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 ‘IL CANTO DI GIUTURNA’

Giovanna Canzano intervista ARCHIMEDE PEZZOLA

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7 ottobre 2024

“Le donne nell’Eneide hanno un ruolo straordinario: si oppongono al Fato,

non lo assecondano. Si ribellano a esso nell’unico modo in cui a una donna

dell’epos è possibile ribellarsi: si suicidano (Didone, Amata),

oppure si consumano nella loro disperazione, si “sciolgono” nel dolore

che le logora, si liquefanno. Giuturna diventa una fonte e Anna,

la sorella e aiutante di Didone, si dissolve nelle acque del Numico,

il fiume sacro dei Latini”. (Archimede Pezzola)

 

  1. Nel libro, Enea non è l’esule “pius” in fuga dalla guerra, ma un usurpatore metodico e violento. Come è nata questa rappresentazione poco convenzionale – quasi “iconoclasta” – dell’eroe virgiliano?

Ho deciso di raccontare l’approdo dei Troiani nel Lazio secondo il punto di vista delle genti indigene, sopraffatte da quegli eventi che porteranno, in ultima analisi, alla fondazione di Roma. Di conseguenza, la figura di Enea che emerge da questo libro non è quella cui ci ha abituato la tradizione scolastica né, tantomeno, quella promossa dalle più recenti pubblicazioni.

Esiste, tra l’altro, un filone della tradizione mitica – dal quale ho abbondantemente attinto per la mia rappresentazione “iconoclasta” di Enea – che è totalmente ostile all’eroe virgiliano, traditore non solo della propria patria (insieme ad Antenore), ma anche della prima moglie Creusa, abbandonata tra le macerie di Troia in fiamme.

Già l’Iliade di Omero non era stata particolarmente benevola nei confronti di Enea, presentato come un eroe di secondo piano, che si salva dagli scontri solo grazie all’intervento degli dei che lo proteggono.

Sono personalmente convinto che neanche Virgilio ami particolarmente Enea, quantunque nell’Eneide sia tenuto a celebrarlo. Enea è colui che porta la guerra alle pacifiche popolazioni del Lazio Antico e Virgilio è il poeta che odia la guerra: il “bellum” (cioè la guerra) in Virgilio è sempre connotato negativamente: la guerra sovverte l’ordine divino e umano delle cose, soprattutto perché in guerra muoiono i “pueri”, i fanciulli … e la loro anima fugge dal corpo “indignata”, come quella di Camilla, e quella di Turno alla fine del poema.

Dietro la riflessione di Virgilio, c’è l’ambiguità di ogni guerra, in cui il “discrimen” tra l’invasore e l’invaso, l’aggressore e l’aggredito, l’occupante e l’occupato è sempre molto labile (pensiamo all’attualità: è impossibile leggere l’Eneide senza attualizzarla!).

 

  1. Chi è la Giuturna che dà il titolo al romanzo?

Giuturna è la sorella di Turno, colei che porta nel nome stesso il suo ruolo di aiutante del fratello: “Ea quae iuvat Turnum”. I Latini la veneravano come ninfa delle fonti, e il privilegio dell’immortalità le era stato concesso da Giove come ricompensa della verginità che il padre degli dei le aveva strappato a forza: è una delle tante vittime delle avventure erotiche di Giove.

Le donne nell’Eneide hanno un ruolo straordinario: si oppongono al Fato, non lo assecondano. Si ribellano a esso nell’unico modo in cui a una donna dell’epos è possibile ribellarsi: si suicidano (Didone, Amata), oppure si consumano nella loro disperazione, si “sciolgono” nel dolore che le logora, si liquefanno. Giuturna diventa una fonte e Anna, la sorella e aiutante di Didone, si dissolve nelle acque del Numico, il fiume sacro dei Latini.

