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Luigi Rapisarda

Con lo scioglimento della riserva e la lista del nuovo esecutivo Draghi si è conclusa la rituale liturgia delle consultazioni seguite alla crisi del governo Conte.

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 Ci si attendeva un cambiamento di metodo nella scelta dei ministri.

 Soprattutto dopo la chiara esternazione del Presidente Mattarella, che prendendo atto del fallimento del sistema politico, aveva dato carta bianca all’ex presidente della Bce.

 Al disvelare la lista dei ministri, comunicata in diretta tv dal Quirinale, dopo il colloquio con il Capo dello Stato,non pochi devono aver provato una certa delusione.

 Viene infatti spontaneo chiedersi se possiamo connotare governo dei migliori o delle eccellenze una compagine che riesuma figure logorate da precedenti esperienze di governo che molto hanno fatto discutere creando aspre contrapposizioni e risultati deludenti.

 Queste credenziali non ci tranquillizzano del tutto circa la buona riuscita dei compiti, quasi taumaturgici, che questo governo dovrà portare a termine in tempi relativamente brevi; dato che la scadenza del settennato porterà a febbraio prossimo all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica con tutti i prevedibili riverberi sulla coalizione di governo.

 Timori che non appaiono campati in aria nella ragionevole previsione di tutta la serie di contrapposizioni che sorgeranno tra ministri espressione di visioni e linee politiche antitetiche.

 Mentre è stupefacente accreditarsi in un quadro di rafforzato atlantismo con un ministro degli esteri che è stato il campione del trasformismo geo-politico che, con la trovata della via della seta,ha esposto l’Italia ai tentacoli dell’espansione economica cinese ed il quadrante del mediterraneo alle mire egemoniche di Turchia e Russia.

 Speriamo che Draghi  sia come Mandrake, capace di muovere lui tutte le pedine senza grandi difficoltà.
Ma le insidie nella prevedibile competizione tra i ministri,ad esempio tra un Garavaglia, Giorgetti e Brunetta e Orlando e Speranza, non fanno prefigurare una convivenza agevole.

 Mi chiedo infatti come possano trovare compatibilità le scuole di pensiero che animano le progettualità neo-liberiste dei ministri leghisti, cui sono stati affidati il ministero dello sviluppo e il ministro del turismo, con l’attribuzione  per la prima volta a questo dicastero di un portafoglio apposito, con le idee filo-assistenzialiste e stataliste di ministri del Pd e di Leu o del ministro dell’agricoltura, Patuanelli 5 Stelle, settore da sempre cavallo di battaglia della lega.

 E poi in tutta questa messe di risorse finanziarie che ci metterà a disposizione l’Unione europea ci sarà la giusta attenzione alla questione meridionale con una cospicua dose di risorse per gli investimenti infrastrutturali e un’adeguata valorizzazione turistica del sud, onde evitare che divenga sempre più una preoccupante polveriera sociale?

 Ci vorrà tutta l’abilità di Mario Draghi.

 Ma basterà?

 A leggere le dichiarazioni che i rispettivi segretari di Lega e Pd hanno rilasciato, non pare sia così facile.

 Ciascuno si intesta il compito di fare da baluardo allo strapotere dell’altro.

 Sembra quasi assistere alle solite schermaglie che si leggono quando uno è maggioranza e l’altro opposizione.

 Il fatto è che non è così.

Per la prima volta sono tutti dentro la coalizione di maggioranza, ad eccezione di FdI.

 E per fortuna!

 Diversamente ci saremmo trovati nell imbarazzante condizione di non avere una forza di opposizione: situazione impensabile per un sistema democratico, anche per dare rappresentanza parlamentare a quella parte del paese che non condivide le scelte dell’esecutivo.

 Una ulteriore sfida per Draghi, che se riuscito nell’intento di ottenere, con la semplice autorevolezza che gli è riconosciuta unanimemente in campo internazionale, l’appoggio di tutti i partiti dell’arco parlamentare ad eccezione del partito di Giorgia Meloni, dovrà saper impiegare tutto il suo prestigio per tenere saldo l’indirizzo programmatico, di cui è responsabile, senza deviazioni o tira e molla da una parte all’altra, come è successo a Conte.

