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ANTONINO ZICHICHI, TRA SCIENZA E FEDE

Perché bisogna credere in Colui che ha fatto il mondo – Le nuove frontiere della fisica moderna

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di Giuseppe Lalli *

 

L’occasione di questo scritto mi è stata offerta dalla circostanza del 95esimo compleanno, avvenuto il 15 ottobre scorso, di Antonino Zichichi, il celebre fisico il cui nome è legato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ma decisivo è stato l’invito rivoltomi dall’amico e scrittore romano di origine assergese Fernando Acitelli a scrivere su questo grande personaggio e sul rapporto tra scienza e fede che la sua figura richiama. Quello che segue, più che un articolo, è un saggio breve, come spesso mi capita di fare quando l’argomento è particolarmente significativo o complesso. Sento il bisogno di precisare che taluni argomenti scientifici o fenomeni naturali evocati, per renderli più chiari ai lettori, oltre che a me stesso, li ho illustrati con parole mie; mentre, in ordine al decisivo rapporto tra scienza e fede, che è la nota dominante dello scritto, nel riferire fedelmente il pensiero del grande scienziato siciliano (nella cui visione del mondo, peraltro, mi riconosco pienamente), quando ho ritenuto necessario, l’ho integrato con personali considerazioni e avvalendomi non solo degli scritti di Zichichi.Mi corre altresì l’obbligo di dichiarare che, pur non essendo un fisico teorico, la mia dimestichezza con lo studio della filosofia teoretica non fa sentire estraneo al mio interesse questo terreno della conoscenza umana: tra la rigorosa scienza dell’universo e la genuina indagine filosofica c’è una differenza di linguaggio e di terminologia ma, per molti aspetti, una sostanziale contiguità di contenuti. Gli argomenti per così dire “tecnici” toccati nello scritto che segue richiederebbero la lettura di interi volumi, così come molto si potrebbe scrivere sul tema del rapporto tra scienza e fede. Non posso fare a meno, a questo riguardo, di raccomandare i libri di Antonino Zichichi (rinvenibili anche nel web) e, primo fra tutti, quello al quale più mi sono ispirato, intitolato “Perché credo in Colui che ha fatto il Mondo”, saggio rispetto al quale questo mio scritto potrebbe ambire ad essere, tuttalpiù, una modesta introduzione. (G.L.).

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L’ultimo atto della ragione è credere che c’è un’infinità di cose che la trascendono.

Blaise Pascal

 

Chi non crede in Dio crede in tutto il resto.

  1. K. Chesterton

 

Antonino Zichichi è un bel signore siciliano che ha compiuto da poco 95 anni. Scienziato di fama internazionale che tutto il mondo ci invidia, felicemente sposato per sessantasei anni con Maria Ludovica (venuta da poco a mancare), biologa, conosciuta a Ginevra, dove lavorava in un importante centro di ricerca, due figli e cinque nipoti, una vita professionale divisa tra la Svizzera e l’Italia, in una recente intervista, alludendo al suo invidiabile traguardo anagrafico, ha confessato, da eterno giovane, di avere ancora molti sogni nel cassetto e, rifacendosi al titolo di un suo fortunatissimo libro, ha detto di essere innamorato di Colui che ha creato il mondo, aggiungendo che la fisica non è altro che la logica del mondo, e che scienza e fede non sono conquiste dell’intelligenza umana ma doni di Dio. Ha detto proprio così, “doni di Dio”, parole che suonerebbero strane in un uomo di scienza se non si conoscesse chi è che le pronuncia. Non è facile tratteggiare in poche righe la biografia scientifica e professionale di questo originale scienziato, tanto è ricca e significativa.

