A proposito delle polemiche sui centri di accoglienza per i migranti
Egregio Direttore,
Non accenna a fermarsi la polemica sui centri di accoglienza per migranti, aperti già da alcuni mesi in Albania, ma che stentano tuttavia a partire.
Alla disputa in corso tra il governo e i Partiti di opposizione, si affianca, come noto, lo scontro tra l’esecutivo e i giudici, forse il più grave nella storia recente della Repubblica. Sembra mancare, nella dimessa impressione dello scrivente, la consapevolezza di un confronto più pacato su un tema di portata epocale. Ma il tema delle migrazioni sembra infiammare gli animi.
Cosa pensano però dei migranti, e delle connesse polemiche, gli italiani che vivono all’estero? Non lo sappiamo con precisione. I sondaggisti solitamente poco si curano di quel che pensano i connazionali fuori d’Italia.
Per parte loro, i critici domestici non hanno dubbi né reticenze e non esitano a bollare gli insediamenti albanesi come lager e luoghi di detenzione.
Per altro, non manca, qua e là, chi fa della ‘’surenchère’’, come dicono i francesi. In un articolo apparso negli scorsi giorni in un noto giornale della Capitale, un illustre opinionista si premurava di elencare i benefici del Protocollo italo-albanese, che regola, come noto, l’allestimento e la gestione dei centri di accoglienza, benefici che andrebbero tutti, nell’avviso dell’articolista, a vantaggio del Paese delle Aquile. Ma in Albania il sentimento popolare sembra essere di opposto parere.
Che fare, dunque? L’immigrazione, sostengono ancora voci autorevoli, è un bene per l’Italia, perché compensa il calo demografico della Penisola. Vi sarebbero infatti indifferibili esigenze di natura economica, che consigliano di aprire le frontiere agli stranieri. Si sorvola però sull’impatto sociale delle masse di migranti in arrivo.
Come reagiscono, per esempio, di fronte ai nuovi venuti, le donne e gli uomini che vivono nelle periferie delle grandi città, dove i migranti finiscono a poco a poco per insediarsi? Di nuovo, non lo sappiamo con esattezza, mancano le ricerche sul campo o, se ci sono, vengono condotte in ambiti circoscritti. Non si esagera perciò se si dice che l’Italia multietnica è ancora, in buona misura, un oggetto ignoto.
Sul versante governativo risalta tuttavia il messaggio dissuasivo che l’esecutivo ha deciso di mandare alle mafie attive nel traffico di esseri umani. La sfida è partita, ma le difficoltà rimangono.
Gerardo Petta- Zurigo