Il lamento di Giuturna, il compianto sulle sorti del fratello – che è, al contempo, il compianto sulla fine dell’età dell’oro delle primigenie genti latine dopo l’arrivo degli Eneadi – rappresenta la cornice del libro, che si apre e si chiude con due monologhi – rielaborazioni del modello virgiliano – in cui la ninfa delle fonti versa lacrime di dolore sulla propria terra, devastata dagli Eneadi di ogni tempo, di ieri e di oggi.

 

  1. Nel libro, sembra che le genti locali – prima dell’arrivo degli Eneadi – vivano in una condizione di primigenia beatitudine. Questa rappresentazione dei Latini del tempo antico è una tua invenzione oppure ha riscontri nelle fonti di cui ti sei servito?

Gli Eneadi non arrivano in un’isola deserta: essi approdano alle coste del Lazio antico, dove fiorisce da tempo immemorabile un’antica civiltà. Il Lazio Antico è la “Saturnia Tellus”, ovvero la terra dell’“Età dell’oro” istituita dal dio Saturno, dove vive da sempre, in una condizione di primigenia beatitudine, una stirpe di uomini che verrà aggredita e decimata dagli esuli troiani, divenuti rapidamente occupanti.

Il mito fondante della regione è quello dell’“età dell’oro”, l’età beata delle genti primigenie, ben attestato in poeti come Virgilio, Ovidio e Orazio.

In tutti gli autori greci in cui è presente, il mito dell’età dell’oro non ha mai un’ambientazione determinata; esso è, in senso stretto, un’“utopia”, cioè è collocato in un “non luogo”.

Per gli autori della letteratura latina invece questo luogo esiste. È un luogo reale e geograficamente determinato: è il territorio tra i Castelli Romani e il litorale laurentino-ardeatino-pontino.

Alla leggenda dell’età dell’oro latina si collega il nome stesso della regione: il Latium sarebbe tale dalla “latitanza” (latere) del dio Crono-Saturno, cacciato dall’Olimpo e accolto da Giano e dagli Aborigeni.

 

  1. Dunque l’ambientazione del libro è il Lazio Antico: cosa si intende con questa denominazione?

luoghi in cui è ambientato il romanzo sono i principali siti di cultura latina del Latium Vetus, luoghi che rappresentano un’inesauribile fonte di suggestioni e di ispirazione, per chi si è nutrito della lettura dei classici.

In questa Saturnia Tellus, fiorivano alcune delle “città” menzionate da Virgilio (centri documentati dall’età del bronzo o dall’inizio dell’età del ferro): Ardea, Laurentum e Lavinium, Albunea, Aricia…

Tutto questo territorio, tra i Colli Albani e il litorale, era ed è attraversato dal fiume che gli antichi chiamavano Numico, cioè, alla lettera, il fiume “degli antichi Numi”, protagonista della più autentica e originaria mitologia latina.

Quando mi sono trasferito in questo territorio, ho percepito di trovarmi realmente e fisicamente in un luogo mitico: erano luoghi che conoscevo già per via letteraria e sapevo di trovarmi “sulla scena” degli ultimi sei libri dell’Eneide.

Certo, sono luoghi, come molti altri nel nostro Paese, in più punti deturpati e sfigurati da un modello di sviluppo antiecologico, se non addirittura autodistruttivo.

Sarebbe bello se noi moderni riuscissimo a vedere nei posti in cui si svolgono le nostre esistenze quotidiane una realtà che va oltre quella sensibile. Se imparassimo ad avvertire, laddove ci troviamo, la presenza di un Genius Loci, forse tali luoghi ci apparirebbero meno anonimi… se scoprissimo che i poeti del passato hanno visto in essi il teatro delle gesta di dei e semidei, li troveremmo più attraenti, li ameremmo di più e forse li rispetteremmo di più.

Archimede Pezzola (Roma, 1972) abita ad Ariccia e insegna greco e latino presso il liceo “U. Foscolo” di Albano Laziale. Nutre da sempre una profonda passione per le discipline antichistiche, che tenta (o forse si illude) di trasmettere ai propri studenti.

 

https://www.youtube.com/watch?v=hpSfnFf2Deo

giovanna@giovannacanzano.it

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