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A S.E. Ministro di Giustizia – Dr.ssa Marta CARTABIA

 

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OGGETTO: interdizione accessi alle Procure, ai Tribunali e agli altri luoghi della Giustizia per gli Avvocati ultracinquantenni

 

Con il D.L. n. 1/2022 è stato esteso l’obbligo di ostensione di un green pass per l’accesso agli uffici giudiziari, quali uffici pubblici, anche agli Avvocati, ai sensi dell’art. 3 “Estensione dell’impiego delle certificazioni verdi COVID-19”, intervenendo sull’art. 9-sexies di altro decreto e continuando a tenere esenti i soli “testimoni” e le “parti del processo”.

Nel decreto, nel passaggio della premessa del testo si leggono le motivazioni del nuovo decreto che tali estensioni determinano ([1]) ma solo quando si specifica la “straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare il quadro delle vigenti misure di contenimento della diffusione del virus”; si specifica infatti che l’obiettivo viene perseguito “estendendo, tra l’altro, l’obbligo vaccinale ai soggetti ultra cinquantenni e a settori particolarmente esposti, quali quello universitario e dell’istruzione superiore..

La premessa evidenzia rende quindi evidente che l’ambito giudiziario non è ritenuto tra i “settori particolarmente esposti” nell’attuale “contesto di rischio” e di “stato di pericolo per il diritto costituzionale alla tutela della salute collettiva”.

Non serve, quindi, nemmeno entrare nel tema dell’effettività della sussistenza di “condizioni sanitarie di eccezionale emergenza giustificative della limitazione delle libertà e dei diritti individuali”, non ventilate in ambito giudiziario, per comprendere, da attenti interpreti della volontà del Legislatore, che è probabilmente per questo che il D.P.R. 1/22 all’art. 1 pone addirittura un obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonchè ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio  1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, ma si limita a prescrivere art. 3 solo una “Estensione dell’impiego delle certificazioni verdi COVID-19” per l’ingresso negli Uffici Giudiziari.

Il decreto-legge non fa altro che pretendere dall’avvocato che voglia entrare negli uffici giudiziari lo stesso tampone o certificato vaccinale che viene richiesto per entrare in qualsivoglia altro pubblico esercizio.

Senza entrare nel merito della previsione del co. II, lett. B, n. 3 del medesimo articolo che pur segna un’involuzione della tutela costituzionale ex artt. 3 e 24 cost. in tema di legittimo impedimento ([2]), debbono essere invece portati alla Sua attenzione il decreto 4/2022 del 10 gennaio 2022 del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, Dr. Antonio Mura, il decreto 170/2022 del 14 gennaio 2022 del Procuratore della Repubblica Aggiunto, delegato alla Sicurezza presso il Tribunale di Roma, Dr.ssa Lucia Lotti e la nota del Capo Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria del Personale e dei Servizi del Ministero della Giustizia, Dr.ssa Barbara Fabbrini che ha inteso dettare una interpretazione autentica al decreto rispondendo alle perplessità applicative prospettate dall’OCF e dal CNF.

Tali interventi destano non poche perplessità perché non tengono conto della lettera del testo legislativo di cui vorrebbero rappresentare un’attuazione.

Il regolamento della Procura Generale, “per agevolare la tempestiva attuazione delle prescrizioni legislative” introdotte con D.L. n. 1/2022, ha disposto che “i delegati dal Procuratore Generale (Segretario Generale e Procuratori della Repubblica) estenderanno, con effetto immediato, i controlli di cui al precedente punto 3 (possesso del green pass base) a difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei alla amministrazione della giustizia, ai sensi dell’art. 9 sexies, comma 4, del d.l. n. 52 del 2021, come modificato dall’art. 3, co. 1, n. 2, lett. b) del d.l. n. 1 del 2022”, mantenendo fermo “il termine del 15 febbraio 2022 per l’esibizione del green pass rafforzato per gli ultracinquantenni”, prescrivendo al riguardo che “in caso di soggetto che dovesse risultare non in regola con gli obblighi di legge, i preposti al controllo dovranno vietare l’accesso alla struttura o la permanenza in essa se la persona già vi abbia fatto ingresso”.