 

Nato a Trapani il 15 ottobre 1929, Antonino Zichichi, che porta già nel nome la sua vocazione (‘Zichichi’, infatti, è nome di origine greca che vuol dire “frontiere” – le nuove frontiere della scienza sono legate alla sua attività di instancabile ricercatore), dopo la maturità classica, conseguita nella sua città natale, si è laureato in Fisica nel 1952 presso l’Università di Palermo. Ha lavorato poi presso il Fermilab di Chicago e il CERN di Ginevra, è stato ordinario di Fisica Superiore dal 1965 al 2006 alla Facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dal 1977 al 1982 e della Società Europea di Fisica nel 1978. Fondatore nel 1963 ad Erice, nella sua Sicilia, del Centro di cultura scientifica intitolato a Ettore Majorana (1906 – ? ), si è fatto promotore e ideatore, nel 1980, dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, alla cui attività scientifica si accennerà di seguito. È stato presidente della Federazione Mondiale degli Scienziati. È autore di più di mille lavori scientifici, tra cui sei scoperte, quattro invenzioni, tre idee che hanno aperto strade nuove nello studio della fisica subnucleare e delle alte energie. La sua carriera scientifica è stata costellata di onorificenze e riconoscimenti. Zichichi è inoltre un eccezionale divulgatore scientifico. La sua capacità di coniugare rigore scientifico con chiarezza espositiva ha del prodigioso. Nei suoi libri – primo fra tutti Perché credo in Colui che ha fatto il mondo, destinato a fungere da filo conduttore delle considerazioni che seguiranno – il tema dominante è il rapporto, che da cattolico convinto sente nelle fibre più profonde dell’anima, tra scienza e fede, anzi, come egli sapientemente suggerisce invertendo l’ordine delle parole, tra fede e scienza.

 

Ascoltare una sua conferenza è un autentico godimento dello spirito: un linguaggio cristallino, come non sempre riesce agli uomini di scienza, a tratti immaginifico, ma sempre controllato. Grande comunicatore, con il suo bel viso incorniciato da una chioma candida e leggermente scompigliata, quando parla di scienza in relazione alla fede il suo eloquio è semplicemente incantevole: si ha l’impressione di abbeverarsi ad una fonte di acqua viva. Quello tra Scienza e Fede (in seguito, per indicare i due termini, o per evidenziare concetti scientifici fondamentali, nonché i nomi di persona, si userà preferibilmente la lettera iniziale maiuscola e/o il carattere in corsivo o in grassetto) è stato nella modernità un confronto spesso lacerante che l’opinione corrente ha spesso recepito come una sostanziale incompatibilità. Quante volte nei discorsi al bar o nella strada si è sentito dire nel secolo scorso che gli scienziati, parola che incute ancora oggi un religioso rispetto presso i non addetti ai lavori, quasi si trattasse di una setta di iniziati, non credono alla religione, che è roba da vecchierelle, non avendo costoro mai letto di Blaise Pascal (1624–1643), singolare figura di filosofo e scienziato, che passeggiando tra i vicoli della Parigi del XVII si inchinava dinanzi ad ogni immagine della Madonna che incontrava nel suo cammino. In tempi più vicini ai nostri, profondamente religiosi sono stati Michael Faraday (1791–1867) e J. Clerk Maxwell (1831–1879), fisici geniali a cui si devono, tra l’altro, grandi scoperte nel campo dell’elettromagnetismo, così come cattolico convinto era quel Galileo Galilei (1564–1642) alle cui intuizioni si farà di seguito più di un cenno. Per circa cinque secoli, presso gli strati colti delle società dell’Occidente, ha dominato più o meno larvatamente l’opinione che la scienza poteva fare a meno dell’idea che fosse stato Dio a creare il mondo. L’idea che la fede religiosa e la ragione (speculativa, nel caso della filosofia, e sperimentale, nel caso della scienza) siano su piani differenti e incompatibili è di derivazione illuministica. È il frutto acerbo dello scientismo positivista, vale a dire dell’idea profondamente erronea, in auge nella seconda metà dell’Ottocento, dell’autosufficienza delle scienze della natura sul terreno della conoscenza, al tempo in cui si pensava che lo studio della natura avrebbe risolto tutti i problemi degli uomini e che il cammino delle scoperte fondamentali stava per giungere al suo epilogo: un’espressione di arroganza intellettuale che affidava all’intelligenza umana la capacità di capire come è fatto il mondo senza ricorrere ad alcuna istanza superiore.

