Foglie
di lorenzo merlo
Considerazioni sotto la superficie della storia.
Come in ogni nostra affermazione metafisica, concettuale, grafica, letteraria, verbale, d’azione, artistica, materiale, e pure quelle astensive riconosciamo noi stessi, cioè la matrice che le ha create e reificate, al pari di un signore supremo, senza il quale, quel mondo di affermazioni non si sarebbe verificato.
È questo lo sfondo identico per tutti gli uomini. Le differenze qualitative e quantitative delle nostre creazioni non contano nulla per intendere l’infinito della vita. Ogni sua misurazione lo pugnala. Dalla ferita cola il sangue della storia, un’arena gladiatoria nella quale, invece, le differenze sono le sole cose che contano.
Nonostante l’evidenza di dove conduca l’accanimento con il quale costantemente cerchiamo di far prevalere la nostra, individuale e collettiva, graduatoria di valori, cioè quella in cui ci riconosciamo, in cui crediamo, ovvero ad una perpetua lotta gladiatoria, come se il solo criterio dell’esistenza fosse mors tua vita mea, con conseguente alimentazione della sofferenza reciproca, seguitiamo a navigare senza tener conto né della Stella polare, né della Croce del sud.
Nonostante il potente magnete dell’importanza personale, solo principio del nostro fare, che raduna a sé la totalità delle energie che ci attraversano, nel corso delle epoche, qualcuno è riuscito a osservare l’inferno che esso implica. Un qualunque telegiornale ce ne può riferire l’aspetto che ne ha oggi.
Ma se possiamo accettare l’idea e l’osservazione che siamo i soli signori del nostro fare, così dovremmo poter fare per riconoscere la nostra responsabilità nella storia con cui abbiamo a che fare, nella quale siamo immersi. Ma, sempre a causa dell’importanza personale che ci attribuiamo, la contiguità tra il personale e il politico ci sfugge, come non sapessimo fare il più semplice tra i due-più-due.
Tale cieca navigazione ci raccoglie tutti su un unico barcone. Il tempo della nostra breve vita viene così consumato sotto il dominio di valori effimeri, strumentali a noi stessi, che ognuno per conto proprio considera sostanzialmente universali. Lo fanno gli individui nel loro cortiletto e le aggregazioni, grandi e piccole. Crociate, guerre sante, colonialismo, rivoluzioni, esportazioni di democrazia, istituzione degli stati canaglia, norimberghe, tribunali internazionali dell’Aja, terrorismo proto-pandemico, controllo della scienza, alimentazione dell’individualismo, formazione tecnicistica e irreggimentativa, sottrazione delle identità comunitarie, di quelle sessuali, uniformizzazione, sanzioni, guerre, terrorismo di stato, due pesi e due misure fanno parte dello specifico campionario del criceto.
La costante attenzione alla difesa del cortiletto passa da un oggetto all’altro per tutta la vita. L’epoca digitale ha esponenzializzato la frenesia già consistente nella modernità analogica. L’accorciamento dell’orizzonte che ciò ha comportato, abbassa il rischio di poter mettere fuori la testa e accorgersi da quale polpo satanico siamo avviluppati. I maghi, notorie figure capaci di indirizzare gli eventi, capaci di vedere e provocare le forze occulte che muovono le persone ben lo sanno. Come per noi tutti, il loro scopo è mantenere il potere sul prossimo, al fine di condurlo di qui e di là secondo esigenza. Il clima, l’ambiente, certi minoritari diritti civili – dai quali i ciechi e i sordi, sono stranamente esclusi – che pretendono di ribaltare il mondo, non sono che raffiche di lacrimogeni, che qualche limone non può bastare a guarire.
Inteso tutto ciò forse possiamo accedere o avvicinarci alla disobbedienza spirituale della storia sanguinante. Forse possiamo prendere in considerazione l’idea che come noi creiamo così siamo stati creati, che le forme della storia non sono che un rebus la cui soluzione è Uno, che le infinite idee a loro volta lo rappresentano, e dunque che solo riconoscendo lo slancio vitale di cui siamo espressione, come una bouganville abbiamo di che far fiorire il nostro piccolo giardino, senza più bisogno di difenderlo.
Come fossimo foglie, organiche emanazioni di una pianta, questa del bosco e la selva della natura, riconoscere di essere emanazioni del divino sarebbe il passaggio necessario per tornare all’Uno, ovvero per ricucire la ferita e cessare di mortificare l’albero e la foresta, di far sanguinare la storia.