Il regolamento della Procura di Roma ha a sua volta dichiarato la “decorrenza immediata” del provvedimento affidando la gestione delle modalità di controllo del green pass all’ingresso della città giudiziaria agli agenti di polizia penitenziaria in servizio.

La nota del Capo Dipartimento, Dr.ssa Barbara Fabbrini, ha a sua volta dichiarato l’immediata applicabilità ai difensori delle disposizioni sul green pass base e previsto che “a partire dal 15 febbraio 2022, ai fini dell’accesso negli uffici giudiziari, dovrà farsi applicazione delle disposizioni relative all’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni ed alla necessità del possesso del relativo green pass «rafforzato», ferma restando la diversa disciplina relative alle categorie esentate”.

Ebbene, tali interventi sono palesemente illegittimi e gravemente lesivi del diritto di difesa oltre che delle libertà degli avvocati per tre diverse ragioni, tutte egualmente inaccettabili e non degne di uno stato democratico e costituzionale:

 

PRIMO MOTIVO: per espresso dettato del decreto legge, gli Avvocati avrebbero dovuto essere tenuti alla esibizione della certificazione verde “base” soltanto a partire dal giorno 1 febbraio 2022; l’articolo 3, comma 1, del D.L. n. 1/2022, infatti, dopo aver elencato i soggetti destinatari delle nuove disposizioni includendo anche gli avvocati, ha precisato i tempi di decorrenza dell’efficacia delle stesse ([3]); ne consegue che i decreti emanati dai Rappresentanti della Procura Generale e della Procura Ordinaria della Repubblica, nonché la nota del Ministero di Giustizia – che, peraltro, interpreta un testo di legge non da quel dicastero – si pongono al riguardo in evidente violazione di legge, pretendendo di modificare mediante regolamento il dettato di una fonte normativa, il Decreto Legge del 7 gennaio 2022, n. 1, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 4 del 7 gennaio 2022, entrato in vigore il giorno 8 gennaio 2022, imponendo la sua osservanza a soggetti, gli Avvocati, che non si trovano in alcun rapporto di dipendenza con l’Ufficio di Procura, tra l’altro con un provvedimento che contiene una espressa minaccia di coazione all’esercizio della funzione difensiva costituzionalmente prevista e garantita in caso di mancata esibizione della certificazione verde ben prima che il provvedimento dispieghi i suoi effetti. Anticipare gli effetti di tale imposizione configura esercizio indebito di un potere rimesso espressamente dal decreto legge ad un eventuale D.P.C.M. non intervenuto sul punto e rischia altresì di integrare una forma di violenza privata sull’Avvocato, visto che se ne minaccia l’allontanamento fisico ad opera di forze di polizia e la sua segnalazione all’autorità amministrativa per l’adozione di conseguenti provvedimenti;

 

SECONDO MOTIVO: per espresso dettato del decreto legge, i previsti controlli agli ingressi, cioè le verifiche di “accesso ai servizi, alle attività e agli uffici di cui al comma 1-bis” sarebbe dovuto avvenire “nel rispetto delle prescrizioni di cui al medesimo comma” ed essere effettuate “dai relativi titolari, gestori o responsabili ai sensi del comma 4”, passaggio in cui si fa esplicito riferimento a chi può controllare in ambito giudiziario la Certificazione COVID-19 nel rispetto della Costituzione e di ogni regolamento UE, tra cui il numero 679 del 2016 (anche noto come GDPR) relativo alla Privacy, che costituiscono fino a prova contraria norme sopraordinate e che chiunque intenda procedere alla stesura di un regolamento attuativo di verifica del c.d. «green pass» (nonché dei certificati equipollenti ex art. 3, co. VIII del Regolamento UE 953-2021, punto 3) deve almeno considerare ([4]). In tal senso, la verifica del green pass non è nelle competenze delle Forze dell’Ordine, né delle ASL, né dei datori di lavoro o altre figure e chi intenda esigere da un Avvocato l’esibizione del green pass senza avere tali autorizzazioni viola una serie di norme che forse nemmeno conosce e che non sa di violare; chi affida tali mansioni a questo personale o non sa come deve affidarle o le affida in maniera illegittima, basandosi su decreto legge e glissando su tutto quell’insieme di norme che deve funzionare in maniera armonica e che si chiama ordinamento giuridico, non derogabile da una norma di rango regolamentare e tantomeno da una nota ministeriale.

