di Giuseppe Arnò *
Cucina d’autore e politica
Gastronomia e politica: un legame criptico. Tutto si può dire dei nostri politici meno che, alla bisogna, non sappiano trasformarsi in fantastici chef nell’elaborare le c.d. ricette del riciclo, ovvero trasformare in piatto del giorno una vecchia pietanza avanzata: il Ponte sullo Stretto! Un ponte da sempre pensato e mai realizzato. Un’opera che per alcuni avrebbe finalmente unito la Sicilia all’Italia e all’Europa, ponendo così le basi per un dirompente sviluppo economico dell´isola e del Meridione d´Italia, ma che per altri avrebbe infranto l´aureo isolazionismo della “Trinacria”, destinata a rimanere isola per volere ‘divino’, per ideologia, per la salvaguardia ambientale e delle tradizioni o, infine, per i più maliziosi, per il mantenimento del flusso di quattrini destinati di volta in volta ai fantasiosi progetti ingegneristici che sorgono con la manfrina del Ponte. A questo punto, per meglio trattare l’argomento di certo non guasta una breve cronistoria di questa fantasmagorica opera: il Ponte sullo Stretto.
Il C.V. del Ponte
«Sono stato il primo e resterò il migliore».
Questo slogan ricorda una vecchia e indimenticabile propaganda della Ferrero e ci è tornato in mente nel riportarci al primo episodio della lunga storia del Ponte in questione (oramai quest’ultimo merita l’iniziale maiuscola per l’importanza storica che riveste). La vicenda conta oltre 2.000 anni da quando ha avuto inizio. Era infatti il lontano 250 a.C. e lo storico Strabone ci descrive che il console Lucio Cecilio Metello fece costruire un ponte sullo Stretto di Messina collegando tra loro navi e botti galleggianti per trasferire a Roma 104 elefanti africani catturati dalle legioni romane ad Asdrubale nella battaglia di Palermo del 251 a.C.
Questo è stato il primo e sinora unico ponte sullo Stretto di Messina, ancorché provvisorio, a cui va giustamente assegnato lo slogan del “giandojòt” Ferrero. Infatti, sono trascorsi quasi due millenni e a collegare le due sponde dirimpettaie non c’è nulla all’infuori di traghetti e aliscafi; la Sicilia è rimasta un’isola e il Ponte è rimasto una chimera, talché esso oramai può essere considerato un’entità mitica come le due mostruose creature a guardia dello Stretto: Scilla sulla sponda calabra e Cariddi su quella sicula. A questo punto, ci manca solo che il fantastico Ponte, per essere entrato nel mondo misterioso e affascinante dei sogni, dove le leggi della realtà non si applicano e per essersi trasformato in segnacolo della fatale insularità dei siciliani, sia dichiarato «Sito Chimera, patrimonio culturale Unesco».
«Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente» tuonava, continuando la cronistoria, l’onorevole Giuseppe Zanardelli nel lontano 1876… ma ci pensò il devastante terremoto del 1908, che rase quasi al suolo Messina mietendo oltre 80 mila vittime, a far naufragare quel progetto. In epoca fascista e precisamente nel 1934 l’idea del Ponte riprese respiro, ma la Seconda Guerra Mondiale la fece cadere in catalessi. Nel 1952 il noto ingegnere americano David B. Steinman elaborò un´apprezzabile soluzione progettuale e tre anni dopo, per dar seguito ai lavori, fu costituita la società Gruppo Ponte di Messina S.p.A. (messa in liquidazione nel 2013). Conseguentemente, dal 1952 al 1969 vi furono molteplici studi ed elaborazioni ingegneristiche il cui costo, con le spese della liquidazione societaria ancora in corso, si aggira sui 3 miliardi e 200 milioni di vecchie lire.
E chissà, sospettano ancora una volta le malelingue, che non sia questo infinito turbinio di soldi ciò che più interessa a chi continua ad intralciare la realizzazione di questo bel sogno? Beh, malpensanti a parte, dal `97 al 2007 la realizzazione del Ponte fu cavallo di battaglia di Berlusconi e dei vari movimenti regionali autonomisti finché non arrivò Monti che, ancora una volta, mise sotto naftalina il progetto millenario. Il governo Conte mantenne la questione del Ponte riscaldata a bagnomaria, ma a ´scolarla` ci pensò Matteo Renzi nel suo ultimo libro «La mossa del cavallo. Come ricominciare, insieme» affermando con una frase ad effetto: «serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza».
