INDEFINIBILI DIRIGENZE
di Vincenzo Olita*
Soffermandosi sull’articolo che Gaetano Mosca pubblicò nell’agosto del 1925 sul Corriere della Sera “La crisi della democrazia esaminata da Robert Michels”, si avvertono considerazioni, riflessioni, in una parola stati d’animo, del tutto omogenei e paragonabili a quelli consueti e familiari che si ritrovano ragionando sui meccanismi che attengono al nostro sistema politico.
Centoundici anni separano la pubblicazione del politologo tedesco “Il Partito politico nella Democrazia moderna” dalle nostre consuete analisi, ma di fatto è un intervallo che non si avverte. Infatti, Mosca sintetizza così il pensiero michelsiano: “I partiti sono tutti retti da piccole oligarchie di capi, costituite da membri del partito che sono arrivati a farsi eleggere deputati, dai direttori dei giornali e dagli stessi impiegati del partito specie da quelli addetti alla propaganda, dai così detti organizzatori e per entrare in Paradiso occorre il consenso dei Santi, cioè dei maggiorenti.
È un’analisi che pur facendo riferimento, in particolare, ai partiti socialisti dell’epoca richiama il declino dello strumento cardine dell’azione politica che ha caratterizzato la vita politica dell’Occidente a partire dal 1789: “Il Partito”. In effetti, il sistema risale al 2° millennio a.C. quando assume concretezza il binomio libertà politica-partito. Invero, fondamento del secondo è sempre stato il prospettare la soddisfazione del primo a vaste aree di popolo; prima di questa visione, oggetto del consenso popolare era stato solo il livello di accettazione del comportamento del reggitore del potere.
Allora, quanta strada per questa struttura, quanta nobile tradizione per questo metodo, quanta affezione, in alcuni momenti anche romantica, per un indispensabile pilastro del sistema democratico! Oggi invece, quanto disincanto per il suo crepuscolo, in cui si ritiene di oscurare, in quanto non spendibile, lo stesso termine partito.
Si è trattato di un declino progressivo; va da sé che la politica, tralasciando alquanto il sapere per essere potere, con il passar dei tempi ha indebolito il suo stesso essere.
Leonardo da Vinci nel XV secolo ebbe magistralmente a scrivere: ”Quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria”. Ancora Michels nel suo articolo segnalava che lo scrittore liberale inglese James Bryce nel 1921, pubblicando i suoi volumi sulla Democrazia, evidenziava che i principali regimi democratici erano penetrati da demagogia e plutocrazia; per il politicamente corretto oggi l’appelleremmo capitalismo finanziario.
Politica come sapere, conoscenza, visione, weltanschauung, società da realizzare, sogni da avverare, insomma, il domani, il futuro, che non significa la retorica, lamentosa tanto in voga, su quello dei nostri discendenti.
L’azione è la materia di cui è fatta la politica per cambiare il mondo e l’immaginazione il meccanismo che ci predispone al cambiamento, Hannah Arendt in “La menzogna in politica”.
Oggi le leadership che si propongono si muovono secondo il binomio azione – immaginazione? Crederlo sarebbe illusorio. Siamo ai partiti non partiti, alla politica dell’antipolitica, siamo al personale politico che concepisce, e male, l’amministrazione, il localismo e l’ormai divenuta affermazione solenne e universale: “La politica del fare, non ideologica”. E sì, perché ideologia, ideologico sono parole e contenuti ormai sconci, non utilizzabili; inconsapevolmente siamo alla cancel culture, quattromila anni di storia, di filosofia, di teologia, di pensiero speculante sul pensiero, sacrificati all’apparente necessità del fare. All’agire in assenza di concezioni in grado di dare coerenza a progetti e scelte, alla vacuità di totem linguistici quali il riformismo che non riforma, non chiarendo, ex ante, eziologia ed assunto ideologico del cambiamento.
Crisi e fallimenti di agenti e vettori di presunti mutamenti sociali sono riportabili a superficialità e vaghezza nell’utilizzo dello strumento operativo: Il Partito, o dir si voglia, Lega, Movimento, Alleanza, Fratelli, Sorelle, Più o Meno Europa, Italia accompagnata da fantasia e così via, è un’immaginazione che galoppa senza successo.
Non secondaria l’assenza, ormai, di qualsiasi substrato ideologico e di democrazia interna all’organizzazione, che non consente selezione né l’auspicata formazione di una classe dirigente. Ed ancora, la mancanza di predisposizione dei leader alla più elementare conoscenza della psicologia delle folle li induce a fraintendimenti della quotidianità, se non a madornali errori.
Crisi della politica, evanescenza dei partiti hanno causato, come evidenziato da Giovanni Sartori, l’avvento della video-politica, divenuta centralità e presenza per politici di ogni spessore e formazione permanente per l’opinione pubblica, purtroppo con un’influenza direttamente proporzionale all’impoverimento del personale politico e alla diffusione del politicantismo.
Erasmo da Rotterdam, or sono cinquecento anni, ricordava che il linguaggio può essere strumento di guerra; non casualmente i titoli delle prime pagine e la video-politica, usano con dovizia termini come frizioni, conflitto, duelli, scontri, sfide, guerra, costume funzionale alla modalità più di successo nella nostra informazione, quella di stimolare nette contrapposizioni e funzionali inciuci.
Generalmente donne, professioniste di gran livello abili nella nobile arte napoletana del pettegolezzo ad essere deputate all’amplificazione propagandistica di parte, in cui alternano comportamenti duali. Una cortigiana melensa sottomissione, infatti, è propedeutica ad accompagnare l’interlocutore su terreni congeniali della politica politicante, della spiegazione del nulla, puntando a suscitare empatia per la propria parte di riferimento politico. Può capitare, così, di assistere ad una surreale trasmissione in cui politico e conduttrice discettano sulla burocrazia come criticità esterna alla politica, ma la cui implementazione in tutti i casi è addebitabile alla parte avversa.
Con apprensione abbiamo letto i risultati di un sondaggio in cui gli elettori erano favorevoli alla sostituzione dei politici con l’intelligenza artificiale, favorevoli il 51% gli europei, 59% gli italiani. Preoccupante l’inganno realizzato da un fuorviante modernismo che induce a privilegiare nuovismi sempre e comunque.
Come partigiani di quella che quasi sempre è considerata una sventura, cioè la resistenza agli inganni, continueremo a pensare in autonomia. Come marginale minoranza, Società Libera proseguirà a ragionare sul dubbio e indefinibile futuro delle dirigenze politiche occidentali.
*direttore Società Libera