Non si può parlare di rispetto di diritti collettivi violando le leggi e imponendo la costrizione all’ostensione di dati sensibili come quelli sanitari personali;

 

TERZO MOTIVO: per espresso dettato del decreto legge, non è possibile prevedere “il termine del 15 febbraio 2022 per l’esibizione del green pass rafforzato per gli ultracinquantenni” alla cui mancata ottemperanza, nelle intenzioni del sottoscrittore dei regolamenti, scatterà l’esclusione del professionista dal Tribunale, perché tale indebita previsione è frutto di un’ulteriore errata lettura della norma oltre che di un’errata ed offensiva considerazione della realtà dei rapporti giuridici che intercorrono tra magistratura, personale amministrativo, personale di P.S. e Avvocati; in realtà una simile previsione e le sue conseguenze coercitive non appaiono neppure nelle intenzioni del legislatore e derivano da un errato accostamento tra la previsione relativa ai lavoratori per l’accesso “ai luoghi di lavoro” e la realtà degli Avvocati. Il decreto legge è chiaro: “I datori di lavoro pubblici di cui all’articolo 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021, i datori di lavoro privati di cui all’articolo 9-septies del decreto-legge n. 52 del 2021, i responsabili della sicurezza delle strutture in cui si svolge l’attività giudiziaria di cui all’articolo 9-sexies del decreto-legge n. 52 del 2021, sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni di cui al comma 1 per i soggetti sottoposti all’obbligo di vaccinazione di cui all’articolo 4-quater che svolgono la propria attività lavorativa nei rispettivi luoghi di lavoro. Le verifiche delle certificazioni verdi COVID-19 di cui al comma 1 sono effettuate con le modalità indicate dall’articolo 9, comma 10, del decreto-legge n. 52 del 2021. Nonostante i sommessi desideri di qualcuno, gli Avvocati non sono “lavoratori dipendenti” ma “liberi professionisti” che si recano in Tribunale perché è uno dei luoghi in cui prestano la loro “prestazione professionale” non il loro “luogo di lavoro”; non essendo “dipendenti” né della Procura, né del Tribunale, accedono ad un ufficio pubblico e non possono essere sanzionati dai vertici delle Procura e dei Tribunali o Corti che dir si voglia che non sono – e non debbono essere – “datori di lavoro” in quanto ultracinquantenni che non hanno ottemperato all’obbligo vaccinale, in quanto la sanzione è già prevista al comma 6, e le ulteriori conseguenze non riguardano i liberi professionisti. Non siamo, infatti, lavoratori dipendenti e le ulteriori limitazioni all’accesso al luogo di lavoro può tutt’al più riguardare quei “legali” che lavorano per banche, assicurazioni, consorzi, salvo si trovino ad esercitare in ambito giudiziario. Lo attesta, ad esempio, molto chiaramente la previsione al comma 7 del medesimo articolo 1 del D.L. 1/2022 che prevede in caso di vaccinazione “omessa o differita” che il datore di lavoro adibisca “i soggetti di cui all’articolo 4-quater, comma 2, a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, previsione evidentemente incompatibile con l’essenza stessa dell’Avvocatura.

