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“Difendere i confini”: il fine non giustifica i mezzi
“Difendere i confini non è reato, totale solidarietà a Salvini”, così ha detto Giorgia Meloni. Difesa dei confini da chi? Esercito invasore? Ora a parte il poco conto che lo stesso Salvini e molti giornalisti tengono della proprietà di linguaggio, l’errore grosso che si fa consapevolmente o inconsapevolmente è di confondere il fine con il mezzo. Sappiamo tutti che ad un mezzo cattivo per raggiungere un fine buono è lecito ricorrere solo in caso d’estrema necessità, vale a dire qualora non esistano altre vie percorribili.
Ammettiamo che il fine di Matteo Salvini (difendere i confini, come lui dice e come tanti ripetono in buona fede o in mala fede), fosse buono, il mezzo cui ricorse era cattivo, e per questo è stata richiesta la condanna, non per il fine che voleva raggiungere. Un esempio limite, per essere più chiaro: se una persona disarmata e magari bisognosa d’aiuto, tenta di entrare nella mia casa, io non posso impedirglielo uccidendola, giacché la “difesa” sarebbe enormemente sproporzionata.
Salvini ha detto: «Rischio il carcere perché la sinistra ha deciso che difendere i confini italiani è un reato». Ha le idee confuse, oppure vuole confondere la mente degli ingenui? Il reato non dovrebbe essere costituito dall’intenzione (buona) di difendere i confini, ma dal mezzo (cattivo) cui il ministro ricorse per raggiungere il suo scopo. In questo caso il fine non giustifica i mezzi.
Renato Pierri

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