 

L’idea di fondo, il filo rosso che unisce le argomentazioni di Zichichi in materia di scienza e fede è che la Scienza non può essere contro la Fede, per il semplice motivo che, contrariamente a quanto vorrebbe far credere il pensiero dominante, essa non nasce da un atto della ragione, ma da un atto di fede di quel Galileo Galilei che, presentato da una vulgata laicista come ateo e vittima dell’oscurantismo religioso (“e invece è nato a casa nostra” rivendica con orgoglio il cattolico Zichichi), è colui che, inaugurando la scienza moderna, studiava le pietre, cioè il materiale “vile”, per scoprirvi “l’impronta del Creatore”: così egli chiamava le leggi fondamentali della natura, che nessuno prima di lui aveva scoperto. Non poteva sapere che in un minuscolo pezzettino di pietra ci sono miliardi di protoni, neutroni ed elettroni: un universo invisibile ma reale. È stata, quella del grande scienziato pisano (dalla pietre alle stelle), agli occhi di Zichichi, un’intuizione profonda e feconda, giacché, non potendosi fare esperimenti con le stelle, si possono studiare le pietre moderne, vale a dire le cosiddette “particelle elementari” della materia quark, leptoni, bosoni, ecc… Si sta parlando di quel Galilei che in vari esperimenti, spesso non eseguiti materialmente ma semplicemente raffigurati col pensiero (si pensi al “moto uniforme”), ha di fatto introdotto nella scienza, trecento anni prima di Einstein, il concetto di “relatività”.

 

Un altro leitmotiv nel libro di Zichichi (ribadito in ogni incontro pubblico) è che nella natura umana agiscono due componenti: l’Immanenza, ovvero tutto ciò che si può cogliere con i sensi, che è, per così dire, all’interno della “scatola” (il mondo, la storia, la natura, la dimensione bio–psicologica dell’individuo) e la Trascendenza, vale a dire ciò che sta oltre il visibile, fuori della “scatola”, al di là, al di sopra. Il celebre fisico tiene a precisare a questo riguardo che non c’è ormai nulla, entro il perimetro di queste due dimensioni, l’Immanenza e la Trascendenza, che la scienza moderna non abbia studiato. Ciò significa che l’uomo, che come tutte le forme viventi sta nell’Immanente, ma che a motivo della sua struttura esistenziale è in grado di concepire il Trascendente (è un essere finito che tende all’infinito) è l’oggetto privilegiato del pensiero scientifico moderno. Ad illustrare la distanza che corre tra la Scienza vera e quella superficialmente divulgata, Zichichi, con linguaggio accessibile anche ai non specialisti, e quasi conducendo per mano il lettore o l’ascoltatore, è solito prendere come esempio un argomento abbastanza popolare anche presso il  grosso pubblico: quello del cosiddetto Big Bang, vale a dire l’esplosione – se così si può dire – che in una frazione di secondo, a partire da un solo atomo primigenio, avrebbe dato vita all’Universo (ipotesi, peraltro, che fu elaborata da uno studioso che era un sacerdote gesuita, tale Georges Lemaître – 1894/1966 – , e che richiama alla mente il divino atto creativo, il Fiat  – Si faccia ! Si compia! – di biblica memoria). Sul grande tema Zichichi chiarisce che un solo Big Bang non sarebbe sufficiente a spiegare la realtà attuale del cosmo: di Big Bang ce ne vogliono tre. Il primo è di fondamentale importanza per passare dal vuoto fisico all’universo (ciò che non è…da poco), che, dopo venti miliardi di anni, ha miliardi e miliardi di stelle e di galassie: tutta materia inerte. Il secondo è necessario per passare dalla materia inerte alla materia dotata di vita (“dalla pietra alla rondine”, per intenderci), che è già un salto che appare inimmaginabile con la sola logica umana ed è tema che lo scienziato siciliano aveva prospettato già circa mezzo secolo fa in un congresso scientifico che si svolgeva a Washington, suscitando nell’uditorio reazioni controverse. Fondamentale poi per la nostra esistenza è il terzo Big Bang, che segna il passaggio dalla materia dotata di vita alla materia dotata di intelligenza.