 

Di recente Amnesty International è intervenuta definendo La scelta del governo italiano di introdurre il cosiddetto Super Green pass, certificazione virtuale imposta alla popolazione come strumento necessario per avere accesso a una vita normale” (…) “una forma di discriminazione”, puntando il dito contro le scelte dell’esecutivo, chiedendo di riconsiderare la proroga dello stato di emergenza e concentrarsi sull’aumento dell’adesione volontaria al vaccino, senza ricorrere a imposizioni dall’alto. Parimenti, sul Green pass, ha affermato “che deve essere un dispositivo limitato nel tempo” perché l’intera popolazione possa godere dei suoi diritti fondamentali “senza discriminazioni”.

Qui è in gioco il Diritto di Difesa.

Al di là delle illegittimità evidenziate, infatti, il paradosso cui sta giungendo la smania di controllo del COVID 19, porta oggi a sanzionare il soggetto portatore del Diritto alla difesa, che è l’assistito, quale conseguenza del fatto altrui, cioè del professionista che non si vaccina… É strabismo giuridico! Si nega al Giudice il “diritto alla valutazione in concreto dell’eventuale sussistenza del Legittimo Impedimento” senza che si legga in questo una lesione di un diritto irrinunciabile del Giudice e si dica, ora come allora, no alle ingerenze dell’esecutivo.

C’era una volta la Corte Costituzionale che, proprio in relazione all’art. 24 Cost., con sentenza n. 46 datata 8 marzo 1957, aveva affermato che l’esercizio del diritto di difesa “deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”. C’era una volta l’art. 14, comma III, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (New York 1966, recepito dallo Stato italiano con la legge 25 ottobre 1977 n. 881) per il quale il diritto di difesa è diritto inviolabile ed irrinunciabile per il cittadino, da assicurare mediante la necessaria assistenza di un difensore “ogni qualvolta l’interesse della giustizia lo esiga”, l’interesse della Giustizia e solo quello. C’era una volta l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, al comma III, che riconosceva all’accusato il diritto di difendersi personalmente o di avere l’assistenza di un difensore di sua scelta “quando gli interessi della giustizia lo esigono. Anche qui, come si vede, si riconosce che l’attività dell’avvocato deve intendersi non solo oggetto di un diritto individuale, ma anche espressione di un interesse generale dell’amministrazione dell’Ordinamento stesso, una funzione sociale individuale con risvolti collettivi che risponde solo alle proprie esigenze, “quando gli interessi della giustizia lo esigono” e solo quelli.

Gli avvocati debbono essere politicamente, economicamente e intellettualmente liberi di esercitare il proprio compito di consigliare e rappresentare i clienti” e la condizione di indipendenza di esponente di una professione liberale deve essere salvaguardata dagli Ordini forensi che invece tacciono in Italia, disvelando una società illiberale che non ha vergogna a creare un’indebita pressione su un organo costituzionale, come neanche ai tempi del conflitto tra magistratura e politica si era avvertita, quando, invece, il rispetto della funzione professionale dell’avvocato dovrebbe essere una condizione essenziale dello Stato di diritto e di una società democratica e rimanere distante da ogni pressione dell’esecutivo.

L’argomentazione posta in premessa dal DL 1/2022 considera solo la possibilità, riconosciuta dalla Costituzione, che lo Stato possa imporre un trattamento sanitario in caso di necessità ed urgenza dovuti ad una emergenza, appunto, di tipo sanitario, tali da giustificare un atto di forte incisività. Quando però si riflette poi sulla denunciata violazione del diritto di difesa a proposito della prescrizione normativa, al netto delle considerazioni sul consenso al vaccino obbligato, la classe forense e quella giudiziaria, nonché il loro vertici politici non possono sottrarsi dal riflettere sul bilanciamento dei valori costituzionali in gioco.

Ciò che appariva già afflittivo per una democrazia fondata “sul lavoro”, dovrebbe scandalizzare chi invece sembra non comprendere che l’obbligo di esibire la certificazione attestante l’avvenuto tampone antigenico da parte degli avvocati, per avere accesso alle aule di giustizia, rappresenta il preludio ad un obbligo che si vuole estendere in maniera assoluta, caricando degli oneri sanitari lo stesso utente, portando disagi enormi a un’altra area fondamentale costituzionalmente tutelata, ovvero quella della Giustizia.

