Simone Zafferani, reading di poesie a Casa Vuota
In occasione del finissage della mostra di Michele Bellini La dolce vita
Roma, Casa Vuota (via Maia 12, int. 4A)
22 settembre 2024, ore 18
Stanze di pittura e stanze di parole: di un vivace scambio fra le arti è fatta la malia che seduce il pubblico dei visitatori di Casa Vuota, lo spazio espositivo domestico del quartiere Quadraro in via Maia 12 a Roma, dove domenica 22 settembre 2024 alle ore 18 Simone Zafferani è protagonista di una lettura di poesie, in occasione del finissage della mostra La dolce vita del pittore romano Michele Bellini, curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo (per informazioni 3928918793 – vuotacasa@gmal.com).
Michele Bellini espone ritratti di persone senza dimora che vivono per le strade della Città Eterna e con i loro volti e le loro storie si trova a dialogare, letta ad alta voce, la scrittura di Simone Zafferani. «Il tema della mostra mi è molto caro – spiega Zafferani – e per questo ho scelto di leggere alcune poesie dedicate a Roma e in particolare alla cura e all’occupazione degli spazi nella città. Lo scorso anno è uscito per le edizioni d’arte Aliud un volume con mie poesie in dialogo con opere dell’artista Elena Molena. Il libro ha titolo Cartoline post urbane e ha a che fare proprio con alcune visioni della città e delle presenze, più o meno visibili, che la attraversano».
Nato a Terni nel 1972, Simone Zafferani vive a Roma. A partire dagli anni Novanta, sue poesie sono uscite in riviste, antologie, plaquette ed edizioni d’arte. Ha pubblicato i libri di poesia Questo transito d’anni (2004), vincitore del premio “Lorenzo Montano” 2006; Da un mare incontenibile interno (2011), finalista ai premi “Sulle orme di Ada Negri” 2012 e “Laurentum” 2012; L’imprevisto mondo (2015); L’ora delle verità (2023), vincitore del premio “Giulio Angioni” 2023. Ha scritto insieme a Paolo Camilli il testo teatrale Per colpa di un coniglio. Collabora con alcune riviste letterarie occupandosi di poesia contemporanea.
LA MOSTRA DI MICHELE BELLINI – Dare, attraverso la pittura, una dimora a chi una dimora non ce l’ha. È questa la sfida che si propone la mostra La dolce vita di Michele Bellini, che presenta un ciclo organico di lavori pittorici realizzati nell’ultimo anno, profondo, sentito e dai contenuti originali, che veste su misura le pieghe più intime del corpo di Casa Vuota. Al centro l’artista pone sei ritratti a grandezza naturale, oli su tela, che vengono accompagnati da altri dipinti, bozzetti e disegni a carboncino.
«I protagonisti dei ritratti – spiegano i curatori della mostra Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – si chiamano Massimo, Vittoria, Angelina, Staneva, Leonardo e Paolo e sono sei tra le tante persone che vivono sotto il cielo di Roma senza avere un domicilio stabile. Michele Bellini fa la loro conoscenza attraverso Binario95, un polo sociale di accoglienza per persone prive di dimora con il quale ha iniziato una collaborazione, organizzando dei laboratori di pittura con la mediazione degli operatori del centro. Nei laboratori, guardati dapprima con qualche diffidenza e poi via via sempre più partecipati, la pittura diventa uno strumento di comunicazione e di scambio. Lungo il percorso di conoscenza reciproca tra il pittore e i suoi studenti, la fiducia e la complicità diventano così profonde da portare gli studenti a diventare modelli e a posare per Casa Vuota, offrendo il loro corpo e le loro stesse vite – per loro le cose più preziose, tutto quello che hanno – allo sguardo indiscreto della pittura e trovando così, idealmente, il loro posto nello spazio sublimato di una mostra e nel tempo non enumerabile dell’esperienza estetica. E qui altri sguardi, quelli dei fruitori, li incontreranno, attivando nuove relazioni, nuovi incontri, nuovi dialoghi e nuovi spostamenti di senso, mettendo in discussione soggetti, oggetti, spazi e modi dei discorsi possibili intorno all’abitare, all’uso dei corpi, all’esercizio della libertà e all’autodeterminazione, a quello che chiamiamo casa e alla definizione di limiti, confini e orizzonti».
