NATALE 22: CENSIS-FAMILY CARE, ‘PER FESTE +20% RICHIESTA BADANTI PER ANZIANI’
Rosario Rasizza (AD Family Care, Gruppo Openjobmetis): una badante assunta da un’Agenzia per il Lavoro è sottratta al mercato del lavoro in nero, è una persona in regola dal punto di vista previdenziale e assicurativo, paga le tasse e fa sì che un anziano non pesi più sulle risorse statali, per esempio occupando un letto in un ospedale o in una RSA
Milano, 19 dicembre 2022 – Le Festività Natalizie rappresentano da sempre, per Family Care, un periodo complesso, nel quale si acuiscono le difficoltà familiari alle prese con i cari più anziani: i giorni di festa diventano allora il momento più tipico per ritrovarsi e prendere decisioni non facili sulle nuove necessità di accudimento di nonni o genitori anziani. Family Care calcola che, considerata una media di richiesta mensile di 150-200 badanti, il mese di dicembre porta con sé un incremento delle domande di assistenza familiare tramite badante del 15/20%. «Ecco perché riteniamo che, ancor più in questo periodo, si dovrebbe porre maggiore attenzione al mondo degli anziani, cioè a coloro i quali sono i “depositari della Storia” del nostro Paese, ma anche di tutti coloro che li assistono. Ed è importante riflettere anche sul fatto che una badante assunta da un’Agenzia per il Lavoro è sottratta al mercato del lavoro in nero, ed è una persona in regola dal punto di vista previdenziale, contributivo e assicurativo», spiega Rosario Rasizza, Amministratore Delegato di Family Care, Gruppo Openjobmetis.
Secondo l’ultima ricerca Censis commissionata da Family Care, Agenzia per il Lavoro specializzata in assistenza familiare per le persone anziane e controllata da Openjobmetis SpA, gli ultra 65enni, in Italia, sono oggi 14 milioni, mentre gli elettori con meno di 30 anni sono 8,4 milioni. I primi rappresentano il 28% dell’elettorato, i secondi “soltanto” il 17%.
Numeri che dovrebbero far riflettere tutti coloro che oggi, impegnati in Politica, lavorano sui programmi di Governo e pensano, o dovrebbero pensare, a come coinvolgere e convincere una fetta di popolazione sempre più cospicua.
Negli ultimi 4 anni, il numero degli Italiani con meno di 30 anni è diminuito di 586.000 unità, un fatto noto anche come crisi demografica che porterà l’Italia, secondo le stime Istat, a perdere qualcosa come 7 milioni di lavoratori entro il 2049. Le persone con più di 70 anni, al contrario, sono aumentate (nonostante gli sconfortanti dati sulla mortalità Covid) di 300 mila unità.
Nei prossimi anni, questa crescita degli “ultra 70enni” è destinata dunque ad aumentare, una previsione che se da un lato ci consente di poter vantare una più netta longevità, dall’altro pone una serie di temi di gestione psicologica, sociale e politica.
Sempre secondo la ricerca Censis, inoltre, il livello di soddisfazione generale della vita delle persone con più di 75 anni tra il 2019 e il 2021, è aumentato di 4 punti, un aumento che non si era mai visto nel decennio precedente, mentre quelli tra 55 e 65 anni sono aumentati solo di 2 punti percentuali.
Viene quasi da pensare a una sindrome da sopravvissuti – si legge nelle rilevazioni firmate dal Censis – una piccola euforia di chi sente di aver scampato un pericolo reale; tale impressione è confermata dal livello di soddisfazione per la propria salute, aumentato del 5% nello stesso periodo, a fronte di un + 0,3% di tutta la popolazione. Addirittura, gli ultra 80enni che si dicono soddisfatti delle cure mediche sono aumentati del 16%, mentre i giovani fino a 44 anni soddisfatti delle cure mediche sono scesi, nello stesso periodo, del 15%. Anche la situazione economica viene percepita come migliorata, + 8% presso gli ultra 75enni, più di qualsiasi altra fascia d’età e quasi il doppio dei 40-50enni.
Dov’è allora che gli anziani mostrano il loro disagio? Gli anni della pandemia hanno fatto esplodere l’insoddisfazione delle relazioni amicali e familiari. Sono aumentati dell’8,5% gli ultra 75enni insoddisfatti delle relazioni amicali e del 7,9% quelli che hanno relazioni familiari “deludenti”. È la sfera interpersonale la vera drammatica eredità che lasciano gli anni del Covid.
Eppure, quello degli anziani e della Silver Economy, è un mondo che sembra non interessare alle nuove forze politiche, né quello degli anziani vitali, né quello delle persone non autosufficienti: i posti letto in RSA sono aumentati solo di 19.000 unità dal 2016 ad oggi. Un modello che sempre meno può rappresentare la risposta al problema degli anziani e che spinge al potenziamento e alla valorizzazione pratica e psicologica della domiciliarità.
Family Care, che da quasi 10 anni è impegnata quotidianamente nella gestione delle persone anziane in stretta sinergia con i loro familiari, rileva quindi questi la necessità di sviluppare questi item:
1. Rappresentatività politica vera nei contenuti e non solo anagrafica: nessun programma elettorale dei partiti “big” presenta un accenno specifico e strategico per questa fetta di popolazione;
2. Riconoscimento della capacità economica delle persone anziane: molti anziani, con le loro pensioni, aiutano finanziariamente figli e nipoti a pagare affitto e bollette.
3. Riconoscimento della loro funzione sociale: è noto quanto i nonni, oggi, siano di fondamentale supporto ai figli della gestione dei nipoti, sopperendo alle difficoltà pratiche ed economiche (si stima che 1/3 degli anziani agisca in tal senso) connesse all’inserimento dei più piccoli negli asili e nelle scuole materne italiane.
«Noi non vogliamo che la nostra società vada incontro a una grave dimenticanza delle nostre persone anziane: sarebbe una perdita umana, culturale e sociale – afferma Rosario Rasizza – Di fatto, noi ci troviamo a sopperire a una cronica assenza di soluzioni da parte delle istituzioni che ci spinge a chiedere alla Politica di prestare maggiore attenzione alle esigenze degli anziani, e in particolare a quelli non-autosufficienti, i più dimenticati tra i dimenticati. Pensiamo soltanto alla più grande contraddizione del nostro sistema: le famiglie che si accollano le spese per assumere in regola una badante tramite noi, non solo non ricevono alcun aiuto economico da parte dello Stato, ma possono mettere in detrazione fiscale soltanto una minima parte di quanto investito a questo scopo. Non pretendiamo di arrivare a ricalcare i modelli nordeuropei, dove lo Stato mette semplicemente la quota eventualmente mancante per sostenere le spese di assistenza, ma almeno una detraibilità totale dei costi sarebbe un primo passo di giustizia sociale, buon senso e consapevolezza demografica».