Le norme espresse dall’articolo 32 della Costituzione, come pure dall’articolo 16 della stessa Carta per quanto concerne la libertà di circolazione, non prevedono una azione generale preventiva, ma l’incidere dello Stato di fronte a specifici casi di conclamata infezione, ciò anche nella prospettiva preventiva, ponendo limiti determinati di fronte al caso concreto e limiti temporali alla sua applicazione. Qui siamo invece di fronte ad una azione generalizzata giustificata da assunti teorici ed ipotesi vaghe, con norme coercitive in materia di contagio da SARS-COVID 19, che in maniera indiscriminata e discriminante, incidono gravemente sugli equilibri sociali e sulle sfere individuali, delle cui pregiudizievoli conseguenze si finge di non comprendere il contenuto, preferendo restare addormentati, abbandonando anche il diritto di difesa al corso già segnato per altri settori.

Pur ammettendo la sussistenza dell’emergenza, occorre valutare quali principi costituzionali possano subire una compressione e in quale misura. Il fatto che l’ambito giudiziario non sia segnalato tra quelli a rischio e che per gli ingressi basti generalmente un tampone antigenico anche per i soggetti già vaccinati, comporta l’inidoneità del senso stesso della differenziazione sociale tra categorie di soggetti con o senza copertura da “vaccino” nell’ingresso ai Palazzi di Giustizia.

L’augurio che faccio a Lei, On. Marta Cartabia, è che la fama di costituzionalista che le ha consentito di giungere al vertice che attualmente occupa, Le imponga di non legare il suo nome a questo scempio che, per ragioni altre, si vuole imporre alla parte migliore del mondo della giustizia, quella dei giuristi più esperti, anche al di là delle necessità individuate da questo esecutivo nella sua attività normativa.

[1]Considerato che l’attuale contesto di rischio impone la prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente intraprese al fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività; Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di integrare il quadro delle vigenti misure di contenimento alla diffusione del predetto adottando adeguate e immediate misure di  prevenzione e contrasto all’aggravamento dell’emergenza epidemiologica”;

[2] Viene introdotto dopo il comma 8 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, un comma 8-bis che prevede: “L’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento.” che lascia al Giudice il mero compito notarile di registrarlo, senza alcuno spazio di valutazione; ai tempi del “LODO ALFANO” la Corte costituzionale dichiarò l’incostituzionalità della legge n. 51 del 7 aprile 2010 sul legittimo impedimento, che riconosceva al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri la “facoltà” di invocare il legittimo impedimento senza motivarlo e unilateralmente per il “concomitante esercizio delle attività connesse” alle funzioni di governo. La rilevata incostituzionalità aveva per oggetto la violazione degli artt. 3 e 138 della Cost., in quanto la norma avrebbe dovuto lasciare la possibilità al Giudice di valutare in concreto “a norma dell’art. 420-ter, comma 1, del codice di procedura penale, l’impedimento addotto” ritenendosi contraria alla Costituzione una norma che sganciasse la ricorrenza o meno del legittimo impedimento dalla valutazione esclusiva del Giudice, sostenendo che la normativa dovesse essere interpretata in conformità con il codice di procedura penale. Ci si preoccupò dunque di riaffermare la riserva giurisdizionale della valutazione “concreta” dell’impedimento, ribadendo come una motivazione “generica” fondata sulla mera “attestazione” di un impedimento potesse non comportare una effettiva impossibilità, in concreto, a comparire data la concomitanza e l’indifferibilità rispetto all’udienza, non essendo ammissibile che una mera “attestazione” di fatto, come oggi si vorrebbe in caso di mancata esibizione di green pass, lasciasse al Giudice il mero compito “notarile” di prenderne atto. La Corte Costituzionale, dunque, allora come ora, non dovrebbe consentire in tema di legittimo impedimento automatismi che di per sé si porrebbero in conflitto con l’art. 3 Cost. (in quanto il principio di uguaglianza comporta che, se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti soluzioni) e con l’art. 24 Cost. (perché misure o strumenti che operino con una sorta di “automatismo generalizzato”, menomano il diritto di difesa non lasciando all’imputato alternative) nel senso già definito dalla sentenza 24/2004 della Corte Costituzionale. Cosa è cambiato ora?

