Benito Mussolini, da pacifista a guerrafondaio e la sua grafia, da superuomo a sconfitto.
Così come per Hitler, anche per l’italiano Benito Mussolini sarebbero tali e tante le cose da narrare che conviene limitarsi all’essenziale, rimandando le biografe alle mille occasioni presenti sia in cartaceo sia sul web.
Nacque a Dovia di Predappio (Forlì) il 29 luglio del 1883. Figlio di Alessandro, fabbro ferraio, e di Rosa Maltoni, maestra elementare e quindi, a differenza del suo “collega” Hitler, non ebbe, nell’infanzia, motivo di esperienze nefaste. D’altra parte non gli assomigliava né nel fisico, né per il carattere. Visse un’infanzia modesta e serena. Un punto cardine è l’iscrizione al Partito Socialista Italiano, laddove dimostra subito un acceso interesse per la politica attiva come il padre, figura rappresentativa del socialismo anarcoide e anticlericale di Romagna. Emigra in Svizzera nel 1902, allo scopo di evitare il servizio di leva e si guadagna le basi della propria cultura politica. Lo rivediamo in Italia nel 1904, per un’amnistia, a compiere comunque il proprio il servizio militare nel reggimento bersaglieri di stanza a Verona, tuttavia viene posto in congedo nel 1907. Poi schedato come sovversivo” e “pericoloso anarchico”. Lo ritroviamo nel1908, a scrivere per un periodico socialista sotto pseudonimo. Continua a farsi notare e il 18 luglio viene arrestato e condannato a tre mesi di carcere. Esce e vi rientra in settembre, per aver tenuto a Meldola un comizio non autorizzato. Seguendolo occorre dire che la sua strada di politico e rivoluzionario gli sembrava consona. Potremmo continuare a seguirlo, tra proteste, giornalismo, espulsioni e insegnamento precario. Non era persona che si adattasse alle formalità, per cui la sua unione con Rachele Guidi, non ebbe carattere religioso e neanche civile. Nel settembre 1910 nacque Edda, poi Vittorio nel 1916, Bruno nel 1918, Romano nel 1927, Anna Maria nel 1929. Nel 1915, intanto, si era sposato, prima civilmente e nel 1925 in Chiesa. Giungiamo alla direzione del giornale socialista “Lotta di classe” e alla segreteria della federazione socialista. Conserva, intanto, la sua impronta rivoluzionaria che male si assimila con la tradizione razionale e positivista del marxismo, così com’era inteso dagli uomini più rappresentativi del P.S.I. Nel 1910, tenta, senza successo, di provocare l’uscita dal P.S.I. della federazione socialista forlivese ma resta solo. Intanto sopraggiunge la guerra di Libia, nel periodo in cui era stato condannato a cinque mesi e mezzo, di reclusione per avere partecipato alle manifestazioni del 1911 contro la guerra in Africa. Insiste a mostrarsi un uomo contrario alla guerra, e il primo dicembre 1912 assume la direzione dell’ “Avanti!”
Allo scoppio del conflitto mondiale lo troviamo ancora, come sempre, allineato sulle posizioni ufficiali del partito: di radicale neutralismo.
Cosa modifica le sue convinzioni? Forse il convincimento che sarebbe stato opportuno sfruttare l’occasione offerta dalla prima guerra mondiale, per condurre il popolo verso il rinnovamento rivoluzionario, dimostratosi altrimenti impossibile.
Da quel momento tutto cambia e troviamo Mussolini dimissionario e scrittore di un articolo in cui chiariva il suo mutato programma:
– “Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante”-
appoggiato dall’assemblea straordinaria del PSI milanese.
Tuttavia la direzione nazionale non fu d’accordo e il 15 novembre Benito Mussolini pubblicò il nuovo giornale “Il popolo d’Italia“, ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste, a fianco dell’Intesa. Il giornale conseguì immediatamente un clamoroso successo di vendite.
Finito il Mussolini non interventista. Finito il Mussolini socialista (fu espulso dal PSI tra il 24 e il 29 novembre 1914). Arrestato a Roma mentre si accingeva a presiedere un comizio interventista, il 24 maggio, all’entrata in guerra dell’Italia, definì questa giornata “la più radiosa della nostra storia“e nell’agosto del 1915 venne richiamato alle armi.
Mi fermo qui. Ho inteso soltanto (semplificando), chiarire come un uomo contrario alle armi (aveva tentato di evitare il servizio di leva), contrario alla guerra e socialista di nascita, abbia poi potuto portare l’Italia in un sodalizio guerriero che tante sofferenze ha provocato al popolo italiano ed ha condotto lui a tanta gloria e tanta infamia, finendo calpestato (ignobilmente), dallo stesso popolo che lo aveva osannato nelle piazze, appeso a testa in giù, esposto, da morto, nel Piazzale Loreto, a Milano.
In proposito, un mio caro amico, generale a riposo, all’epoca poco più che ragazzo, era presente e narrava, inorridito, dei calci sul volto di un uomo che folle plaudenti avevano seguito senza ragionare, così come “Escape from Freedom – Fuga dalla libertà – prevede.[1]“L’analisi di un apparente paradosso: l’uomo moderno ha raggiunto la libertà, ma non riesce a usarla per realizzare completamente se stesso.” Osannare un leader, sembra essere ancora oggi il desiderio delle masse. Non pensare singolarmente, piuttosto lasciarsi guidare ciecamente. Il mio amico generale mi raccontava di osservare tutto come se fosse un sogno impossibile. Lui, fatto crescere con la Gioventù italiana del Littorio (GIL), vedere appeso per i piedi, dopo essere stato deturpato in volto, l’uomo che masse plaudenti avevano seguito, accecate. Vedere come una “suorina”, nell’osservare inorridita il corpo a testa in giù, con le gonne abbassate, di Claretta Petacci, avesse sentito pudicamente la necessità di chiudere con una “spilla ‘e nutriccia” (da balia), quella gonna al centro.
