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Teodolinda Rosica, una esploratrice dell’anima nel poetico conflitto del sé

Recensione di Stefania Romito*

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Se la poesia è perpetua emozione nel vorticoso turbinio esistenziale, ha assolto al suo più nobile intendimento divenendo appagante strumento di condivisione empatica.

Così è la poetica di Teodolinda Rosica custodita nella silloge Sottopelle il sale (edita da Kolibris, estratto di tre volumi) che rivela, nel suo esordio editoriale, coinvolgenti suggestioni.

Una raccolta lirica in cui emerge con passione il tema del doppio nell’invito che l’autrice rivolge a se stessa di “mettersi a nudo” in un dialogo interiore che vede la coscienza essere unica spettatrice della propria intima essenza.

Una intrigante conversazione al cospetto di un altro da sé che cela, dietro un sipario, la facciata di un perbenismo conformante. Una intrinseca presenza esteriore che colloquia con quella interiore in un discorso conflittuale di misterioso fascino che mostra ferite e debolezze: «ignota la tua età, la mia… rammendata mille volte».

Seppur lacerante, la conoscenza interiore in Teodolinda Rosica è sempre esigenza di vita: «è il momento di mostrare i miei fondali laceri, di trovare abissi nell’intersezione fra me e la pazzia» e confluisce nel suggerimento a far emergere la parte creativa di sé, l’unica che può ridare un senso al Tutto e che può condurre a una autenticità esistenziale. Un tema, questo, tanto caro alla poetessa e ribadito con partecipazione: la rivendicazione all’espressione artistica per mezzo della parola poetica vissuta come sublimazione di emozioni al cospetto di colui che non “comprende”, perché intrappolato in una gabbia mentale che preclude l’accesso alla magia del vivere.

La poetessa sa che disvelare la dimensione artistica immanente può salvare dagli orrori della vita e accompagnare nel percorso iniziatico verso la luce salvifica e redentrice attraverso la poesia che funge da stimolo propulsore di elevazione morale e spirituale, privilegiato veicolo per il magico Altrove. Una dimensione in cui tutto è Vita, dove si desidera essere raggiunti per una condivisione panica dei sensi. Una esperienza inclusiva tra inedite atmosfere spirituali che confluiscono in un linguaggio metafisico-realistico di grande originalità.

La notte, presenza costante della silloge, diventa una dimensione elettiva in cui i sogni-pensieri si vestono di straordinarietà per apparire potenzialmente reali. Condizione temporale che consente all’anima di liberarsi dai suoi vincoli per poter finalmente viaggiare nel cielo dell’eterno. Legami percepiti come fili che se da un lato ancorano al reale, dall’altro creano estatici nodi di passioni «Ho visto te, ho congiunto due fili, ho creato un nodo in gola». Il “filo”, nella poetica della Rosica, lega sentimenti, emozioni, ricordi… Come un aquilone vola nel cielo infinito, pur restando ancorato alla terra.

Le liriche di Teodolinda Rosica celano un perpetuo afflato universale nel rivendicare la propria appartenenza a una natura “imperfetta” che ne esalta l’individualità. La poetessa sa che la non omologazione è figlia della creatività e che è la fantasia a renderci intrinsecamente liberi: «ho rotto un vaso, ho rovesciato il vino, mi sono sporcata… mentre guardavo il cielo».

L’empito poetico della Rosica raggiunge il suo sublime acme nella manifesta volontà di reclamare il diritto ai valori fondanti dell’esistenza mediante una esacerbante istantanea del reale che denuncia l’autodistruzione dell’umano. Quel ciclo ineluttabile della vita che, come un’onda, lambisce le sponde del gorgo muto. L’autrice sa che l’attesa premierà.

Una pazienza che è testimonianza vivida della inesorabilità della ciclicità di un tempo che non è solo un trascorrere temporale, bensì cronologia emozionale. Liriche in cui sovente si affaccia il tema della sopprimibilità del sogno inteso come miraggio d’anima da parte di un “sistema” che annega desideri e genialità nella glacialità del suo mare.

Anche l’incontro carnale con l’amore viene rappresentato con una sensualità lirica che rinviene, nel disorientamento di sensi, la sublimità di un sentimento. L’abbandono nell’altro da sé, fisico o metafisico, confluisce in una complicità interiore che ha valore di unicità. Un impulso che a tratti appare padrone assoluto emarginando ogni esigenza mentale. Una carnalità dell’anima che vive nella perenne attesa di essere appagata e nella piena cognizione della disillusione.

Ma l’amore, nei versi della Rosica, è anche in grado di rendere “bella” ogni cosa con il suo potere debilitante e invalidante che evapora ogni dignità trasformandosi in arma distruttiva: «Perdonati se per amore ti sei lasciata scaraventare nel vento, riaprire le cicatrici una a una e sbattere sull’altare della supplica».

Un’autrice, una poetessa, in grado di trasformare il verso in una conoscenza immersiva, in cui la difficoltà dell’essere viene espressa tramite immagini contrastanti dal forte potere evocativo e simbolico.

