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Eva, Maria, e il povero Giuseppe
Nella Lumen Gentium, al n. 55 del cap. VIII, si legge: “Così Maria…acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù, e abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato, la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i santi padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice sant’Ireneo, essa, «obbedendo, divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano». Onde non pochi Padri nella loro predicazione, volentieri affermano con Ireneo che «il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria”.
Ora, a me pare che si faccia troppo torto alla povera Eva e si attribuisca un merito eccessivo a Maria. Il Signore avrebbe dovuto immaginare che l’occasione fa l’uomo ladro, che la tentazione per Eva sarebbe stata forte. E poi, bisogna anche considerare l’ingenuità dei primi uomini e la furbizia del serpente, abile affabulatore. Quanto a Maria, come si può parlare di “obbedienza”? Ma come, si presenta a lei un angelo di Dio in persona, le annuncia il regalo più bello che una sposina tredicenne ebrea possa desiderare, un maschietto, in più le fa sapere che questo bambino “sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo” (Lc 1,32), e si pensa che lei possa tirarsi indietro anziché accettare con mille ringraziamenti? E si parla di cooperazione? Di consenso?
Più avanti, al n. 62, si legge: “E questa maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato nell’Annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce…”. E che cosa mai avrebbe potuto fare? Dire: “Signore ci ho ripensato, questo Figlio non lo voglio più?”.
Al n. 66 (Il culto della beata Vergine nella Chiesa) si legge: “Questo culto, quale sempre fu nella Chiesa, sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione prestato al verbo incarnato”. Questa distinzione, però, fra venerazione e adorazione, è fatta dalla Chiesa, ma non da moltissimi fedeli, le cui preghiere e il cui pensiero è rivolto spesso più a Maria che al Signore.
Ma torniamo al consenso – obbedienza di Maria. Stranamente si elogia tanto il “sì” di Maria, quando, in realtà, a meritare mille elogi dovrebbe essere il “sì” del povero Giuseppe. Maria avrebbe avuto la prova evidente dell’intervento divino, trovandosi incinta senza aver “conosciuto uomo”, ma Giuseppe? Matteo racconta: “La nascita di Gesù avvenne in questo modo: sua madre Maria si era fidanzata con Giuseppe, ma prima che essi iniziassero a vivere insieme, si trovò che lei aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Il suo sposo Giuseppe, che era uomo giusto e non voleva esporla al pubblico ludibrio, decise di rimandarla indietro. Ora, quando aveva già preso una tale risoluzione, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno per dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, la tua sposa; ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo»… Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” ( Mt 1, 18 – 20. 24). Altro che fede, altro che obbedienza!
Renato Pierri

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