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Parlamentari iraniani hanno avvertito che l’inazione del regime dopo l’assassinio di Nasrallah esponeva la sua debolezza

Le recenti osservazioni dei membri del “parlamento” del regime iraniano hanno messo a nudo una crescente frustrazione a Teheran per la sua incapacità di rispondere in modo deciso all’uccisione del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

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Durante una seduta pubblica del 29 settembre, Mohammad Manan Raisi, un membro del “parlamento” iraniano, ha apertamente criticato l’inazione, suggerendo che ha gravemente danneggiato il morale all’interno del regime. “Sono passati più di due mesi dall’appello della Guida Suprema alla vendetta di sangue per il martire Haniyeh, e non abbiamo ancora visto alcun movimento efficace”, ha lamentato Raisi. Ha avvertito che questa mancanza di risposta ha “sciolto la fiducia del pubblico nel regime sia all’interno del Paese che nel mondo islamico”.

Mousa Mousavi, un altro parlamentare ha espresso preoccupazioni simili, sostenendo che l’esitazione di Teheran incoraggia solo i suoi avversari. “Se fosse stata presa la giusta vendetta per il sangue di Haj Qasem Soleimani, il nemico avrebbe osato continuare la sua campagna di assassini contro il fronte della resistenza?”, si è chiesto. Mousavi ha inoltre affermato: “Il continuo ritardo nel rispondere a questi attacchi sta consentendo al nemico sionista di oltrepassare le nostre linee rosse passo dopo passo”. Le sue osservazioni hanno evidenziato la crescente paura del regime che la sua incapacità di agire in modo deciso lo stia rendendo vulnerabile su più fronti, a livello nazionale e internazionale. “L’equazione della guerra è molto chiara: se non colpiamo, saremo colpiti”, ha concluso Mousavi, esprimendo le paure interne del regime. Nella stessa sessione, il parlamentare Mohammadreza Sabbaghian Bafghi ha mostrato la disperazione assoluta del regime con una minaccia velata di sviluppare armi nucleari, affermando: “Ho un punto da fare alla dirigenza dello Stato. A mio avviso, la forte risposta dell’Iran agli Stati Uniti, a Israele e ai loro sostenitori è quella di armarsi con le armi che loro possiedono ma che al momento ci mancano”. La Guida Suprema del regime, Ali Khamenei, si è tuttavia astenuto da qualsiasi richiesta diretta di vendetta, scegliendo invece di proclamare cinque giorni di lutto dopo l’assassinio di Nasrallah. In una chiara deviazione dalla sua precedente retorica, Khamenei ha spostato l’attenzione verso l’esterno, esortando altre nazioni musulmane a combattere per conto di Teheran.

Durante un incontro del 16 settembre con personaggi che il regime ha etichettato come studiosi e religiosi sunniti, Khamenei ha invocato il concetto di “Ummah islamica” per fare appello a una più ampia solidarietà musulmana. “Per anni ho indicato l’importanza dell’Ummah islamica in modo che non dimentichiamo di essere una nazione. Questi confini non cambiano la realtà dell’Ummah islamica”, ha dichiarato, aggiungendo: “Non posso definirmi musulmano e rimanere indifferente alla sofferenza dei miei fratelli a Gaza, in Myanmar o in India”.

Sollecitando altre nazioni ad agire, Khamenei ammette implicitamente l’incapacità del regime di affrontare i propri nemici da solo. Questa strategia di esternalizzazione dell’agenda estera di Teheran a gruppi armati delegati, un tempo pubblicizzata come “leva di potere” del regime, sta ora rivelando i suoi limiti. Le recenti battute d’arresto e l’incapacità del regime di difendere efficacemente i propri delegati hanno esposto le crescenti vulnerabilità della dittatura clericale.

Per troppo tempo, Teheran ha utilizzato forze per procura in Medio Oriente e ha esternalizzato il terrorismo a bande criminali in tutto il mondo per dimostrare una forma non convenzionale di superiorità insurrezionale, rivendicando così l’invincibilità.

Anche il 12 settembre, Sadegh Hosseini, comandante dell’IRGC nella provincia di Ilam, ha affermato orgogliosamente che gruppi come “Hashd al-Shaabi, Hamas, Hezbollah e Ansarullah sono il prodotto della Rivoluzione islamica”, collegando la loro esistenza al successo degli ideali rivoluzionari del regime. Nel frattempo, il comandante dell’IRGC (Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche) nella provincia di Golestan, Ali-Malek Shahkouei, ha lodato le forze Houthi yemenite per aver preso di mira le navi israeliane nel Mar Rosso, affermando: “Lo Yemen significa la Repubblica islamica. Stanno affondando le navi israeliane… e nessuno può fermarli”.

Per oltre quattro decenni, l’Occidente ha cercato di negoziare con il regime di Teheran e di placarlo, consentendogli di consolidare il suo potere ed espandere le sue reti terroristiche. Mentre questo regime ha a lungo ostentato le sue milizie, si è vantato delle sue capacità missilistiche e ha minacciato danni globali se si fosse sentito in pericolo, recenti sviluppi suggeriscono che la dittatura clericale è forte solo nella misura in cui i suoi oppositori si lasciano intimidire.

Economicamente, il regime è sulla difensiva. Le sanzioni e l’isolamento internazionale hanno spinto l’Iran sull’orlo del collasso finanziario, con inflazione in continuo aumento e povertà diffusa che alimenta il malcontento all’interno del Paese. Mentre il regime lotta per mantenere una stabilità economica di base, sta diventando chiaro che Teheran non ha le risorse per resistere a una pressione globale prolungata. Questa realtà evidenzia la necessità per l’Occidente di abbandonare calcoli economici miopi e i temporanei guadagni elettorali in favore di una visione strategica a lungo termine. Dare priorità alla sicurezza e alla pace globali significa rafforzare le sanzioni contro Teheran e attuare pienamente le stesse sanzioni che sono già state stabilite con leggi

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