NOTE CRITICHE ( a cura di Gabriele Ragonesi)
Nel 1964 l’Algeria appena uscita dalla guerra si ritrovava catapultata in nuove contraddizioni: un territorio ancora antico che incontrava la nuova età moderna portata dalla rivoluzione; il deserto, il mare, e il progresso; le antiche tradizioni e l’ideologia socialista. Un coacervo di immagini che Ennio Lorenzini, cineasta e documentarista militante, riuniva, prima dei suoi film più famosi Cronaca di un gruppo 1968 e Quanto è bello lu murire acciso (1976), in un’antologia di immagini suddivise in capitoli, suggestioni visive sconosciute e sopite dal mondo occidentale.
Tronc De Figuier (questo il primo titolo del film) nasce così, tra le straordinarie riprese a colori degli antichi riti che ancora avvenivano nel caldo del Sahara, poco distanti dalle nuove ombre proiettate dai pozzi petroliferi; di un’Algeri nuova, distrutta dalla guerra e dal sangue ma ancora brulicante, volti antichi che scivolano verso quelli diversi dei giovani di una terra ora libera. Testimonianza fondamentale di un periodo in cui il cinema, documentario e non, aveva il potere di essere l’altra faccia narrativa, emotiva ed emozionale della Storia: «Spetta agli storici scrivere la storia e ai cineasti promuoverla (…). Gli storici scrivono la storia ma i filmaker hanno il potere di umanizzarla e di renderla popolare usando il loro talento» si leggeva all’epoca in una delle poche recensioni del film, quella della testata algerina “Peuple”.
Poche proprio perché lo straordinario documento di Lorenzini è stato destinato ad una vita complessa quanto la storia della terra che racconta: voluto dal Yacef Saadi, futuro produttore de La Battaglia di Algeri (Gillo Pontecorvo, 1966), e dallo stesso Pontecorvo, arrivò al Festival di Cannes del 1965 con il titolo Les Mains Libres. Dal titolo mutato – perché, Tronco di fico era un’espressione dispregiativa usata nell’Algeria occupata dai francesi – alla sparizione quasi perpetua, fino ad oggi, dove, recuperato tra i fondi dell’Aaamod – Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, si riappropria di due nuove linfe: la prima, nel pieno spirito del recupero e il riuso promosso dall’Archivio, al padiglione Francia dell’ultima Biennale d’Arte di Venezia, dove l’artista Zineb Sedira lo ha utilizzato per la propria installazione. La seconda, attraverso il restauro promosso e realizzato dalla Cineteca di Bologna all’interno del Laboratorio L’Immagine Ritrovata.
Aamod, Sedira e la nuova veste di Les Mains Libres si incontrano martedì 28 giugno all’interno del grande Festival del capoluogo emiliano, Il Cinema Ritrovato.
La pellicola verrà presentata nella nuova veste da Paola Scarnati (Aamod) e Luca Peretti (Università di Warwick) e dalla stessa Zideb Sedira alle 16:30 al cinema Jolly, assieme al corto Algérie en Flammes di René Vautier (Id., 1958), altra testimonianza, in questo caso francese, di un cinema e di un cineasta militante che ha sentito l’esigenza di guardare con l’occhio della camera mentre gli ultimi colonialismi occidentali crollavano e consegnavano alla storia terre e popoli diversi, nuovi. Così, infatti, chiude anche il voiceover che accompagna il lungo poema d’immagini di Le Mains Libres:
Tutto un mondo colmo di speranza parte alla ricerca di sé e scopre, grazie a lotte e combattimenti, che per lui tutto è finalmente possibile, che per lui tutto comincia nella chiarezza esigente e nel dubbio che svanisce. |