Associazione Quattro Coronati, Massa e Fondazione Mudima, Milano
sono liete di presentare la mostra di Nerina Toci
Il nero come luce possibile
a cura di Daniele Lucchesi e Davide Di Maggio
Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera.
(cit. Johann Wolfgang Goethe)
Nerina Toci (Tirana, 1998), presenta a Palazzo Ducale di Massa un’ampia selezione di fotografie dove il bianco e il nero sono il filo conduttore principale.
Le figure, corpi e anime, fluttuano sulla superficie dei suoi lavori fotografici, portando con sé il dolore e la passione che le hanno generate.
La luce e il buio sono costantemente presenti, ma nessuno dei due prevale sull’altro, anzi spesso il buio, il nero, “illumina” di più, quasi a sottolineare che non vi è un abisso, un buco nero, ma un pensiero che va oltre la linea di sofferenza e mistero, delimitata dalla superficie della fotografia.
Il pensiero di Nerina Toci vola alto. Come nel Cristo Velato di San Martino, la vena gonfia e palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi nei piedi e sulle amni sottili, il costato scavato e rilassato, finalmente nella morte liberatorie, sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi, lasciando ben visibili le imperfezioni del suo corpo, anche Nerina Toci, “ricama” i bordi e le imperfezioni del corpo.
La bellezza canonica non abita le sue immagini, al contrario riporta a canoni di bellezza classica, quasi onirica. Esiste un’evidenza nuda e cruda, senza veli e compromessi, oltre gli stereotipi e il non vero. I suoi lavori, si risolvono in un’evocazione quasi drammatica, misteriosa, che fa della sofferenza interiore una sorta di simbolo del destino.
Questo teatro “drammatico”, in cui la luce emana dal corpo, o lo illumina, ma dove l’oscurità non ne protegge la nudità, ma anzi minaccia di inghiottirlo è lo scenario perfetto di Nerina Toci, la sua “casa”, dove si aggira sicura, la sua nicchia vitale dove si è costruita il suo immaginario, la sua realtà.
L’artista albanese lavora su una sorta di sacralità del corpo femminile e sulla fisicità dello spirito. A partire dal nero, supera l’effimero e rende visibile la durata del transito umano in questa vita.
I corpi come ultimo bastione della nostra capacità di conoscere e di esprimere il mondo di fronte alla sua crescente impenetrabilità, le figure come manichini, ciò che rimane dopo che la vita è passata.
Le ombre, le geometrie, i boschi e i corpi si susseguono nei sui lavori, testimoni del mondo di Nerina Toci, che osserva con estrema attenzione tutto quello che accade attorno a lei e lo “modifica” come vorrebbe che fosse. Il suo occhio “sente” ciò che noi non vediamo e ci ricorda attraverso le sue immagini come fare a essere e a diventare, nella gioia e nel dolore, esseri umani.