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IL SANGUE DEI LIBRI NASCOSTI

 

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di

Domenico Bilotti (docente universitario),  Giuseppe Milazzo (avvocato penalista),  Immacolata Romano (avvocato penalista)

 

La scia di sangue tra i giovanissimi napoletani ci pone interrogativi che non abbiamo saputo formulare: legislatore, sicurezza e amministrazione avevano in compenso in tasca inutilizzabili risposte pronte.

Non è difficile capire che eventi così gravi richiederebbero un intervento politico in senso stretto. Un lavoro di lunga lena con il supporto di equipe di sociologi in grado di indagare le cause del fenomeno sempre più diffuso dei minorenni a mano armata.

Si è data la colpa alle serie televisive e alle canzoni dei rapper. Il punto è che gran parte di quei serial è priva di autenticità, di là dalle ambientazioni tra le strade della zona est di Napoli, perché replicano un prodotto che attecchisce proprio perché evasivo, e non costitutivo, del disagio sociale reale. Quella roba distrae, esalta e diverte; per contro, quartieri come San Giovanni a Teduccio, Barra e Case Nuove hanno l’aria densa che spacca la pelle ancora prima che arrivi il freddo invernale.

Il linguaggio dei registi che suggeriscono ai loro attori di scimmiottare chi abita i rioni partenopei non è né proprio né originale. Nessuno è mai stato a Rione Traiano, provando a scendersene in scooter alla Sanità, per poi rientrare in Circumvesuviana a Ponticelli dopo esser passato a piedi per Forcella. Quante Gomorre e nomi luciferini abbiamo letto nei blitz e nelle ordinanze antimafia, sovente rivolti a forme di criminalità che avevano poco della caratteristica penetrativa mafiosa? Ciò non è un caso e in fondo ben sappiamo che politici e magistrati giocano a ping pong con la macro-criminalità davanti ai riflettori, nella angosciosa consapevolezza di un eterno difetto di competenza. La camorra d’antan non esiste più, eppure sia il legislatore che gli operatori del diritto, compresi i vertici delle maestranze investigative, non si sforzano di rimediare gli strumenti per comprendere i nuovi fenomeni dell’illegalità.

La politica invece non si pone proprio il problema. Pensa a nutrire la pancia dell’opinione pubblica introducendo nuovi reati, operando un apparente giro di vite che poi, a conti fatti, non ha nessun impatto preventivo.

Quanti uomini di legge hanno perfettamente sposato il linguaggio fumettistico da Gotham City, senza che noi avessimo nulla da obiettare? Quando i giovanissimi (si) sparano i veri cattivi maestri sono in effetti l’indifferenza e l’incuria; non occorre soffermarsi sulle puntuali ricostruzioni sociologiche fornite da Isaia Sales, per capirlo basta la lettura dei più pragmatici testi di Valerio Marchi ed Emilio Quadrelli. Gran parte dei mini-ras che premono il grilletto hanno già un pregresso tra le patrie galere degli under 18. Viene da chiedersi per quale ragione non gli si eviti la ricaduta con calibrati interventi ri-educativi.

Ebbene killer ragazzini e baby vittime (altre etichette da fiction) segnalano tre morbi: mali di classe e perfettamente interclassisti. Napoli cadeva nel “foodificio” del suo congesto boom turistico prosciugando contemporaneamente il silenzioso dovere di politiche sociali di lungo periodo. La movida autoctona si è imbottita di locali, beni da esibire: i critici hanno fatto moralismo; non si sono soffermati a dire da dove venisse quella ricchezza e chi la aveva accettata. Accettando, prima, uno stile di conduzione della vita sociale.

De Magistris, in una vita passata pubblico ministero d’assalto, aveva ipotizzato che tutti potessero divertirsi a bere i drink ignorando che ci sono a tutt’oggi quartieri del capoluogo napoletano dove ci sono famiglie che non hanno neanche l’acqua a tavola.

Napoli la si vorrebbe ingrigire, non perché le bande diano pistole ai ragazzini: nel carrozzone festivo che la città deve sembrare, la violenza sotto la superficie del legale e dell’illegale è andata bene a tutti, al punto che la saldatura confusionaria tra quelle due sfere impatta sempre minori resistenze. La cattiva politica, anche da sinistra, ha riposto per decenni nello scantinato gli scheletri che non voleva più nascondere nell’armadio. D’altra parte, se lo Stato organizza i luoghi per la rieducazione come gabbie, una volta aperto il cancello non possiamo che ritrovarci degli animali (non proprio) da circo; uomini in divenire che per tempo hanno cercato una carezza, ma hanno sempre e solo trovato una mano che li ha nutriti di rabbia. In televisione tutti parlano di chi fosse il povero Santo Romano, diciannovenne ucciso a San Sebastiano a inizio novembre, ma perché ciò non riaccada dobbiamo interrogarci su chi sia davvero il suo omicida. Oggi, come per il futuro, i “selvaggi” figli delle nostre periferie non potranno che continuare a vomitare veleno ovunque. Anche sul sangue degli altri.

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