette fine a vite innocenti, spezzate con una crudeltà disumana. La brutalità della camorra non ha confini, pur di ottenere ciò che si è prefissato, non esita a eliminare chiunque intralci i suoi piani. Questo non è accettabile, perché non bisogna dimenticare che la Camorra si è macchiata dei crimini più orrendi: spaccio, prostituzione, estorsioni, omicidi, sequestri; non solo distrugge le vite di chi involontariamente si trova in questa morsa, ma mina anche la fiducia che i cittadini ripongono nello Stato, nella Giustizia e nella Legalità, generando un clima sociale faccio di omertà, paura, sfiducia e insicurezza. È fondamentale che la società si unisca per combattere questa piaga. Ogni cittadino ha il dovere di denunciare e resistere alla camorra, sostenendo le Forze dell’ordine e le istituzioni che lavorano per sradicare le organizzazioni criminali. Solo attraverso l’unità e la determinazione possiamo sperare di costruire un futuro libero dalla violenza e dalla corruzione della camorra.” (Monica Varano)

Oggi tre studenti calabresi hanno ricordato Salvatore Benigno, Carmela Pannone e Francesco Fabbrizzi, stabilendo un ponte ideale tra due realtà che seppur diverse da tanti punti di vista sono accomunate dalla presenza di persone oneste, perché molti meridionali sono cittadini esemplari e condividono i valori della legalità.

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.

Prof. Romano Pesavento

Presidente CNDDU

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