a cura di Chiara Gatti e Lorenzo Giusti
La prima grande retrospettiva museale dedicata a Regina Cassolo Bracchi, una delle figure più affascinanti del panorama artistico europeo del Novecento.
Nata dall’acquisizione di un importante nucleo di opere dell’artista da parte della GAMeC e del Centre Pompidou di Parigi, la mostra raccoglie 250 lavori all’interno di un percorso che abbraccia 50 anni di attività.
La data di apertura della mostra e le modalità di visita saranno comunicate al più presto, sulla base delle disposizioni governative.
Bergamo, 22 marzo 2021 – In attesa della riapertura, la GAMeC di Bergamo annuncia la prima retrospettiva in un museo italiano dedicata a Regina Cassolo Bracchi, in arte Regina (21 maggio 1894 – 14 settembre 1974), una delle figure più affascinanti, innovative e ancora oggi meno note del panorama artistico europeo del Novecento.
L’esposizione sarà allestita per l’inizio del mese di aprile e pronta ad aprire al pubblico in totale sicurezza non appena le disposizioni governative lo consentiranno.
La mostra, a cura di Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, nasce dall’acquisizione da parte della GAMeC e del Centre Pompidou di Parigi di un importante nucleo di opere dell’artista e mira ad analizzare – dagli esordi negli anni Venti fino ai primi anni Settanta – la riflessione formale di una personalità unica, rimasta a torto ai margini della storia e riscoperta adesso quale figura complessa, sperimentatrice, versatile e poetica.
Lo stesso museo parigino dedicherà un’attenzione particolare alla ricerca dell’artista, nella mostra Women in Abstraction: Another History of Abstraction in the 20th Century, a cura di Christine Macel e Karolina Lewandowska (5 maggio – 6 settembre 2021).
Originaria di Mede Lomellina, figlia di un macellaio e orfana in giovane età, Regina è stata la prima donna dell’avanguardia italiana a dedicarsi interamente alla scultura, di cui ha riletto i linguaggi in direzione audace e sperimentale, piegando la ricerca accademica e naturalistica all’uso di materiali inediti. Alluminio, filo di ferro, latta, stagno, carta vetrata sono stati i mezzi privilegiati di una continua e inesausta indagine compositiva ed espressiva che ha abbracciato inizialmente i modi del Futurismo (firma nel 1934 il Manifesto tecnico dell’aeroplastica futurista) e poi quelli del MAC, il Movimento arte concreta (1948), a cui Regina si avvicina nel 1951 grazie a Bruno Munari.
La leggerezza dei materiali, il dinamismo delle forme, un linguaggio fatto di sintesi geometrica e astrazioni liriche animano il suo lavoro, accanto a una pratica quotidiana, volitiva e rigorosa.
Duecentocinquanta opere – tra sculture, mobiles, disegni, cartamodelli e taccuini – ci guidano in un percorso che si sviluppa per temi ed epoche, intrecciando i contatti con i movimenti dell’avanguardia e le vicende biografiche, dal Ventennio al boom del dopoguerra.
Grazie ai prestiti della Collezione-Archivio Gaetano e Zoe Fermani, di altri privati e del Museo di Mede Lomellina, che custodisce una parte significativa della sua produzione degli esordi, il viaggio nell’universo di Regina prende avvio dalla formazione accademica, con i primi ritratti realisti, di sapore Novecentesco, e gli studi sintetici degli animali.
Gli anni di adesione al Futurismo, durante i quali Regina partecipa a tutte le Biennali di Venezia e alle Quadriennali romane, sono caratterizzati da opere in cui memorie di un mondo meccanico alla Depero si mescolano con le compenetrazioni spaziali di Archipenko e dove l’alluminio piegato libera le forme dai vincoli dei volumi della scultura tradizionale.
In questo processo di creazione e montaggio di opere trasognate, la carta diviene lo strumento imprescindibile di ogni analisi preliminare. Modelli puntati con spilli, secondo una pratica sartoriale applicata alla vocazione aerea delle sue figure, le servono per sagomare il metallo senza incertezze, con energia e dolcezza.
Come in un gigantesco erbario, la sezione dedicata ai disegni dei fiori di campo e ai gessi degli anni Quaranta mostra una sequenza serrata, fiabesca e allo stesso tempo scientifica di studi sulla vegetazione spontanea, ritratta su centinaia di fogli sparsi, come un diario quotidiano di osservazione del mondo naturale, presto modificato nelle linee essenziali del suo astrattismo maturo.
La stagione del MAC allinea cerchi, ellissi, giochi di triangoli o losanghe issati con grazia ed equilibrio in composizioni mobili, vibranti, spesso realizzate in Plexiglas; sintesi estrema di motivi tratti dal regno selvatico, declinati secondo le regole costruttive della natura.
Le suggestioni spaziali diffuse nella Milano degli anni Cinquanta si rivelano in opere che tradiscono il miraggio della corsa alla luna, sintetizzato da Regina in traiettorie di segni nel vuoto, combinazione ideale fra le linee-forza di matrice futurista e lo spazialismo di Fontana.
Completa la mostra una monografia, pubblicata da GAMeC Books ed Éditions du Centre Pompidou, con saggi di Christine Macel, Lorenzo Giusti, Chiara Gatti, Paolo Campiglio e Paolo Sacchini, concept grafico di Leonardo Sonnoli e con un progetto fotografico di Delfino Sisto Legnani.
L’allestimento è a cura del designer Francesco Faccin.
La mostra è sostenuta da Santini Maglificio Sportivo.
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