LA NUOVA SILLOGE DI MALETTA, TRA AMORE E RIBELLIONE
di Domenico Bilotti
Pubblichiamo moltissima poesia, ma in nome dell’aver rimosso i galloni dell’arte e della tecnica in capo alla parola scritta, troppo spesso si tratta di soliloqui che blaterano scelte stilistico-espressive non meno deficitarie di quelle contenutistiche. Le sillogi che scartano la vacuità limacciosa di questa palude sono perciò atte a mobilitare le nostre migliori attenzioni e intenzioni. Dietro il titolo-manifesto “Poesie d’amore e ribellione”, una declamativa mai declamatoria, Emanuele Maletta consegna ai tipi di Librellula (Lamezia Terme, 2021) una raccolta riuscita, che propone il giovane artista a un livello anche più convincente di quello al quale lo avevamo lasciato con primi abbozzi di vena poetica in sortite precedenti.
Le poesie di Maletta hanno un istinto vivace e colorito che non annoia le composizioni più lunghe e non svilisce le più brevi e schiette. La parola è densa, usata come una tavolozza che pesca immagini fortunate, frammenti di una relazione sentimentale e balzi in avanti verso la società, la politica, la giustizia (temi sui quali alterna fragore, scetticismo, critica, disincanto, rabbia, insoddisfazione, con scelte terminologiche pertinenti alle idee compositive).
“Straniero senza fiore” e “Al social bar” si richiamano più di quanto appaia a prima lettura, perché trattano rispettivamente il tema della sofferenza per l’alienazione individuale e l’assuefazione collettiva a quel tipo di alienazione, con cromatismi intelligenti e piglio sincero.
Ci sono poi squarci consapevolmente terrigni e concreti, come “Scarpa” e “Foglia”, dove parole e immagini quotidiane danno in realtà voce a forme più elaborate di malessere e benessere.
C’è, ancora, il tema dell’ingiustizia, declinato in modo palesemente antiautoritario – come già suggerisce la dedica del libro alle vittime della malagiustizia e della malasicurezza (“Giustizia Orrenda” e “Perduti, non persi” sono effettivamente eloquenti e rappresentano anche un malcontento reattivo non privo di una specifica carica generazionale).
Vivide anche le pennellate di precipua derivazione amorosa, consegnate a una musa solo nominata nei ringraziamenti (Rosalba, che, se non esistesse come ragazza in carne ed ossa, potrebbe sembrare per l’A. un senhal di promanazione provenzal-stilnovistica). Perfettamente in questa scia il trittico che chiude l’appassionato volumetto: “Noi in un mai”, “I miei occhi per te”, “I tuoi occhi per me”. Cartoline dell’altro possibile, incanti della fascinazione giornaliera, messaggi del tempo nuovo che ci richiama all’estro, risonanze per vocazioni carezzevoli e istanze di condivisione. Questa ultima raccolta di Maletta lumeggia con soddisfazione l’A. alle prese con una maturazione che gli fornisce giusta convinzione, ma, a beneficio dei lettori, anche versi non malamente transitori, bensì istantanee autentiche che parlano i loro momenti e i loro luoghi. Leggiamo questo, reclamiamo il seguito.