La Campania sta diventando come la Sicilia, e non è una buona notizia: un laboratorio dove si sperimentano discutibili pratiche di gestione dei beni culturali pubblici prima di veicolarle nel resto d’Italia. Dove va a finire la credibilità dei musei, obiettivo prioritario secondo il codice etico che li regola, se il Nazionale di Napoli allestisce una mostra sul tema affascinante del gioco dall’Antichità al XX secolo ma con tale superficialità, proprio nella parte archeologica, da doverla definire mostruosa (Montanari docet) e a Caserta un funzionario alla comunicazione, di formazione storico dell’arte ma specialista di pittura del Seicento, diventa per la Direzione (locale e nazionale) un’autorità indiscutibile in materia di scultura settecentesca napoletana? Eppure, accade proprio questo. Alle anomalie dell’esposizione partenopea ho dato spazio sui social, mentre la vicenda casertana, di gran lunga la più deplorevole, è stata oggetto di un’interrogazione a mia prima firma, sottoscritta anche dai colleghi Angrisani, Granato e Lannutti: è l’Atto Senato n. 3-02985 del 15 dicembre. Nulla infatti assicura che la statua di infante addormentato presentata alla stampa il 1° ottobre come opera “perduta” e “scomparsa” nei magazzini della Reggia, nonostante rechi ben quattro indicazioni inventariali (una del 1879, una del 1905 e due post 1919) e in rete si rinvenga la relativa scheda del “Catalogo generale dei Beni Culturali”, compilata nel 1987 e digitalizzata nel 2005, sia realmente un ritratto di Carlo Tito di Borbone realizzato dal celebre Giuseppe Sanmartino (1720-1793). L’unico appiglio documentale è un passo della “Gazzetta Universale” che, riferendosi al 14 febbraio 1775, quando l’erede al trono aveva appena 40 giorni, attesta che la regina aveva commissionato al Sanmartino una effigie del neonato a grandezza naturale per ricavarne un ex voto d’argento, a quella data già realizzato. Teste detta informazione, un modello in materiale leggero (terracotta o legno, ad es.) è di gran lunga più credibile di una scultura lapidea, per di più realizzata a tempo di record. Per non dire che i caratteri formali della statua sembrano orientare verso il tardo barocchismo romano. Invece di innescare un dibattito tra specialisti, però, la Reggia somministra al pubblico certezze assolute, o presunte tali, che nuocciono alla credibilità sua e del Collegio Romano, sempre più incline al sensazionalismo e alla disonestà intellettuale propria di un ministero della propaganda. Che i cittadini-clienti siano intrinsecamente ignoranti, dunque si possa loro propinare qualsiasi ‘pietanza avariata’, è la convinzione sottesa a simili operazioni, del tutto irrispettose del fatto che il patrimonio culturale che il MiC si ostina a divulgare in maniera così distorta e irresponsabile, e tuttavia facendosene vanto come di uno straordinario progresso, appartiene alla collettività. Il dicastero di Franceschini l’ha in consegna, semplicemente, e non per servirsene a proprio vantaggio personale ma per realizzare il dettato dell’articolo 9 della Costituzione, purtroppo costantemente disapplicato.
Margherita Corrado (Senato, Gruppo Misto – Commissione Cultura)