Ecco però che il revival si rinvigorisce ulteriormente con l’odore del Fondo di recupero (Recovery Fund): i fondi promessi dall’UE per rilanciare i Paesi colpiti dalla crisi. In effetti, così tante carrettate di denari (si tratta di 191,5 miliardi) ridanno linfa vitale al progetto “Ponte” a guisa di tonico energetico, tant’è che i faccendieri di turno e non solo già si sentono stimolati incondizionatamente alla salivazione così come facevano i cani di Pavlov al suono del campanello. Draghi infatti, e così arriviamo ai nostri giorni, attraverso il Ministro delle infrastrutture e della mobilità Enrico Giovannini, fa annunciare che verranno stanziati 50 milioni di Euro per finanziare il progetto di fattibilità del Ponte da realizzare entro il 2022. Ma a tal proposito, per come riferisce Matilde Siracusano, deputata di Forza Italia, il pentastellato viceministro per le Infrastrutture e i trasporti Giancarlo Cancelleri rimette in campo l’idea, già a suo tempo archiviata, di un tunnel sottomarino per collegare la Sicilia al Continente. Dunque, secondo i dati tecnici da noi conosciuti, per realizzare un tunnel sarebbe necessario scavare a 250 metri sotto il livello del mare per una lunghezza di almeno 30 km, in alternativa al classico progetto del Ponte già pagato nonché «visto e piaciuto» di appena 3 km.
Che dire… i gusti sono gusti!
Fatto sta che la tiritera «ponte sì, ponte no» suscita oltre che eterni e accesi dibattiti relativi a scelte, costi, utilità e fattibilità tecnica persino la fantasia dei registi cinematografici. A tal proposito ci torna in mente una scena del film “Qualunquemente” di Giulio Manfredonia, in cui il protagonista (Cetto La Qualunque), assicura: “Il ponte (sullo Stretto) si farà! E se non basta il ponte faremo un tunnel, perché un buco mette sempre allegria!” … e finalmente iniziano i lavori del ponte. Ma si tratta notoriamente di un film commedia e tale rimane la realtà del tanto sospirato Ponte, la cui telenovela sarà probabilmente allungata, ancora una volta, dalle agguerrite lobbies «No Grandi Opere» con nuove e innumeri puntate.
Ponti non muri.
A quanto pare dunque neanche l’esortazione, oramai divenuta slogan, profferita da Papa Francesco alla G.M.G. di Cracovia «costruire ponti non muri» servirà a rabbonire gli animi dei gruppi di pressione contrari alla realizzazione di questo benedetto Ponte. Una volta, in tali circostanze, si sarebbe detto: “Non c’è più religione”, oggi non lo si dice più! Ciò nonostante, va precisato che non è vero che le lobbies non abbiano una religione. Esse sono monoteiste e il loro unico e solo Dio è il denaro con cui seducono e condizionano chi governa e chi vota, tutelando così gli interessi liberisti in barba al progresso economico e sociale. Ma che sbadati! Ogni tanto ci capita: presi dalla foga dello scrivere, siamo usciti un po´ dal cosiddetto seminato. Torniamo quindi a bomba e completiamo così l’esegesi delle fonti storiche del questionato Ponte.
La Fata Morgana.
La leggenda racconta: “Durante le invasioni barbariche alto medioevali, in agosto, un re barbaro giunto a Reggio Calabria vide all’orizzonte la Sicilia e si domandò come raggiungerla, quando una donna molto bella (appunto la Fata Morgana) fece apparire l’isola a due passi dal re conquistatore. Costui allora si gettò in acqua, convinto di potervi arrivare con un paio di bracciate, ma l’incanto si ruppe e lui morì affogato”. E parimenti, per concludere, moriranno soffocate le speranze di coloro che vedono avvicinarsi la realizzazione del fantastico Ponte!
Orbene, gira e rigira, i governi cambiano, il tempo passa e di tanto in tanto la perversa tautologia della falsa politica che promette e non mantiene fa rispuntare, su un vassoio d´argento e come piatto del giorno, il progetto del Ponte sapientemente gourmetizzato. Allora? Mettiamo un punto fermo alla questione e facciamocene finalmente una ragione! Il Ponte sullo Stretto, ahinoi, non è che una chimera e, con Bellerofonte impegnato in molteplici altre imprese, tale rimarrà in sæcula sæculorum. Esso esiste solo nella storia di quell’estremo lembo sud della Penisola (benedetto dalla natura e violentato dai sempiterni malaffaristi), nonché nel repertorio dei primati delle opere abbozzate e mai realizzate.
Per molti una siffatta conclusione rappresenta una grande delusione, ma a conti fatti… chissà che non sia meglio così! Il Ponte, in realtà, per alcuni esperti di sociologia economica potrebbe rappresentare la «longa manus» di quel globalismo scellerato che ha portato alla rovina intere nazioni, distruggendo culture, identità, tradizioni, credenze religiose e saperi. Saranno illazioni fantasociologiche asimoviane? Bah chissà! Quel che sappiamo è che non a caso Alessandro Manzoni, il nostro maggior romanziere, ci ricorda: «Non sempre ciò che vien dopo è progresso»!
*direttore La Gazzetta italo brasiliana – www.