Veniamo all’ultimo scritto “ufficiale” di Mussolini: – “La 52a Brigata Garibaldina mi ha catturato oggi venerdì 27 aprile sulla piazza di Dongo. Il trattamento usatomi durante e dopo la cattura è stato corretto. Mussolini”.
Ho osservato[2] quel documento, piccolo pezzo di carta su un foglio protocollo tagliato a metà ed evidentemente, piegato in quattro, conservato da chissà chi. Alle spalle vi è stato applicato un sostegno per evitare che si rompesse.
Più “autentica” di così una grafia non potrebbe essere ed ecco la firma, che ci dice (questa volta a bassa voce), come Benito Mussolini, nell’ambito personale, poco o nulla si riconoscesse, se non come “Mussolini”, poiché il nome non c’è, in sostanza mai, nella sua firma, tranne in qualche eccezione del 1945, laddove, inconsciamente, fa rientrare la sua personalità individuale. Tra le eccezioni vi sono le lettere che scrisse, in sostanza ogni giorno, a Claretta Petacci, in cui si firmava, incredibile a dirsi, “Ben.”[3]
Altisonante, firma a denti di squalo nei momenti felici, con quella M che, nel tempo, cresce a dismisura, fieramente. In tutta la grafia di Mussolini abbiamo la predominanza delle “M” e delle “N” che ricordano quelle insegnate a scuola e definiamo come “arcate”. Possiamo riscontrarvi un’esteriorizzazione della personalità che si unisce a diffidenza, tendenza a porre distanza dall’altro, attaccamento alle proprie origini, alla propria individualità, la convinzione di avere dei valori da tramandare, di conservare ed accrescere il prestigio del cognome che porta e la considerazione sociale di cui gode. Anche la fedeltà al modello che si è costruito. Lettere che conservano almeno in parte la loro fisionomia, anche nella scrittura decisamente aguzza. Nel foglio sbiadito dell’ultimo Mussolini alcune caratteristiche vengono meno: vediamo delle m (compresa quella della firma), a ghirlanda, ossia appuntite e che formano quasi una u. Anche nella firma. Evidentemente, non volendo (non potendo), dubitare dell’autore (non sarebbe stato conservato con tanta accuratezza un falso), devo pensare che l’uomo arrestato e poi ucciso era “un altro Mussolini”.
Chi era, invece, il “vero” Mussolini? Quello della “lettera al re”, per esempio. Così sicuro di sé nell’inserimento del foglio, parimenti distaccato dal lato sinistro (diciamo il passato, la madre), felicemente lanciato verso il destro con una grafia spigolosa, le lettere maggiori molto grandi, la pressione evidenziata, gli allunghi inferiori (vedere le effe), gonfi di fantasie, i ricci spavaldi, le “T” con le aste che corrono avanti, imperative. E’ un uomo adatto al comando, scoppia di salute, potrebbe avere la pressione alta ed è vigoroso. Niente a che vedere con la salute malferma di un Hitler. Lo dimostra appena può, con molto protagonismo, facendosi vedere a petto nudo mentre lavora nei campi. Un uomo cui piacciono le donne, che si tiene lontano, anche se appare socievole. Lo dimostra lo stretto di parole e tra parole. Dove sono gli occhielli delle “o” e delle “a”? Schiacciati, macchiati, appuntiti. Non era una persona che poteva pazientare, piuttosto calpestava ogni intralcio che potesse impedirgli di condurre a termine ciò che aveva deciso. La sua grafia era, dunque, acuminata ed angolosa, limitatamente leggibile, dalle dimensioni letterali in maggioranza grandi e dalla pressione notevolmente marcata, con un tratto ben inchiostrato, esuberante, con ragguardevoli allunghi inferiori e superiori e un buon grado di aderenza al rigo di base. Lui era senza dubbio collerico, sempre in movimento, con una intelligenza di tipo pratico (non come Hitler, che era un teorico) e non sempre si rendeva conto in pieno dei guai in cui poteva cacciarsi.
Certamente succube di protagonismo e di un certo soggettivismo – come dimostrano i tratti prolungati orizzontalmente a fine parola – munito di un fortissimo orgoglio.
Non ammetteva di poter sbagliare e voleva mostrarsi generoso verso i deboli, ed instancabile nell’operatività, sia fisica sia mentale. A differenza di Hitler non era un anaffettivo, tuttavia aveva tutti i difetti del “superuomo”.
Bianca Fasano.
[1] Libro dello psicoanalista di Francoforte Erich Fromm, Stati Uniti, Farrar & Rinehart, 1941.
[2] Il documento, noto agli storici fin dall’immediato dopoguerra e diverse volte pubblicato è stato donato all’archivio milanese dell’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) “per essere messo a disposizione degli studiosi”.
[3] L’epistolario completo, per la maggior parte inedito, scritto dal Duce durante i seicento giorni della Repubblica di Salò. «A Clara. Tutte le lettere a Claretta Petacci 1943-45 di Benito Mussolini» (pagine 408, euro 24,90), per la Mondadori.