 

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Esistono milioni di forme di materia vivente, animale e vegetale, ma solo una di esse, quella a cui noi apparteniamo, possiede una proprietà, frutto di un decisivo salto di qualità, alla quale si dà il nome di ‘ragione’, termine con il quale si indica intelletto e coscienza (“L’uomo è un animale ragionevole” scrive Aristotele – 384/383-322 a.C.  –) e non la semplice percezione o la tendenza istintiva all’autoconservazione (un minimo di ragione, se così si può dire, propria anche degli animali), ma una facoltà che indica tanto la piena coscienza del proprio essere quanto l’intelligenza creativa. In che cosa consiste questa ragione? Nella capacità, propria dell’uomo – puntualizza Zichichi – di produrre tre grandi cose: il linguaggio, di cui è espressione la memoria collettiva permanente, meglio nota come scrittura, cioè linguaggio scritto; la logica, meglio nota, nella sua espressione rigorosa teorica, come matematica; la scienza, che altro non è che logica rigorosa sperimentale. Se il linguaggio è, detto in soldoni, la capacità di esprimere e comunicare concetti (e già in questa prima dimensione deve agire, in una prospettiva di conoscenza scientifica, una precisione concettuale e una descrizione quanto più esauriente e oggettiva dei fenomeni, un rigore minimo che nella sua forma più alta è la filosofia), la logica è la possibilità di costruire strutture che debbono “rispettare i patti”, vale a dire pervenire a conclusioni coerenti con le premesse. Tipico esempio di logica (disciplina inventata dai Greci tremila anni fa) è la geometria euclidea, che abbiamo tutti abbiamo studiato a scuola: da cinque postulati, cioè premesse non dimostrabili perché evidenti, a cui si chiede pertanto di prestare fede, si ricava un’enorme quantità di teoremi, tra cui quello celebre, che ha assunto valore paradigmatico, che va sotto il nome di “teorema di Pitagora”.

 

Si tratta dunque non di parole in libertà, ma di una struttura rigorosamente logica, come se ne possono costruire numerose altre: si possono costruire diverse logiche, vale a dire differenti forme di procedure teoriche rigorose, tali cioè che, come il teorema di Pitagora, conducano a conclusioni coerenti con le premesse e escludano la loro negazione. Tuttavia, struttura logica rigorosa, di cui la formalizzazione matematica è l’espressione più compiuta, non equivale ancora a scienza, pur costituendone la premessa: scienza è, come dianzi si accennava, struttura logica rigorosa verificata sperimentalmente, vale a dire riproducibile. È, questo, il tratto fondamentale della scienza galileiana: è ciò che permette di stabilire se una determinata teoria descrive o no un fenomeno realmente esistente. Questa interessantissima ed estremamente sintetica esposizione di ciò che il grande fisico ci dà a mo’ di premessa, da un lato ci fornisce un chiaro criterio per distinguere tra ciò che è scienza e ciò che scienza non è (non è scienza l’astrologia – tanto per fare un esempio – giacché si basa su un presupposto, le costellazioni, distinti gruppi di stelle, che in natura non esistono, essendo solo frutto di illusione ottica – le stelle ci appaiono ferme solo perché sono lontanissime – ; né dalle stelle e dai pianeti, in ogni caso, si è scoperto sprigionarsi forze che influenzano i comportamenti umani),  dall’altro dà la misura di quanto la materia vivente e pensante (il risultato del terzo Big Bang) si differenzi dalla materia inerte e vivente ma non cosciente ed intelligente, ciò che ci autorizza a pensare che l’enorme salto qualitativo non può essere  frutto del caso, o del caos. Bastano queste considerazioni a farci capire, inoltre, come, a dispetto di una diffusa vulgata, la cultura dominante nella società attuale non è affatto moderna. Essa è, a giudizio di Zichichi, di fatto, pre–aristotelica in quanto ignora la logica rigorosa teorica (altrimenti detta “matematica”) e pre–galileiana dal momento che non ha ancora assimilato la logica rigorosa sperimentale (altrimenti detta “scienza”). Se lo avesse fatto, se nella cultura fosse invalsa la logica galileiana, tutte quelle teorie filosofiche come il comunismo scientifico avrebbero avuto vita breve e sarebbero state subito relegate nell’utopia, perché smentite dai fatti, cioè dall’esperienza (invece hanno fatto molti danni).

