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Nel corso degli anni da quando sono andate affermandosi, in varie parti del mondo,  le pratiche bioregionali e dell’ecologia profonda,  tra i vari praticanti sono anche emerse alcune differenze di interpretazione e di indirizzo. Tutti i bioregionalisti concordano sul fatto che l’uomo deve ritrovare il suo posto all’interno della comunità dei viventi, facendone parte e non restandone a parte.

Questo soprattutto perché, in seguito all’astrazione del pensiero religioso antropocentrico e del sistema competitivo consumista, l’uomo  si è arrogato il diritto  e la funzione di “dominatore e utilizzatore primo” di tutto ciò che esiste sulla Terra (e se gli fosse possibile anche di quanto esiste nel sistema solare e magari nel cosmo). Insomma l’uomo si è ubriacato di potere ed ha perso la consapevolezza che tutto è inscindibilmente connesso e ciò che procura danno agli altri infine si ritorce contro lui stesso.

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Ma, pur condividendo questi assiomi di massima, da un lato  è andato formandosi un filone “primitivista”, di un ritorno al modello incarnato dal “buon selvaggio”. Perciò basta agricoltura, basta urbanizzazione, basta tecnologia ed allo stesso tempo sì alla  caccia “ad armi pari” (o quasi), sì alla formazione tribale della società, sì allo sciamanesimo “naturalistico” e – soprattutto – sì all’istinto come “guida interna”.

Purtroppo questi cosiddetti “primitivisti” non possono però fare a meno di utilizzare  i metodi dell’uomo moderno, persino per divulgare le loro stesse idee, senza parlare poi di come presumono di  poter garantire la sopravvivenza dei miliardi di umani presenti oggi sul pianeta. Forse per questi”idealisti” la soluzione sta  nella drastica diminuzione -se non quasi scomparsa- dell’essere umano sulla Terra (un esperimento della natura andato a male, lo chiamano).

Inutile dire che io personalmente non mi riconosco in questo filone di pensiero, anzi…. ritengo che l’aggiustamento ecologico, l’ecologizzazione di tutto il sistema,  vada perseguito con intelligenza e cognizione di causa, partendo dalla situazione in cui ci troviamo, cambiando l’approccio generale senza voler abbattere un modello di civiltà al quale siamo faticosamente arrivati. Qualsiasi forma tecnologica o utilizzativa delle risorse deve rispondere alla richiesta “è ciò in sintonia con l’ecologia profonda? Rientra nella capacità di totale riassorbimento al contesto naturale?”.

Ovviamente per ottenere dei risultati concreti in tal senso va da sé che l’istinto non è la funzione mentale idonea, questo perché l’istinto si basa essenzialmente su risposte precostituite, maturate in un ambito esperenziale passato. Per realizzare l’opera bioregionale, senza presupporre una “distruzione della civiltà”, è importante che la mente umana si focalizzi sul  “sottile” e sull’essenziale.

Ciò che esiste, chiamiamolo “ciò che è” al momento presente, è innegabilmente parte della realtà,  è quel che ci ritorna come risultato delle azioni ed intenzioni finora messe in pratica. Abbiamo visto innumerevoli volte nel passato che tentare di fare tabula rasa cercando di ripartire con nuovi modelli in verità non funziona. Il passato, come l’inconscio collettivo descritto da Jung, resta lì a pesare nelle nostre scelte.

Contemplare il “sottile” con adeguato distacco può e deve condurre l’uomo a rielaborare il suo approccio cognitivo e comportamentale nei confronti della vita che lo accoglie e lo circonda e di cui egli stesso fa parte. L’operazione proposta  è una sorta di riesame cosciente, capace di mostrare all’uomo dove le sue scelte hanno condotto al fallimento. Questo processo intellettivo è più vicino all’intuizione  che all’istinto.

L’intuizione e l’intelligenza discorsiva attingono ad una consapevolezza più profonda di quella istintuale (che sostanzialmente è cieca). L’intelletto e l’intuizione sono gli strumenti con i quali poter operare un ritorno consapevole alla natura ed in tal modo riportare l’uomo nel “grande flusso”  senza  ledere alle capacità spirituali e scientifiche finora sviluppate.

Per questa ragione quando parlo di attuazione bioregionale mi riferisco anche alla spiritualità laica ed alla capacità analitica propria dell’intelligenza conoscitiva. Certo dobbiamo perdere l’arroganza del raggiungimento e il senso di superiorità ma ciò non toglie che la simbiosi debba e possa avvenire attraverso l’integrazione di funzioni e di livelli diversi.

Ad esempio secondo la “psicologia” della spiritualità  laica (l’approccio spirituale che – secondo me –  meglio si coniuga con l’idea dell’ecologia profonda) la mente deve percepire la Realtà  nella sua completezza,  un approccio “misterioso”, che ha  il suo  punto centrale nell’apertura  fra la coscienza razionale  e quella intuitiva. Una forma di contemplazione dell’apparente (ciò che è manifesto) e del sottile (la capacità integrativa).

L’attenzione, o pratica distaccata (cioè non contaminata da ideologie di sorta), consente alla mente di operare in entrambi i modi senza interferenze.

Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana

 

 bioregionalismo.treia@gmail.com

Fonte: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/

 

 

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