DESDEMONA E CAINO INSIEME A CATANZARO
di Domenico Bilotti
Esiste un bivio, ed entrambe le strade portano a un dirupo. Michelle Maria Causo è stata uccisa a Primavalle, popoloso e popolare quartiere romano, ad appena diciassette anni. Una giovane donna sotto i trent’anni, Giulia Tramontano, in attesa di un bambino, ha subito stessa sorte (modalità differenti, giuridicamente di diversa rilevanza, parimenti strazianti) poche settimane addietro, ad opera, secondo ricostruzioni già emerse, del suo stesso compagno.
La diramazione è questa: o ricondurre i due lutti a fatto privato, a storie dietro la porta, o plasmare il solito, esagitato, coro di urla che magari sospinge opportunisticamente a creare norme nuove, ma in nulla a lavorare per cambiare, prevenire, curare, agire.
Nel pomeriggio del 30 giugno e nella successiva mattinata di lavori, a Catanzaro si è svolto un incontro del Progetto “Pre-and-post trial alternative Justice”, sorto in seno all’Unione Europea, e sono emerse indicazioni metodologiche chiare e controtendenziali. Il tema del confronto era il trattamento degli autori di reati violenti, con specifico riferimento alla violenza domestica e di genere. Hanno dibattuto, norme e procedimenti alla mano, avvocati, pubblici ministeri, giudici del merito e della sorveglianza, operatori dei Centri per Uomini Autori di Violenza: una valutazione prismatica della fattispecie, cercando materialmente e dal basso di fare risuonare tutte le professionalità istituzionali e attività volontarie coinvolte.
La programmazione operativa dell’educazione sociale è necessaria e deve funzionare secondo due direttrici non per forza contrapposte e invece obbligatoriamente complementari. Esistono (e lavorano faticosamente e dignitosamente ed egregiamente) centri antiviolenza che prendono in carico la condizione delle vittime. Questi fenomeni sono largamente interclassisti, universali in un contesto culturale che ha introiettato dosi tossiche di violenza pubblica e privata, ma è innegabile che alcuni contesti e marcatori siano critici. Il disagio lavorativo e domestico, la tendenziale situazione di isolamento delle donne che subiscono violenze in ambienti compartimentati e auto-assolutori, la ricattabilità predatoria per mezzo della prole o addirittura direttamente contro di essa…
Il convegno ha dato conto di questo, ma ha adeguatamente dissodato un altro aspetto del tema: la situazione sostanziale del soggetto agente. Anch’essa irriducibile a sistema, ma con alcuni indici statistici sottovalutati: il maschio violento affetto da dipendenze, incapace di gestire rovesci occupazionali, afflitto da turbe troppo a lungo sedimentate, autore di altri reati o per essi pregiudicato e perciò marginalizzato o all’opposto schermato e scudato dalla connivenza ambientale del contesto culturale.
Sarebbe chimerico – e persino fasullo – considerare sempre possibile la conclusione irenica delle vicende: Eva che non subisce alcun danno permanente, Eva che si riappropria dall’oggi al domani della sua femminilità e della sua sessualità, Adamo che si sottopone a cure celeri e con buzzo buono risale la china delle violenze commesse, cancellandole passandovi su un bel velo d’ignoranza.
I lavori si sono mossi in una direzione molto più concreta. Si è sollevata la lesività del linciaggio mediatico-sociale, mortificante per le vittime, non risolutivo per i carnefici giudicati e nel rito che li giudica, umiliante per i carnefici presunti tali o che incolpevoli saranno giudicati.
Certo: le incognite restano molte. Tanto per cominciare, l’endemica accettazione sociale della violenza porta per converso a una mentalità draconiana e vendicativa, che fa in fondo leva sullo stesso vizio originario: fare sangue da ferite nuove, non curare quelle mai cicatrizzate.
Le associazioni che strutturano la pedagogia civile hanno una conformazione legale-istituzionale ad oggi di complessa lettura. Cosa le aspetta e soprattutto come possono lavorare bene? Veste pubblicistica, supplenza delle assenti prestazioni sociali statali oppure privato sociale da tenere fuori da ogni specializzazione professionale e cornice giuridica?
La violenza di genere, come tutte le violenze efferate, ha un effetto puntuale e uno durativo. La moltiplicazione delle norme e dei processi speciali tenta di rispondere (non bene) al primo, innanzitutto perché sono proprio le parti interessate e gli operatori del ramo a segnalare una applicazione disomogenea e perfettibile su tutto il territorio nazionale della legge n. 69/2010 (il cd. “Codice rosso”). Ed è ancora peggio segmentato il piano durativo, sia nell’esecuzione della pena al caso specifico sia nelle strategie di prevenzione culturale non coercitiva.
Il diritto non ha il dono taumaturgico di risuscitare Desdemona, brutalizzata per la gelosia di un compagno affetto da strisciante insicurezza e perciò semplicissima manovrabilità. E il diritto non potrà avere mai l’acquis teologico-sacramentale di smacchiare Caino: il sangue di Abele è già stato versato.
È la mastodontica area nel mezzo che deve interrogarci. Che Catanzaro ne sia stata stazione di sosta è cosa importante e di cui esserne grati – visto viepiù che in ristrettezza e minorità la nostra realtà regionale sa fare con sudore e fiducia bei risultati. Per la vita.
Quella gigantesca area umana e mediana tuttavia non la si può sanare con gli sforzi della formica: o è tema di tutti, secondo le competenze di ciascuno, o è partita persa.
DIDASCALIA FOTO (in ordine orario):
Prof. Brian Vanzo (Presidente Associazione Ares), dott. Sergio Bianchi (Agenfor International), avv. Maria Jiritano, dott.ssa Marina Caneva (Agenfor Lombardia), dott. ssa Linda Arata (Pres. Tribunale Sorveglianza Venezia), avv. Francesco Iacopino, avv. Stefania Mantelli, dott. ssa Cristina Marino (pedagogista Centro Calabrese di Solidarietà), Angela Arona (operatrice sociale)