 Ed il primo grande scoglio sarà certo la nuova elaborazione del Recovery plan. per rimediare alle brutte figure che finora si sono registrate con le due precedenti elaborazioni di questo importante documento programmatico che la Commissione europea attende per dare inizio all’erogazione dei fondi concordati.

 Sta di fatto che non possiamo pensare che sia sufficiente giocare solamente sul grande credito che Draghi può vantare perché l’Europa possa ammorbidire le sue valutazioni in merito.

 Per fortuna la grande esperienza di Mario Draghi e la garanzia di un personale altamente qualificato nei ministeri chiave sarà la carta vincente per la migliore elaborazione del piano.

 Mentre meno pregnante ci appare il grande favore dell’opinione pubblica che lo vede come il salvatore della Patria.

 L’evanescenza con cui sempre più spesso capita di vedere alti gradimenti degradarsi nel giro di pochissime settimane: effetto di quella società liquida ben descritta nei suoi precisi contorni da Dahrendorf, Popper e soprattutto Bauman, ci induce a grande prudenza anche di fronte ad una personalità di così alto spessore quale è Mario Draghi.

 È la convivenza tra partiti opposti nelle idee, nelle visioni di paese e nei programmi che ci fa preoccupare e prefigurare un cammino assai impervio.

 Un cammino dove la prova del nove per il governo non sarà solamente l’elaborazione di un serio piano vaccinale e di un coerente e congruo piano di investimenti dei fondi della next generation eu.

 Ad esso si dovranno accompagnare corposi progetti di riforma che oltre alla transizione energetica e digitale, dove la presenza di esperti di alto prestigio ne fanno trasparire la sicura buona riuscita, si dovrà mettere mano a innovazioni efficienti in settori dove sono decenni che non si riesce a dare soluzioni minimamente adeguate: dalla burocrazia, al fisco, dalla giustizia alla rete sanitaria, alla scuola a reti infrastrutturali capaci di assicurare crescita e sviluppo al nostro paese.

 E in questo quadro facciamo molta fatica a pensare come possano conciliarsi,ad esempio, nel campo della riforma della giustizia, il giustizialismo grillino, fautore di una incondizionata interruzione della prescrizione al primo grado, con l’effetto di rendere il processo senza termine, e il garantismo del centro destra.

 E la riforma del processo civile quale modello ordinamentale avrà?

 C’è poi la riforma del CSM, snodo cruciale negli assetti apicali della magistratura, quali sbocchi prenderà?

 E sul fisco si riuscirà a trovare un compromesso tra chi propugna la flat tax e chi si spinge fino a volere una  patrimoniale?

 Perciò stiamo fluttuando da giorni sull’onda di grandi speranze, anche se difficilmente ci faremo sopraffare da propositi di pessimismo a buon mercato.

 Sono passaggi storici cruciali ove si sta scrivendo il destino prossimo del nostro paese.

 E di certo non è “la Storia” che con tanta impudenza si gloriava di scrivere in diretta Di Maio e i suoi sodali grillini per aver consegnato alla improduttività e all’ozio i tanti giovani e quella forza lavoro inattiva che avrebbe dovuto trovare tempestivamente un nuovo impiego, con l’ausilio dei navigator, ma né questi si sono visti all’opera, né quei tanti destinatari di così desolante incentivo al buon far niente, sono andati a cercarlo.

 E in questo tunnel la pandemia e la inconcludenza del governo degli antipodi, meglio denominato Conte due, ha generato una tale sfiducia nelle proprie capacità, che non c’era più ceto sociale che vedesse oramai una via d’uscita.

 Antitetici e contrari,ovviamente prima a se stessi, perché sempre reduci,qualche momento prima, di nuove inopinate giravolte e ciascuno poi all’altro.

Una sorta di palcoscenico dove sembrava assistere alla recita di “Uno nessuno e centomila” di Luigi Pirandello.

 Ora la strada si prevede lunga ed in salita perché i primi ad ostacolare surrettiziamente il tentativo di Draghi saranno proprio quei partiti che si sono visti messi in mora dalla rapida decisione del Presidente Mattarella che ha dovuto prendere atto del fallimento della politica e dei suoi esponenti ritrovatisi di colpo in un cul de sac.

 Spiazzati come non mai dalla mossa del Quirinale mentre 5 Stelle e Pd restavano irresponsabilmente fermi a propiziare una prosecuzione del governo Conte, nella speranza di qualche senatore pronto a cambiare casacca.

