Tre convegni online aprono la prima edizione di Sana Slow Wine Fair. Si parla di sostenibilità ambientale, di tutela del paesaggio e del valore sociale del lavoro in vigna, i tre cardini attorno a cui è nato il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto
Che sia buono non basta più: è da questa consapevolezza che nasce il lavoro di Slow Food sul vino. Tutto cominciò nel 2007 a Montpellier, in Francia, quando produttori di vino provenienti da tutto il continente si riunirono per Vignerons d’Europe. Era la prima volta, il primo passo di un percorso che ha portato alla nascita di Slow Wine e dell’omonima guida alle cantine, presto diventata punto di riferimento nel panorama nazionale, e poi alla stesura del Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto. Con la prima edizione di Sana Slow Wine Fair, in programma a BolognaFiere dal 27 al 29 marzo 2022, proseguiamo nel solco segnato negli ultimi quindici anni. E, nella settimana precedente alla tre giorni emiliana, Slow Food organizza altrettanti convegni online per fare il punto, insieme ai delegati della Slow Wine Coalition e a tutti gli stakeholder della filiera vino. I tre convegni mettono al centro i princìpi che, secondo Slow Food, occorre rispettare quando si coltiva la vite e si produce vino: parliamo di sostenibilità ambientale del vino, di tutela del paesaggio e di equità sociale nel lavoro in vigna e ruolo sociale del vino. Coniugando questi tre aspetti, il vino buono, pulito e giusto può contribuire a cambiare il sistema agricolo.
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Gli appuntamenti digitali sono liberi e aperti a tutti coloro che, dai produttori agli enotecari, dai giornalisti agli appassionati, credono nel valore che il vino può restituire all’ambiente e alle comunità. Per partecipare basta registrarsi sul sito nella pagina dell’evento digitale scelto.
Di “sostenibilità” si sente parlare sempre più spesso. Ma che cosa significa essere sostenibili nella produzione di vino? Quali sono le metodologie che fanno la differenza? Come fa un viticoltore a ridurre la propria impronta ambientale? Occorre lavorare su diversi fronti, dalla gestione oculata della risorsa idrica alla difesa del suolo senza ricorrere a fitofarmaci, prediligendo un approccio agroecologico. Nel corso del tempo, le piante hanno ad esempio sviluppato difese in grado di proteggerle dagli attacchi di parassiti: si tratta dunque di mettere la vite in condizione di esprimere al meglio queste potenzialità. Un convegno per ribadire il no di Slow Food a concimi, diserbanti, antibotritici di sintesi e per esortare all’uso consapevole delle risorse.
Alla conferenza intervengono:
Florence Fontaine, Université Reims Champagne-Ardennes, Contrasto al deperimento dei vigneti europei a causa delle malattie del legno (esca e altri patogeni): lo stato degli studi;
Bernard Nicolardot, AgroSup Dijon, Institut national supérieur des sciences agronomiques, de l’alimentation et de l’environnement, La gestione della sostanza organica nel suolo del vigneto;
Isabella Ghiglieno, Dicatam, Dipartimento di Ingegneria Civile Ambiente Territorio Architettura e Matematica dell’Università di Brescia, e Marco Tonni, Sata studio agronomico, Brescia, L’impronta idrica nel settore vitivinicolo. Stima degli impatti ed esempi applicativi;
Paolo Marucco, Disafa, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, Ottimizzare la distribuzione dei fitofarmaci per ridurre dosaggi, deriva e consumi. Presentazione di un nuovo prototipo;
Maurizio Gily, consulente viticolo e docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Le resistenze naturali nella vite e la loro gestione nel miglioramento genetico tradizionale.
Modera Francesco Sottile, agronomo e docente presso l’Università di Palermo, tecnico della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus.