«Massimo, Vittoria, Angelina, Staneva, Leonardo e Paolo – scrivono Del Re e de Nichilo – trovano a Casa Vuota, con la pittura di Michele Bellini, la casa che non hanno. Bellini li chiama pittoricamente per nome, si immerge nella loro vita – una dolce vita nonostante tutto – e li porta ad abitare con sé in quella grande casa che è la pittura stessa, usando le stanze di Casa Vuota come pretesto per scrivere un nuovo capitolo del suo progetto artistico dedicato alla vita, raccontata attraverso la materia e i volti della vita stessa, già iniziato con il ciclo di dipinti intitolato Gente in metropolitana da lui portato avanti dal 2014 al 2018, che nasceva da scatti fotografici rubati a ignari viaggiatori. È una pittura che manifesta una vocazione per i temi sociali, che si guarda intorno e non si limita alla contemplazione di circoscritto panorama autoreferenziale. L’attenzione che ha per gli altri, il desiderio di mettersi in ascolto e di farsi portatore delle vite altrui si traduce, per Bellini, nella pratica del ritratto. I suoi sono ritratti anche quando non sono ritratti, anche quando l’oggetto della pittura è una stanza dell’associazione in cui avvengono le lezioni o una natura morta, perché Michele Bellini è profondamente vocato alla pratica del ritratto e ha raffinato in esso tutti i modi più persuasivi e peculiari della sua espressione».
«Il titolo felliniano rende palese l’omaggio a Roma, ai suoi abitanti, alle sue strade e alle sue storie. Di questa Roma sospesa tra magnificenza e decadenza Michele Bellini è perdutamente innamorato, così come è innamorato della pittura e dei pittori, con una particolare predilezione per il realismo e la ritrattistica sviluppata a cavallo tra XVII e XIX secolo, di cui è raffinato conoscitore e consapevole cultore. La pittura di Bellini si nutre di pittura e nelle sue opere si colgono riferimenti espliciti o inconsci a quadri del passato che ha ammirato e studiato e che conosce così bene da fare propri con un gesto non citazionistico, ma vivificante, sorgivo, medianico. In virtù della sua poderosa memoria visiva e artistica, a Casa Vuota riecheggiano nei ritratti di Bellini il Menippo di Diego Velázquez, la Carmencita di John Singer Sargent, il Gilles di Antoine Watteau, la Giuditta di Gustav Klimt e ancora, nell’unica scena di interno esposta, intitolata L’accoglienza, un sussurro che parla di Angelo Morbelli e di Telemaco Signorini. A volte Michele Bellini ritrova nei suoi modelli le pose dei capolavori che lo ispirano, altre volte il processo di costruzione dell’immagine semplicemente si affida, per parlare, alla lingua che lui meglio conosce, ossia la pittura stessa. In ogni caso, non c’è finzione nel suo offrirsi attraverso la materia viva della pittura, ma una profonda e rispettosa onestà».
Dichiara Michele Bellini: «È stato un lavoro davvero intenso, sotto ogni punto di vista, e mi ha segnato e formato come nessuna esperienza simile in passato. La serie di lavori che ho realizzato per Casa Vuota mi ha permesso di comprendere quanto necessari (nonché contradditori) siano l’identificazione nei temi che un artista vuole narrare e il distacco da essi. Mi sto ancora chiedendo cosa ho fatto, come è andata e che cosa avessi da dire su uno dei soggetti più trattati nella storia dell’arte. Le domande sono maggiori delle risposte, ma per me questo progetto è importante perché ho sempre sentito un’affezione verso chi ha meno da offrire e ho scelto di ritrarre queste persone nel modo in cui di solito la pittura che ho amato ritraeva la nobiltà. Per anni, passando per via Marsala, mi capitava di vedere file di persone in attesa davanti ai cancelli di Binario95 e mi sono sempre chiesto come avrei potuto avvicinarmi a loro. Mi attira l’umano, l’umanità e la mia idea è di nobilitare le persone attraverso ritratto, dare loro dignità attraverso una pittura “onesta”. A questa gente bisognosa la pittura che ho portato è un gesto paradossale, come paradossale è il titolo della mostra. La pittura non è un fine, ma un terreno comune che mi ha permesso di confrontarmi con loro e di costruire un rapporto. E questa relazione io la restituisco nelle forme della pittura, mostrando la realtà che ho incontrato con onestà. Viste tutte insieme, le opere della mostra rappresentano la vita e se c’è una cosa che voglio raccontare con la mia pittura è la vita, descrivere la vita attraverso queste facce e queste persone. Mi sono identificato nella loro condizione di smarrimento che avverto come familiare, nell’impossibilità di riuscire a trovare un posto nel mondo. Io trovo il mio posto solo quando sono davanti al cavalletto. E tutti noi insieme lo troviamo oggi a Casa Vuota».