 In questa chiave può essere letta l’ardita e demagogica trovata di Conte di presentarsi come un Masaniello della prima ora a rassicurare il presidente incaricato che nessuna trama al suo tentativo da parte sua doveva attendersi.

 Nel contempo mettendo bene in chiaro a tutti che il suo percorso in politica non è finito, proponendosi come alfiere del movimento 5 Stelle e come futuro, leader della coalizione di centrosinistra.

 È stata a detta di tanti, una recita non ben coordinata dove alle parole si accompagnava una postura ed una gestualità che sembrava fortemente tradire la sincerità di quel dire.

 Un’esibizione più da paese sudamericano che da contesto europeo.

 Mancavano solo i descamisados in quella piazza antistante palazzo Chigi, densa solo di giornalisti convocati all’ultimo minuto per l’ennesima e singolare appuntamento con il popolo dell’avvocato.

 Magari, stante i divieti di assembramento, avranno ben supplito i social nel trovare il pubblico per tanto evento.

 Ma la trovata pirotecnica di Conte ne ha disvelato, senza ombra di dubbio, dove  intende andare a collocarsi,

 Altro che leader di un neo partito di centro, come sembravano accreditare tante voci sul suo futuro politico.

 A ben vedere appariva singolare che Conte con un’azione politica che lo ha trovato, ora su posizioni giacobine, anti europee, anti immigrazione e securitarie, tanto da autodefinirsi già al suo primo apparire, “avvocato del popolo”; ora con rotazione a 180 gradi su posizioni filo europeiste, giustizialiste ed autocratiche con consistente affievolimento del ruolo del parlamento, venisse accreditato verso una collocazione politica di centro.

 Mentre è ben noto come dell’indebolimento del ruolo del parlamento,ne ha fatto espressa doglianza la presidente del Senato, Elisabetta Casellati.

 A tal proposito valga la pena inoltre di andarsi a leggere le tante argomentate critiche del prof. Sabino Cassese, presidente emerito della Corte Costituzionale, sul ricorso ad oltranza dei Dpcm ed alla loro non lineare conformità al dettato costituzionale.

 A questo punto resta il problema del suo futuro politico che può rivelarsi un incognita nel momento in cui egli non ha avuto alcun incarico ministeriale nel nuovo governo.

 Un dato che ne fa emergere tutta l’evanescenza del potere quando oggi si esce dal giro della quotidianità mediatica: si finisce per perdere inesorabilmente quella rendita di posizione che assicura lo stare alla ribalta.

 Questo guardare al recente passato non ci può non far fare un parallelo, anche se allo stato appare molto azzardato, nella genesi dei due governi.

 Mentre il collante del Conte due era stata la tremenda paura del voto, al punto che nessuno, ma soprattutto il Pd si è ben disposto all’alleanza accettando, obtorto collo, condizioni invalicabili poste dal movimento 5 stelle, quali Mes, blocco delle grandi opere, sterilizzazione della prescrizione nel processo penale, ecc.

 Quello che invece appare singolare è che al momento, stando alle dichiarazioni dei leader,nessuno conosce il programma di questo nuovo governo.

 Questo vuol dire che tutti i partiti hanno deciso di  fidarsi ciecamente di Draghi e assicurare il proprio sostegno al buio.

 Ossia per il solo fatto di dare assoluto crediti all’alta professionalità e prestigio del presidente incaricato.

 Ma il programma non è una prerogativa monocratica del capo del governo il quale secondo l’art. 95 della Costituzione “..dirige la politica generale del governo e ne è responsabile..”.

 Il programma è il portato di decisioni collegiali del consiglio dei ministri.

 Per questo se adesso sembrano rose e fiori appena il presidente ne illustrerà il suo contenuto alle Camere, quali saranno le reazioni delle forze che ne hanno dichiarato incondizionatamente il sostegno?

 E quali saranno le mediazioni che Draghi dovrà fare se non vuole snaturare la sua idea di paese?

 Speriamo che le peculiari traversie di questa nostra legislatura siano solo un passato ricordo e non anche una chiave ermeneutica per pronosticare in filigrana il destino di questo governo.

14.02.2021

Luigi Rapisarda

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