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La Divina nelle rivoluzioni di fine Ottocento tra teatro e culture

 

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Lucia Cucciarelli

 

 

*Moti rivoluzionari e culturali dell’Italia del tardo ‘800

(In “Undulna” Solfanelli editore di Pierfranco Bruni è Franca De Santis*)

 

L’Italia del 1898 era attraversata da moti e rivoluzioni. Da Milano, a Barletta, a Palermo, in una giovane Italia da pochi anni unita sotto un’unica bandiera sabauda, la classe operaia di una nascente realtà industriale e imprenditoriale si rivoltò contro le politiche coloniali, la sanguinosa capitolazione di Adua, la fame che purtroppo correva inarrestabile non solo nelle periferie delle grandi città.

A gennaio innumerevoli manifestazioni, sempre represse dal governo, si svolsero lungo tutta la penisola per il pane, il lavoro e contro le imposte: nelle province di Modena e Bologna intervennero interi reparti di fanteria, e la polizia arrestò decine di persone.
Quando venne aumentato il prezzo del pane, la reazione popolare non si fece attendere: a Forlì i manifestanti subirono le cariche della polizia, e la manifestazione degenerò in tumulto; ad Ancona e a Senigallia intervenne un battaglione di fanteria inviato da Pesaro.

Ancona fu affidata al generale Baldissera il quale, assumendo i pieni poteri militari, ordinò arresti di massa.
Il 23 gennaio il governo decise di attuare una diminuzione minima della tassa doganale sul grano, misura del tutto insufficiente, e, dando avvio alle contromosse approvate durante il mese di dicembre del 1897, richiamò alle armi 40.000 riservisti da impiegare nella repressione delle manifestazioni.

Le proteste si fecero sentire in tutta Italia, scioperi e tumulti si contarono a decine in Sicilia, in Campania, nelle Marche. Il sentimento antimonarchico cresceva.

 

Accadeva a Bologna

 

Bologna era una ricca città dal 1861 non più controllata dalla Chiesa e dal Regno pontificio. Imprenditori e artigiani davano libero sfogo a nuovi filoni di commercio avvantaggiandosi anche della fortunata posizione, crocevia di flussi marittimi, fluviali e da poco anche ferroviari.

La nuova stazione centrale di Bologna fu inaugurata nel 1871. Confermò l’importanza della strada ferrata decisa nel 1851, da un accordo internazionale fra lo Stato Pontificio, i Ducati Emiliani (Modena e Parma), il Granducato di Toscana e l’Impero austriaco, direttamente interessato ad allargare al Tirreno le sue possibilità di traffico civile e militare, all’epoca limitate all’Adriatico con Trieste e Venezia.

Il progetto prevedeva la costruzione di una strada ferrata da Piacenza a Firenze passando per Bologna, allora seconda città dello Stato Pontificio, dopo Roma.

Bologna quindi era un crocevia di merci, viaggiatori, idee e contaminazioni che investirono tutti i settori del commercio, dell’arte e della cultura e di cui i curiosi cittadini, da sempre disponibili ad accogliere mode e suggestioni d’oltre Alpe, si nutrivano volentieri.

La Bologna di fine ‘800 stava attraversando un cambiamento eccezionale: tutto l’assetto urbanistico era stato rivisitato e ridisegnato dall’architetto Alfonso Rubbiani, innovatore di stampo europeo, anche se figlio di un funzionario pontificio, che aveva introdotto nuovi stili di restauro e recupero di antiche parti medioevali della città, ricomposto le antiche tombe monumentali dei glossatori, progettato nuove aperture, viali e canalizzazioni.

Forse interpretava le aspirazioni di rinnovamento e di slancio verso il nuovo secolo che prometteva grandi cambiamenti.

Rubbiani fu anche segretario della sezione Bolognese del Club Alpino Italiano e sostenitore della linea ferroviaria fra Bologna Budrio e l’area di Comacchio, per un riscatto da secoli di malaria e povertà.

Attorno alla sua figura eclettica e carismatica, si costituì una vera e propria compagnia di moderni artieri, la Gilda di San Francesco, cui vennero affidati i lavori artistici sia nella basilica bolognese, sia in quella di Sant’Antonio a Padova.

Forse fece leva sulla sua origine integrata in un asset pontificio per introdurre le vere innovazioni a cui era interessato.

 

Coincidenze coincisive

 

Dal 1898 il Comune di Bologna in pieno slancio sociale, istituì la sezione scolastica dell’Ufficio d’Igiene, per il controllo della salubrità delle scuole, la salute e la corretta crescita degli alunni, la individuazione tempestiva delle malattie infettive, tutti compiti prima affidati ai medici condotti a volte un po’ corrotti.

 

E sempre nel 1898 Rubbiani diede vita a un’altra coraggiosa impresa sociale, l’Aemilia Ars, assieme al conte Francesco Cavazza, per dare un lavoro onesto a ragazze povere che avrebbero rischiato l’emarginazione della prostituzione se non dotate di mezzi autonomi di sussistenza.

Aemilia Ars fu un’impresa manifatturiera che produsse molteplici oggetti d’uso quotidiano (pizzi, mobilia, gioielli, tipografia) di raffinata esecuzione, sull’esempio dell’Arts and Crafts Movement di William Morris e di analoghe esperienze europee con le quali Alfonso Rubbiani era in continuo scambio.