[3] al co. «1-bis. Fino al 31 marzo 2022, è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’articolo 9, comma 2, l’accesso ai seguenti servizi e attività, nell’ambito del territorio nazionale: a) servizi alla persona; b) pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali, fatti salvi quelli necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro della salute, d’intesa con i Ministri dell’economia e delle finanze, della Giustizia, dello Sviluppo Economico e della Pubblica Amministrazione, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione; c) colloqui visivi in presenza con i detenuti e gli internati, all’interno degli istituti penitenziari per adulti e minori. 1-ter. Le disposizioni di cui al comma 1-bis, lettere a) e c) si applicano dal 20 gennaio 2022. La disposizione di cui al comma 1-bis, lettera b), si applica dal giorno 1 febbraio 2022, o dalla data di efficacia del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui alla medesima lettera, se diversa.

[4] Solo un responsabile del trattamento dati ha titolo per lecitamente trattare i dati sensibili di una persona. Questi deve essere espressamente nominato dal Titolare del trattamento (Ministero della Salute o Ministero dell’Economia e delle Finanze) e deve osservare le seguenti disposizioni:

– art. 29 GDPR – il responsabile del trattamento dei dati, o chiunque agisca sotto la sua autorità, e che abbia accesso ai dati personali, deve essere istruito dal titolare del trattamento;

– art. 32 GDPR, paragrafo 4 – chiunque agisca sotto l’autorità del titolare e abbia accesso ai dati personali, non deve trattare tali dati se non è istruito in tal senso dal titolare del trattamento

– art. 39 GDPR – Il Data Protection Officer deve curare la sensibilizzazione e la formazione del personale che partecipa ai trattamenti e alle attività di controllo

Ergo, il soggetto che intenda controllare la Certificazione COVID-19 deve:

– essere stato nominato Responsabile del trattamento dati dal Titolare del trattamento dati (Ministero della Salute);

– avere assolto all’obbligo di formarsi ex artt. 29, 32, 39 del GDPR;

– rilasciare l’informativa relativa al «quadro di fiducia» all’interno del quale si collocano le procedure per la verifica dei dati contenuti nel «green pass», indicando:

  1. i soggetti deputati al controllo delle certificazioni;
  2. le misure per assicurare la protezione dei dati personali sensibili contenuti nelle certificazioni (art.9 DL 52)

Nel dettaglio, deve fornire in forma scritta, concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro;

– l’informativa ex art. 12, avente il contenuto previsto dagli artt. 13 e 14, nonché le comunicazioni di cui agli artt. da 15 a 22 e art.34 del GDPR (regolamento UE 2016/679) relative al trattamento dei dati;

– l’identità e i dati di contatto del titolare del trattamento e, ove applicabile, del suo rappresentante;

– i dati di contatto del responsabile della protezione dei dati;

– le finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali nonché la base giuridica del trattamento;

– i legittimi interessi perseguiti dal titolare del trattamento o da terzi;

– gli eventuali destinatari o le eventuali categorie di destinatari dei dati personali;

– il periodo di conservazione dei dati personali;

– l’esistenza del diritto dell’interessato di chiedere al titolare del trattamento l’accesso ai dati personali e la rettifica o la cancellazione degli stessi o la limitazione del trattamento dei dati personali che lo riguardano o di opporsi al loro trattamento, oltre al diritto alla portabilità dei dati;

– l’esistenza del diritto di revocare il consenso in qualsiasi momento senza pregiudicare la liceità del trattamento basata sul consenso prestato prima della revoca.

Avv. Stefano Galeani

Informazione equidistante ed imparziale, che offre voce a tutte le fonti di informazione

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