 

*giornalista e scrittrice

 

 

 

Recensione di Stefania Romito

 

Se la poesia è perpetua emozione nel vorticoso turbinio esistenziale, ha assolto al suo più nobile intendimento divenendo appagante strumento di condivisione empatica.

Così è la poetica di Teodolinda Rosica custodita nella silloge Sottopelle il sale (edita da Kolibris, estratto di tre volumi) che rivela, nel suo esordio editoriale, coinvolgenti suggestioni.

Una raccolta lirica in cui emerge con passione il tema del doppio nell’invito che l’autrice rivolge a se stessa di “mettersi a nudo” in un dialogo interiore che vede la coscienza essere unica spettatrice della propria intima essenza.

Una intrigante conversazione al cospetto di un altro da sé che cela, dietro un sipario, la facciata di un perbenismo conformante. Una intrinseca presenza esteriore che colloquia con quella interiore in un discorso conflittuale di misterioso fascino che mostra ferite e debolezze: «ignota la tua età, la mia… rammendata mille volte».

Seppur lacerante, la conoscenza interiore in Teodolinda Rosica è sempre esigenza di vita: «è il momento di mostrare i miei fondali laceri, di trovare abissi nell’intersezione fra me e la pazzia» e confluisce nel suggerimento a far emergere la parte creativa di sé, l’unica che può ridare un senso al Tutto e che può condurre a una autenticità esistenziale. Un tema, questo, tanto caro alla poetessa e ribadito con partecipazione: la rivendicazione all’espressione artistica per mezzo della parola poetica vissuta come sublimazione di emozioni al cospetto di colui che non “comprende”, perché intrappolato in una gabbia mentale che preclude l’accesso alla magia del vivere.

La poetessa sa che disvelare la dimensione artistica immanente può salvare dagli orrori della vita e accompagnare nel percorso iniziatico verso la luce salvifica e redentrice attraverso la poesia che funge da stimolo propulsore di elevazione morale e spirituale, privilegiato veicolo per il magico Altrove. Una dimensione in cui tutto è Vita, dove si desidera essere raggiunti per una condivisione panica dei sensi. Una esperienza inclusiva tra inedite atmosfere spirituali che confluiscono in un linguaggio metafisico-realistico di grande originalità.

La notte, presenza costante della silloge, diventa una dimensione elettiva in cui i sogni-pensieri si vestono di straordinarietà per apparire potenzialmente reali. Condizione temporale che consente all’anima di liberarsi dai suoi vincoli per poter finalmente viaggiare nel cielo dell’eterno. Legami percepiti come fili che se da un lato ancorano al reale, dall’altro creano estatici nodi di passioni «Ho visto te, ho congiunto due fili, ho creato un nodo in gola». Il “filo”, nella poetica della Rosica, lega sentimenti, emozioni, ricordi… Come un aquilone vola nel cielo infinito, pur restando ancorato alla terra.

Le liriche di Teodolinda Rosica celano un perpetuo afflato universale nel rivendicare la propria appartenenza a una natura “imperfetta” che ne esalta l’individualità. La poetessa sa che la non omologazione è figlia della creatività e che è la fantasia a renderci intrinsecamente liberi: «ho rotto un vaso, ho rovesciato il vino, mi sono sporcata… mentre guardavo il cielo».

L’empito poetico della Rosica raggiunge il suo sublime acme nella manifesta volontà di reclamare il diritto ai valori fondanti dell’esistenza mediante una esacerbante istantanea del reale che denuncia l’autodistruzione dell’umano. Quel ciclo ineluttabile della vita che, come un’onda, lambisce le sponde del gorgo muto. L’autrice sa che l’attesa premierà.

Una pazienza che è testimonianza vivida della inesorabilità della ciclicità di un tempo che non è solo un trascorrere temporale, bensì cronologia emozionale. Liriche in cui sovente si affaccia il tema della sopprimibilità del sogno inteso come miraggio d’anima da parte di un “sistema” che annega desideri e genialità nella glacialità del suo mare.

Anche l’incontro carnale con l’amore viene rappresentato con una sensualità lirica che rinviene, nel disorientamento di sensi, la sublimità di un sentimento. L’abbandono nell’altro da sé, fisico o metafisico, confluisce in una complicità interiore che ha valore di unicità. Un impulso che a tratti appare padrone assoluto emarginando ogni esigenza mentale. Una carnalità dell’anima che vive nella perenne attesa di essere appagata e nella piena cognizione della disillusione.

Ma l’amore, nei versi della Rosica, è anche in grado di rendere “bella” ogni cosa con il suo potere debilitante e invalidante che evapora ogni dignità trasformandosi in arma distruttiva: «Perdonati se per amore ti sei lasciata scaraventare nel vento, riaprire le cicatrici una a una e sbattere sull’altare della supplica».

Un’autrice, una poetessa, in grado di trasformare il verso in una conoscenza immersiva, in cui la difficoltà dell’essere viene espressa tramite immagini contrastanti dal forte potere evocativo e simbolico.