Alfonso Rubbiani nacque il 3 ottobre 1848, Eleonora Duse il 3 ottobre 1858.

 

Eleonora e le sue interpretazioni che erano piccole rivoluzioni

 

Negli anni ottanta del XIX secolo Eleonora Duse compì le scelte di repertorio che segnarono il suo percorso artistico e la sua carriera. Un repertorio che le permise di esprimere il suo sentimento di crisi rispetto all’epoca di cui faceva parte.

Vista la sostanziale assenza di una drammaturgia in Italia i testi che sceglieva e prediligeva erano perlopiù le pièces bien faites francesi: moderne, mondane, di forte richiamo per i rinnovati gusti del mutato pubblico del secondo Ottocento. Nelle interpretazioni di Eleonora Duse i drammi di Victorien Sardou e di Alexandre Dumas figlio diventavano partiture da smontare per poter essere poi riempite del messaggio tutto personale di Duse che voleva mettere in crisi quei valori borghesi, rappresentarli quindi così come essi si presentavano nella realtà.

I temi che Eleonora Duse volle affrontare erano quelli più spinosi e più rappresentativi della società borghese dell’epoca: denaro, sesso, famiglia, matrimonio, ruolo della donna.

Nella sua scomoda vita di teatrante itinerante li aveva conosciuti tutti e poteva raccontarne sulla scena tutte le possibili sfaccettature di una vita piena di precarietà e di inarrivabili equilibri.

Negli anni 1890, Eleonora Duse portò sulle scene italiane i drammi di Henrik Ibsen (Casa di bambola, La donna del mare).

Evidentemente anche il pubblico italiano era maturo per questa nuova drammaturgia e per un nuovo stile interpretativo.

 

1898 il principale teatro di Bologna venne intitolato alla Duse ancor vivente

 

Nell’eccitato clima di fervore intellettuale fin du siecle di Bologna, Adolfo Re Riccardi il nuovo benestante proprietario del noto Teatro Brunetti di Via Cartoleria, nella parte aristocratica del centro storico di Bologna, che già aveva ospitato pochi anni prima due rappresentazioni di Sarah Bernhardt alla presenza del Re Umberto I e della Regina Margherita, sfogò il proprio entusiasmo artistico per la moderna interpretazione recitativa di Eleonora Duse che era ormai celebrata sia in Italia che anche all’estero.

Decise di intitolare a lei, donna, libera cantora di un’arte rigenerata e ancor vivente, nel fiore dei suoi 40 anni, questo prestigioso podio teatrale. O forse fu solo un’abile strategia di marketing.

Il teatro è rimasto da allora intitolato a Eleonora Duse e tutt’oggi è la perla della prosa a Bologna.

Ha cambiato colori, padroni e amministrazioni, ma non ha mai cambiato nome.
Eleonora Duse recitò in questo teatro

 

Aveva sette anni quando per la prima volta nel teatro Duse, allora chiamato Brunetti, interpretò Cozeta nei ‘Miserabili’ di Victor Hugo, ma la vera consacrazione avvenne il 4 marzo 2014 quando Eleonora recitò nel teatro a lei dedicato in due edizioni della ‘Donna del Mare’ di Ibsen e della ‘Porta chiusa’ di Mario Praga.

Al suo ingresso in scena l’attrice fu accolta da una vera e propria ovazione, la più lunga mai tributata nei teatri bolognesi.

Proviamo a immaginare un’attrice quasi sessantenne che aveva sempre e solo recitato in italiano, interpretare la tormentata interiorità di Ibsen.

Le cronache ci narrano il suo modo molto femminile, intenso, scivolato verso la nevrosi e l’alienazione. Una presenza scenica dove gesti, postura e movimento erano già tecniche non verbali consapevolmente utilizzate. Fu, ai suoi tempi, una delle dive più fotografate nella scena e nella vita.

 

Il suo repertorio era moderno e di forte richiamo: dal verismo della Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, dove interpretò Santuzza, ai già citati drammi di Victorien Sardou e Alexandre Dumas figlio, che facevano parte del repertorio della grande attrice francese Sarah Bernhardt.

Fra le due attrici naturalmente c’era una forte rivalità che divideva i critici teatrali, ma alimentava l’alone di fascino.

La Duse ebbe amicizie con alcune delle personalità più note dell’epoca, come la scrittrice Sibilla Aleramo e la danzatrice Isadora Duncan.

 

Il famoso Arrigo Boito adattò per lei ‘Antonio e Cleopatra’ ma la loro relazione restò sempre segreta e durò, fra alti e bassi, per diversi anni.

In questo periodo, l’attrice frequentò gli ambienti della Scapigliatura e il suo repertorio si arricchì anche dei drammi di Giuseppe Giacosa, amico di Boito.

Ben diversa e tempestosa fu la relazione con D’Annunzio, i cui rumori furono seguiti dalle cronache dell’epoca, ma in fondo ogni relazione diede un contributo, una sfumatura diversa allo stile con cui la Duse abitava i personaggi e lasciava emozioni indelebili.

A San Pietroburgo interpretò ’Antonio e Cleopatra’ in italiano e Cecov esclamò “Non conosco l’italiano, ma la Duse ha recitato così bene che mi è sembrato di comprendere ogni parola”.

A noi posteri l’ardua sentenza.

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