Gaza: Save the Children, le donne incinte si auto-inducono il travaglio e affrontano complicazioni mortali in gravidanza, mentre il conflitto dura ormai da nove mesi
L’Organizzazione chiede il cessate il fuoco immediato e definitivo e la fine delle gravi e incessanti violazioni dei diritti dei bambini.
A Gaza alcune donne si auto-inducono il travaglio per evitare di partorire durante la fuga, altre hanno paura di chiedere cure prenatali vitali per timore di bombardamenti e altre ancora hanno perso la vita a causa della mancanza di accesso ai servizi sanitari.
Si stima che a Gaza siano nati 50 mila bambini durante i nove mesi di conflitto e molte donne hanno partorito in condizioni traumatiche, non igieniche e non dignitose, senza avere accesso ai servizi di base[1]. Questo l’allarme lanciato da Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Le donne si trovano ad affrontare sfide significative durante tutta la gravidanza, tra cui la mancanza di cibo e di acqua potabile, i frequenti spostamenti, il trauma della perdita di persone care e la paura di ferirsi o di morire. Una madre ha riferito a Save the Children di non aver mangiato carne per cinque mesi di gravidanza e di aver perso peso negli ultimi mesi prima del parto.
Da maggio, il personale di Save the Children assiste donne incinte, neonati e famiglie presso il centro di assistenza sanitaria primaria di Deir Al-Balah, nel centro di Gaza, e riferisce di condizioni terribili per le partorienti e per i neonati che lottano per sopravvivere nelle prime settimane di vita.
I blackout elettrici comportano rischi estremi per i neonati gravemente malati, compresi quelli in incubatrice.
“Mi hanno detto che c’era una paziente incinta, l’ho visitata subito e ho visto che era quasi al termine. Quando è stata portata in ospedale, aveva il battito del cuore debole. Due minuti prima del mio arrivo, aveva avuto un infarto. Abbiamo deciso di fare un cesareo per cercare di salvare il bambino e la madre. Avevo solo guanti, una salvietta antisettica e un coltello. La bambina era una femmina ed era di circa 33 settimane”, ha raccontato Raghda, medico di ostetricia e ginecologia, che ha lavorato per Save the Children nel mese di aprile. “La madre era un’infermiera e lavorava all’ospedale di Al Shifa. L’intestino era fuori dal corpo e l’addome era pieno di sangue. Non è sopravvissuta”.
“Abbiamo visto come lo stress e la sofferenza continui si ripercuotano sulle donne. Alcune hanno fatto scelte drastiche come l’autoinduzione del travaglio con l’uso di farmaci per paura di perdere il bambino in caso di fuga”, ha dichiarato, il mese scorso, Sharifa Khan, ostetrica dell’Unità sanitaria di emergenza di Save the Children. “Una donna è stata portata d’urgenza al nostro reparto maternità con gravi complicazioni ostetriche dopo aver assunto autonomamente farmaci prima del termine, che le hanno causato una dilatazione eccessiva dell’utero e la sua rottura, con conseguenti gravi emorragie. L’équipe di sanitari è stata in grado di gestire la situazione, ma se la madre avesse tardato di pochi minuti a raggiungere l’unità di maternità, il bambino avrebbe potuto perdere la vita o nascere con disabilità. Anche la donna avrebbe rischiato di morire. Abbiamo avuto anche un altro caso: una madre che ha partorito senza problemi ed è stata dimessa il giorno successivo, ma è tornata tre giorni dopo quando il suo bambino aveva la febbre alta, si rifiutava di essere allattato e aveva il cordone ombelicale gonfio che scaricava pus. Questa condizione è comune solo dove c’è scarsa igiene e manca acqua pulita. Se non viene trattata può essere molto pericolosa e mettere a rischio la vita perché l’infezione può diffondersi. Purtroppo questo non è un caso isolato”.
Con la decimazione del sistema sanitario a Gaza e le significative restrizioni al lavoro delle agenzie umanitarie, le donne incinte e le neomamme non hanno avuto accesso ai requisiti sanitari e nutrizionali di base previsti dagli standard internazionali, ha dichiarato Save the Children. Questo ha causato gravi danni mentali e fisici a molte madri e ai loro bambini, alcune hanno adottato misure estreme per cercare di proteggere i loro figli non ancora nati.
“Gaza oggi non è un luogo adatto alla nascita di un bambino. Sappiamo che l’esposizione prolungata a stress e traumi, insieme alla presenza di strutture mediche al di sotto degli standard, può portare al parto prematuro e alla morte dei neonati”, ha dichiarato Rachel Cummings, team leader di Save the Children a Gaza. “È un fallimento politico incommensurabile che questa guerra si sia protratta per nove mesi – lo stesso tempo necessario a una madre per portare a termine una gravidanza o a un bambino per imparare a gattonare. Ogni donna rimasta incinta in questo periodo avrà conosciuto solo paura, trauma, privazioni e sfollamento. Ogni madre che ha partorito lo ha fatto senza il supporto di cui tutte le donne hanno bisogno per partorire in sicurezza. E ogni bambino nato, che riesce a sopravvivere a queste condizioni, avrà conosciuto solo la guerra. Chiediamo un cessate il fuoco immediato e definitivo come unico modo per salvare vite a Gaza e porre fine alle gravi e incessanti violazioni dei diritti dei bambini. Non c’è alternativa”.
Save the Children fornisce servizi essenziali e sostegno ai bambini palestinesi dal 1953 e attualmente lavora 24 ore su 24 per fornire assistenza alle famiglie di Gaza. Save the Children sta attuando programmi sanitari e nutrizionali a Gaza, tra cui la fornitura di cure materne e neonatali, il sostegno al parto, la formazione di operatori sanitari, lo screening di bambini e adulti per la malnutrizione e il sostegno alle madri per l’alimentazione di neonati e bambini piccoli in situazioni di emergenza. Tuttavia, il governo di Israele deve creare le condizioni di base per raggiungere le famiglie, togliendo l’assedio e facilitando l’accesso umanitario senza ostacoli nella Striscia di Gaza, e tutte le parti devono cessare le ostilità.