 

Questo vizio culturale di fondo fa sì che la Scienza venga ritenuta pressoché da tutti una disciplina da iniziati, difficile da padroneggiare, quando invece, a volerla frequentare seriamente, essa non è altro – a parere del nostro scienziato –  che lo sforzo per rendere semplice l’enorme complessità del mondo, e tutto questo nella consapevolezza, a fronte di una ricerca scientifica seria e intellettualmente onesta, che la sola intelligenza umana non è sufficiente a cogliere la logica che sottende il mondo, per la semplice ragione – aggiunge Zichichi con disarmante candore –  che Colui che lo ha fatto è più intelligente dell’uomo. Non è certo un caso che tutte le grandi scoperte scientifiche sono avvenute senza che nessuno avesse saputo prevederle, in modo del tutto inaspettato. C’è allora, a parere del grande fisico, un’unica strada per capire il mondo: porre domande a Colui che lo ha fatto, conclusione che potrebbe apparire ingenua ma che ingenua non è, e ricorda, sorprendentemente, un concetto già caro a Giambattista Vico (1668–1744), che sosteneva che solo Dio, che ha creato l’universo, ne può conoscere le vere leggi. Ed ecco allora Zichichi spiegare in Perché io credo in Colui che ha fatto il Mondo, uno stupendo libro in cui autobiografia intellettuale e passione didattica si fondono mirabilmente, quali sono e come agiscono le forze e leggi fondamentali che sono alla base di quella enorme complessità che chiamiamo “Mondo”, per poi ipotizzare come logica conseguenza l’esistenza del cosiddetto “Supermondo”. Lo fa con linguaggio rigoroso e semplice (per quanto sia possibile in una esposizione scientifica), ricorrendo, mano a mano che espone un concetto, ad esempi ed immagini tratti dalla realtà concreta che ci circonda, e con lo scopo, ricordato ad ogni piè sospinto, di mostrare come nel mondo, dall’universo subnucleare all’immenso cosmo, si possa intravedere una Logica. Il tutto è riconducibile a quella struttura a cui i fisici danno il nome di “Modello Standard” (grande paradigma scientifico del nostro tempo), che fa riferimento a sette Forze Elementari (che chiameremo anche “elementi”) e a quattro Leggi Fondamentali.

 