 

 

 

 

Recensione di Stefania Romito

 

Se la poesia è perpetua emozione nel vorticoso turbinio esistenziale, ha assolto al suo più nobile intendimento divenendo appagante strumento di condivisione empatica.

Così è la poetica di Teodolinda Rosica custodita nella silloge Sottopelle il sale (edita da Kolibris, estratto di tre volumi) che rivela, nel suo esordio editoriale, coinvolgenti suggestioni.

Una raccolta lirica in cui emerge con passione il tema del doppio nell’invito che l’autrice rivolge a se stessa di “mettersi a nudo” in un dialogo interiore che vede la coscienza essere unica spettatrice della propria intima essenza.

Una intrigante conversazione al cospetto di un altro da sé che cela, dietro un sipario, la facciata di un perbenismo conformante. Una intrinseca presenza esteriore che colloquia con quella interiore in un discorso conflittuale di misterioso fascino che mostra ferite e debolezze: «ignota la tua età, la mia… rammendata mille volte».

Seppur lacerante, la conoscenza interiore in Teodolinda Rosica è sempre esigenza di vita: «è il momento di mostrare i miei fondali laceri, di trovare abissi nell’intersezione fra me e la pazzia» e confluisce nel suggerimento a far emergere la parte creativa di sé, l’unica che può ridare un senso al Tutto e che può condurre a una autenticità esistenziale. Un tema, questo, tanto caro alla poetessa e ribadito con partecipazione: la rivendicazione all’espressione artistica per mezzo della parola poetica vissuta come sublimazione di emozioni al cospetto di colui che non “comprende”, perché intrappolato in una gabbia mentale che preclude l’accesso alla magia del vivere.

La poetessa sa che disvelare la dimensione artistica immanente può salvare dagli orrori della vita e accompagnare nel percorso iniziatico verso la luce salvifica e redentrice attraverso la poesia che funge da stimolo propulsore di elevazione morale e spirituale, privilegiato veicolo per il magico Altrove. Una dimensione in cui tutto è Vita, dove si desidera essere raggiunti per una condivisione panica dei sensi. Una esperienza inclusiva tra inedite atmosfere spirituali che confluiscono in un linguaggio metafisico-realistico di grande originalità.

La notte, presenza costante della silloge, diventa una dimensione elettiva in cui i sogni-pensieri si vestono di straordinarietà per apparire potenzialmente reali. Condizione temporale che consente all’anima di liberarsi dai suoi vincoli per poter finalmente viaggiare nel cielo dell’eterno. Legami percepiti come fili che se da un lato ancorano al reale, dall’altro creano estatici nodi di passioni «Ho visto te, ho congiunto due fili, ho creato un nodo in gola». Il “filo”, nella poetica della Rosica, lega sentimenti, emozioni, ricordi… Come un aquilone vola nel cielo infinito, pur restando ancorato alla terra.

Le liriche di Teodolinda Rosica celano un perpetuo afflato universale nel rivendicare la propria appartenenza a una natura “imperfetta” che ne esalta l’individualità. La poetessa sa che la non omologazione è figlia della creatività e che è la fantasia a renderci intrinsecamente liberi: «ho rotto un vaso, ho rovesciato il vino, mi sono sporcata… mentre guardavo il cielo».

L’empito poetico della Rosica raggiunge il suo sublime acme nella manifesta volontà di reclamare il diritto ai valori fondanti dell’esistenza mediante una esacerbante istantanea del reale che denuncia l’autodistruzione dell’umano. Quel ciclo ineluttabile della vita che, come un’onda, lambisce le sponde del gorgo muto. L’autrice sa che l’attesa premierà.

Una pazienza che è testimonianza vivida della inesorabilità della ciclicità di un tempo che non è solo un trascorrere temporale, bensì cronologia emozionale. Liriche in cui sovente si affaccia il tema della sopprimibilità del sogno inteso come miraggio d’anima da parte di un “sistema” che annega desideri e genialità nella glacialità del suo mare.

Anche l’incontro carnale con l’amore viene rappresentato con una sensualità lirica che rinviene, nel disorientamento di sensi, la sublimità di un sentimento. L’abbandono nell’altro da sé, fisico o metafisico, confluisce in una complicità interiore che ha valore di unicità. Un impulso che a tratti appare padrone assoluto emarginando ogni esigenza mentale. Una carnalità dell’anima che vive nella perenne attesa di essere appagata e nella piena cognizione della disillusione.

Ma l’amore, nei versi della Rosica, è anche in grado di rendere “bella” ogni cosa con il suo potere debilitante e invalidante che evapora ogni dignità trasformandosi in arma distruttiva: «Perdonati se per amore ti sei lasciata scaraventare nel vento, riaprire le cicatrici una a una e sbattere sull’altare della supplica».

Un’autrice, una poetessa, in grado di trasformare il verso in una conoscenza immersiva, in cui la difficoltà dell’essere viene espressa tramite immagini contrastanti dal forte potere evocativo e simbolico.

 

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