Non ci sono soltanto la cura dei filari e la potatura delle piante tra i compiti dei vignaioli. Non è sufficiente occuparsi della raccolta e della pigiatura delle uve, così come non basta seguire la fermentazione e l’imbottigliamento. Tra i ruoli di chi lavora in vigna c’è quello sociale: significa che il vignaiolo può, e deve, essere motore di crescita economica grazie al rapporto virtuoso instaurato con i propri dipendenti e con le comunità con cui la propria cantina interagisce. Partiamo da questo secondo punto, cioè dalla relazione con l’ambiente sociale circostante: molti dei borghi e dei villaggi in cui si è sviluppata la viticoltura esistono in funzione di questa pratica che mantiene in vita zone considerate marginali. Occorre maturare consapevolezza di questo rapporto, facendo sì che si traduca in senso di responsabilità. Pensare al proprio business, ragionare in termini meramente economici, significa rischiare di incrinare questo equilibrio.
Stesso discorso per quanto riguarda il rapporto con i propri dipendenti: è innanzitutto indispensabile corrispondere un compenso equo ai lavoratori e rispettare le norme in materia di contratti di lavoro, aspetti che non debbono più venire disattesi. In secondo luogo occorre creare le condizioni affinché vi sia reale integrazione e arricchimento culturale reciproco: produrre vino significa anche fare comunità, con tutto ciò che ne deriva.
Alla conferenza intervengono:
Claudio Naviglia, Ceo e co-founder di Humus Job, La sostenibilità sociale in vigna: contratto di rete e lavoro condiviso;
Carolina Alvarado, viticoltrice di Valparaíso, Cile, e presidentessa di Slow Food Chile, La comunità e il vino come pratica sociale;
Arianna Occhipinti, viticoltrice in Sicilia, Italia;
Gianluca Brunori, economista e professore ordinario di Food Policy presso l’Università di Pisa, Dalla qualità alla responsabilità: le nuove sfide di fronte alla transizione ecologica.
L’ulivo nelle vicinanze del mare, il castagno in montagna e la vite in collina: semplificando, sono queste tre le coltivazioni che alle nostre latitudini hanno contribuito più di qualunque altra a definire il paesaggio. Basterebbe questo per comprendere l’impatto della viticoltura sull’aspetto del territorio. I benefici, sia dal punto paesaggistico sia della conservazione dell’ambiente rurale, sono innegabili: si scongiura l’erosione dei suoli dettata dall’incuria, si promuove la gestione delle acque in zone di forte pendenza, si realizza il monitoraggio degli incendi. Ciò non deve però distrarre da un altro importante aspetto, quello che riguarda il rischio di una deriva verso una sorta di monocoltura delle vite. Importante, in altre parole, è quindi scongiurare che si metta a repentaglio la biodiversità del suolo (attraverso l’utilizzo di erbicidi o fitofarmaci) e dei terreni, sacrificando altre specie arboree sull’altare del vino: occorre rispettare l’alternanza di vigneto, siepi e aree boscate e promuovere una gestione che escluda il suolo nudo.
Non solo: le aziende agricole sono chiamate a svolgere un compito rilevante di tutela del paesaggio anche dal punto di vista architettonico: gli edifici aziendali eventualmente da costruire vanno progettati tenendo conto del paesaggio, così come gli interventi di ristrutturazione e di ammodernamento delle strutture.
Alla conferenza intervengono:
Marina Santos, viticoltrice di Rio Grande do Sul, Brasile, Come la crisi climatica influenza il paesaggio vitivinicolo, tra copertura vegetale e agroforestazione;
Francesco Paolo Valentini, viticoltore in Abruzzo, Italia, L’intensità delle precipitazioni, fitopatologie e produzione vitivinicola di qualità;
Fabio Zottele, membro del Comitato tecnico-scientifico del CERVIM (Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura Montana), Il paesaggio come mezzo della produzione vitivinicola? Il capitale paesaggistico;
Viviana Ferrario, professore associato in Geografia presso l’Università Iuav di Venezia, Agricultural heritage. Imparare dai paesaggi viticoli storici.
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