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Fare conoscenza

di lorenzo merlo

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Intelletto ed essere. Coscienza dell’io e coscienza del sé. Vita mondana e vita mistica. Sul palco e dietro le quinte. Attore e comparsa. Considerazioni sull’autoreferenzialità della realtà e della conoscenza.

 

 

Conoscenza di superficie

L’accumulo di dati come vanità nell’erudizione, come oggetti da sciorinare, appoggia sull’inconsapevole, quindi indiscussa, idea che da essi divenga il sapere, che essi lo costituiscano.

Con tale nuce e ulteriore cecità, informiamo la realtà, tanto che la proiezione, occulta a noi stessi e come un riflesso, la fa ritornare, lì di fronte a noi, quale ente autonomo e a noi slegato, oggettivo e autentico.

Un’entità importante, in quanto da essa riteniamo di estrarre quei dati necessari al cosiddetto sapere. In ogni istante della vita cosciente, in ogni affermazione, narriamo o facciamo riferimento alla costellazione di dati che abbiamo estratto/individuato nel firmamento/realtà. Stelle/elementi autoreferenzialmente disposti secondo un ordine a noi coerente, logico e vero perciò, dialetticamente irreprensibile. Ciò, nonostante il nostro compagno di banco, o un qualunque compare abbia composto una differente costellazione per descrivere o reagire al medesimo stimolo. L’ipotetico volume che contiene tutto – e che permette di arrivare all’idea nietzschiana, dell’eterno ritorno dell’identico – sarebbe quindi permanentemente rapinato dei gioielli che più ci piacciono, ovvero di quelli che più ci sono necessari – come tutti nell’eternità, hanno già fatto – in quanto cibo per la sussistenza della nostra visione del mondo, ovvero di noi stessi, del nostro equilibrio che, in altre parole, sta nel percepire la corrispondenza tra noi e quanto facciamo, nel credere di rispettare il filo rosso che lega tutte le nostre cose, nel, se torna utile, misconoscere quello del prossimo.

 

Al pari dell’innamoramento o qualsiasi altra passione, nonché situazione, l’attenzione seleziona quanto fa proseguire il filo rosso della nostra biografia, quanto ci esalta e piace, tutto il resto non lo vede, seppur sia lì, sotto gli occhi. Non è infatti una questione materiale ma spirituale, come detto, che informa il mondo. Accade tra persone e nei confronti delle attività. L’attenzione seleziona e la selezione compone il mondo. Solo quando cessa un certo sentimento o una certa emozione e così, le loro costellazioni, ciò che era sempre stato alla mano, ma mai considerato, è come se emergesse alla superficie e si mostrasse. Così di una ragazza che amavamo ora questa mostra quanto non vedevamo, quanto l’iniziale selezione aveva scartato. Di un’attività che ci aveva coinvolto, ora vediamo aspetti che prima non consideravamo e ora ci serve quale argomento e ragione della nostra freddezza nei suoi confronti. Ma non serve l’intensità di un innamoramento per riscontrare quanto detto che, infatti, è la modalità spontanea dell’io di portare avanti la sua missione di autosussistenza, al fine del dominio su noi.

 

Tuttavia, il dato di fatto che ognuno faccia la spesa al grande magazzino hyperuranico, è occulto a noi stessi e, anche se dialetticamente svelato, non è sufficiente per prendere coscienza dell’incantesimo di cui siamo preda, né per rivedere la concezione di noi e del mondo. L’esperienza non è trasmissibile e ricreare è necessario ovvero, l’evoluzione è un’esplorazione personale che se ne infischia della somma/accumulo logicamente organizzato dei dati, che avviene per magia cioè, per emozione, serendipicamente, per nulla razionalmente né progressivamente.

L’osservazione delle scelte compiute dagli individui di ogni moltitudine, cultura ed epoca storiografica, nel rispetto della propria biografia, immagine e autostima, permette di validare l’attendibilità di quanto detto.

 

La consapevolezza che detti dati e costellazioni, selezionati secondo una meritocrazia della quale ci si sente titolari e della quale ci si fa vanto, dovrebbe agevolare al ricercatore una seconda consapevolezza, ovvero l’assoluta caducità della realtà che ognuno considera vera e unica, e per la quale si sperperano anche tutte le energie, fino ad annodarle in malesseri e malattie. Ciò si verifica indipendentemente dall’unità di misura desiderata, dal microscopico al telescopico. Scelte minimali e individuali o tendenze epocali sono comunque soggiogate dal medesimo incantesimo cavernicolo-platonico della proiezione scambiata per realtà nonché che, da questa, se ne possa estrarre l’opposto socratico, ovvero conoscenza.

 

Secondo l’arbitrarietà/necessità egoica delle scelte, alla quale nessuno sfugge, quanto finora detto può essere intitolato conoscenza di superficie o cognitiva, dialettica o intellettuale. Questa, per quanto caduca e sottile, ha il potere di nascondere a noi stessi quella di profondità o estetica o emozionale o magica, cioè energetica e quantica.

