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COME RAPINARE LA DIGNITA’ DELLA PERSONA

A sentire certe notizie viene da chiedersi se non è il caso di smetterla con le giustificazioni, le attenuanti, il ricorso ai massimi sistemi per fare quadra con la perduta ragionevolezza. Come è possibile che una intera classe composta da qualche famoso per forza e dalle solite complici  marionette di seconda e terza fila, si mettano d’accordo per espletare una sentenza di condanna nei riguardi di una docente, attraverso una vera e propria fucilazione a colpi di pallini di gomma. Indipendentemente dalla gravità del gesto, uno dei pallini ha colpito la malcapitata proprio sotto l’occhio, quindi poteva risultare assai più grave il danno fisico, è stato davvero imperdonabile avere deciso in gruppo, in quel famoso gruppo dei pari, di rubare, rapinare, il bene più prezioso di quella docente, la propria dignità personale. Mentre questa azione da veri “eroi” prendeva il sopravvento sulla coscienza sopita di ognuno, sulle emozioni gambizzate di ciascuno, persino la vergogna se la dava a gambe levate. Gli spari, i ridolini, i registi che filmano la scena, fotogramma dopo fotogramma, fino a confezionare un  filmetto a loro giudizio niente male, da fare girare in fretta tra coetanei più o meno intellettualmente raffazzonati. Infatti è tutto un gioco, la vita è un gioco, i giorni sono un viatico del divertimento, la stessa classe di cui sopra non è un coacervo di delinquenti, di sbandati, di solitudinarizzati. Piuttosto un plotone di immaturi che non sanno fare i conti con la sofferenza altrui, con il dolore degli altri. Ho l’impressione che tutto questo sia assai più pericoloso da indurre il mondo adulto, professorale, genitoriale a chiederci se come dicono gli scienziati della materia, non è corretto puntare il dito, bollare a fuoco,  questi ipotetici veterani di una guerra che non è mai stata loro, né mai lo sarà. Dunque a questo punto cosa è giusto fare, dire, agire per rieducare chi educato non è stato per niente. Mi ritorna alla mente un giovanissimo che ben conosco, nascosto tra gli ultimi banchi, la linea degli invisibili, il cancellino, la botta secca, la docente che scivola sulle ginocchia, l’omertà scambiata per solidarietà. Mi ricordo anche che il gioco non regalò più risate, ma profonde lacerazioni a quel ragazzo e soprattutto agli innocenti come questa docente presa a pistoletttate ad aria compressa. Come allora i disvalori vestono i panni dell’indifferenza, della banalità, senza mai alzare il braccio per chiedere aiuto, perché farlo significa fare parte della terza fila degli sfigati,  il braccio si alza con bene in mostra il bicipite per asfissiare eventualmente il dazio da pagare. La volontà di voltare pagina è un giusto requisito per una scuola che educa al rispetto di se stessi e degli altri, ma questa scuola deve anche comprendere con chi ha a che fare, dunque forse è il caso di non limitarsi alla mera sospensione, piuttosto a rendere come principio fondante della giustizia, la sua riparazione, radice profonda che non teme intemperie. 

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