La natura egocentrica della conoscenza di superficie, ha nel dna l’obsolescenza delle proprie affermazioni. Lo stato narcisistico e quello vittimistico ne sono due pezzi da novanta. Penso sia sufficiente citarli per evocare in tutti la volatilità delle affermazioni di coloro che giacciono in quella condizione. Infatti, al primo, quello narcisistico, risultano valide quelle che lo eleggono a centro del discorso, quelle che, a suo giudizio, sono rispettose delle sue esigenze, mentre gli appaiono invisibili quelle che lo mettono alla pari di coloro che lui considera nell’errore, ignoranti, inferiori, stupidi. Mentre il secondo, la condizione vittimistica, con pari processo del narciso, seleziona o predilige soltanto le affermazioni che gli dimostrano la responsabilità altrui della propria sofferenza, nonché l’inesorabile legittimità di questa e quindi l’inevitabile, prepotente, pretesa di aiuto.

 

Conoscenza di profondità

Avvedersi di tale caducità, autoreferenzialità, parzialità, prendere coscienza dell’arroganza e sopraffazione che ne derivano, diviene necessario per avviare il processo di emancipazione dal conosciuto, ovvero dalla cultura positivista in essere, che considera chi non ha dati o titoli, non essere o comunque inferiore a chi ne dispone. Questo humus culturale, che prima ci pareva il solo assolutamente possibile, ora mostra l’arbitrarietà che l’ha voluto/creato, permettendo così l’avvento di una eventualità di emancipazione. Cioè, di avviare un processo evolutivo, volto a divenire consapevoli del potere e del vincolo delle emozioni e dei sentimenti. Forze che, fino a quel momento, facevano in noi il bello e il cattivo tempo.

Con questi primi passi si avvia l’autoeducazione alla riduzione della dipendenza dall’assolutismo del sapere di superficie, del dedalo dei suoi inutili dati.

 

La discesa in profondità verso il pre-pensiero, verso il nucleo quantico/latente della conoscenza si fa via via più sottile, raffinata, microscopica, istantanea, meditativa, contemplativa, fuggevole come un’ombra intravista, mai progressiva, né graduale e neppure lineare. Richiede un’attenzione detta sospensione, ascolto, consapevolezza del punto di attenzione. Tutte doti non acquisibili in quanto già in noi. Tutte disponibili a fuoriuscire dalle nebbie del sapere di superficie. E tutte utili per avviarsi all’autonomia dai flussi energetici egoico-mondani, per distinguerli da quelli universali, che tutto pervadono. Come spiegarsi sennò che il vento di levante rende torbido il vino e le fasi lunari hanno a che vedere con l’inseminazione agricola e la potatura? La costante differenza percentuale mondiale tra maschi e femmine?

 

È allora lì che la girandola mai doma dei pensieri, nei quali credevamo e che inseguivamo, accreditati dalla logica con la quale li esprimevamo e sostenevamo, rivela il punto dal quale scaturiscono e, come lo scrigno di Pandora rivela ciò che teneva nascosto. Sarà allora l’inconsapevole, il dogma, la vanità, il narcisismo, il vittimismo, la paura, l’incertezza, la sofferenza, il rancore, l’insoddisfazione, l’alienazione, la frustrazione, l’avidità, l’invidia, la solitudine, l’attrazione e la repulsione a svelare la vera origine del proprio fare, delle nostre argomentazioni a suo sostegno, della propria ipocrisia, dipendenza e tendenza, della disponibilità di superficie, della tolleranza moralistica, della promulgazione o condivisione di leggi, perciò di punizioni in sede dell’educazione all’evoluzione.

Sarà quello il momento in cui guardarsi in faccia scoprire chi si è, la pantomima sociale che recitiamo, nonché il punto di partenza di ogni guarigione e risalita a un benessere disintossicato, che nulla ha che vedere con lo star bene, e tutto con la condivisione al libero scorrimento del flusso energetico universale.

 

Il deus ex machina primario o di profondità, del nostro fare, non è quindi quello che raccontano le narrazioni logico-dialettiche di noi stessi, non lo si trova nei pensieri di cui siamo coscienti, colmi di ragionamenti che non sono null’altro che giochi di sponda dei nostri razionali intenti. Questi, sono invece, a loro volta, espressioni di quell’ombra fuggevole, alla quale non diamo mai importanza, nei confronti della quale non abbiamo le doti per fermarla e ascoltarla. La ruota del fare mondano non ce ne dà il tempo e la cultura non ci offre gli strumenti per inquadrarla, riconoscerla, apprezzarla.

Quel deus ex machina si rivela quindi essere il pensiero che rivela la condizione più intima e segreta, di cui non siamo consapevoli, che raramente si svela e che, spesso, come una mosca al naso, è volutamente scacciato o nascosto come polvere sotto il tappeto della conoscenza di superficie. Eppure è quella polvere a informare i pensieri dei quali siamo più o meno consapevoli. È lei che informa il nostro mondo. Da lei, da quella condizione, è da quegli impercettibili istanti che insorge il mondo, la realtà e ciò che crediamo di noi stessi. È in quel momento che il vero sé è nudo, svestito dalle maschere che indossiamo per la recita del nostro canovaccio. È quell’istante che precede e orienta il firmamento e le sue costellazioni a nostro piacimento e gusto, al fine di fornirci il necessario per sostenere la superficie di noi stessi o l’apparente concretezza e valore del nostro cavernicolo io.

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