In riferimento alla Forze Elementari abbiamo: Spazio (con tre dimensioni: lunghezza, larghezza, altezza, tutte misurabili con la stessa unità di misura), Tempo; ma saremmo poco più di figure geometriche senza la Massa; ma saremmo solo delle statue senza Energia e Carica. A questo riguardo i fisici distinguono tra Carica di colore (ma non c’entra nulla con la vista), che genera la forza gravitazionale (che fa cadere le pietre dall’alto verso il basso, che tiene il nostro pianeta legato alla sorgente di luce e calore, il Sole, che tiene il Sole legato alle Stelle della nostra Galassia e le Galassie insieme a formare l’Universo, forza che possiamo definire, in qualche modo, lo scultore dell’Universo) e la forza elettromagnetica (senza la quale non ci sarebbe l’elettricità, la televisione, Internet, ecc.); le forze di Fermi (dette anche “forze deboli”), che permettono alle Stelle di avere una valvola di sicurezza che garantisce con estrema esattezza quanta «benzina» (i neutroni) deve essere prodotta ogni secondo affinché la stella non si spenga né salti in aria (questa valvola di sicurezza è la Carica Universale di Fermi, il cui valore è riuscito per primo a misurarlo un giovane Zichichi nel lontano 1961); e Carica di sapore (ma non c’entra nulla il gusto), che determina la stabilità della materia, che è fatta di massa e cariche subnucleari (basterebbero tre grammi d’acqua per produrre l’enorme quantità di energia che è occorsa per distruggere Hiroshima, perché la massa si può trasformare in energia).Per introdurre il settimo elemento, quello forse più affascinante, cosiddetto Spin (termine che in inglese vuol dire “movimento a trottola”), occorre rifarsi al grande salto qualitativo verificatosi nella ricerca scientifica negli ultimi 150 anni. A tale riguardo  l’espressione “elettromeccanica quantistica” riassume un’enorme quantità di scoperte in materia di elettricità, magnetismo e ottica, che nel 1873 il  già menzionato fisico e filosofo Maxwell (che in ordine ai rapporti tra Scienza e Fede si può considerare un precursore di Zichichi), a dimostrazione che tutti i fenomeni dell’elettromeccanica hanno una stessa origine, riesce, incredibilmente, a sintetizzare con sole quattro equazioni, che hanno resistito a tutte le rivoluzioni che la fisica ha dovuto affrontare nell’ultimo secolo e mezzo.

 

Quando ormai, a fine secolo, si pensava di aver scoperto tutto quello che c’era da scoprire, Joseph J. Thompson (1856–1940) scoprì il più piccolo pezzetto di elettricità, al quale nessuno aveva pensato prima, e lo chiamò “elettrone”. Immaginava che avesse la forma di una normale pallina, ma si sbagliava, giacché dopo trent’anni di studio si scoprì che era una pallina che gira attorno a sé stessa, una trottolina. La ragione di questa forma la comprese un altro fisico, Paul Dirac (1902–1984), che sintetizzò con un’equazione la grande novità di questo pezzettino di elettricità a forma di trottolina (da questa equazione – sia detto per inciso – incredibilmente, prende le mosse quello che Zichichi chiama “Il Super Mondo”, affascinante prospettiva a cui si accennerà di seguito). E quando Enrico Fermi, nel 1947, dopo la scoperta, nel cuore dell’atomo, nel 1932, del neutrone da parte di James Chadwick (1891-1974) – che per questo ricevette il premio Nobel – accarezzava l’idea che la fisica potesse essere vicina alla spiegazione del tutto, nessuno aveva ancora previsto l’universo subnucleare. Bisogna aspettare il 1964 con  Peter W. Higgs (1929–1924) per ipotizzare (potenza dell’intuizione!) l’esistenza di una particella a forma di pallina, quindi con spin pari a zero, vale a dire non dotata di movimento “a trottola” (come si era scoperto essere tutte le altre particelle subnucleari): il “bosone di Higgs”, che verrà denominato “La particella di Dio”, ciò che nulla ha a che fare, in questo caso, con l’esistenza di Dio, ma solo con la trovata pubblicitaria di un editore in riferimento alla grandissima difficoltà di scoprire questa particella. La scoperta, grazie alla potenza del più grande acceleratore di particelle mai costruito finora dagli esseri umani, il Large Hadron Collider, avverrà nel 2012 a Ginevra dopo una lunghissima e paziente ricerca a cui aveva indirettamente contribuito anche un ancor giovane Zichichi,

 

Il “bosone di Higgs” è una particella elementare (vale a dire che consiste solo di sé stessa) scoperta con massa immaginaria in una densità di energia pari a 140 GeV (che corrisponde a 140 miliardi di elettronvolt). Nella scoperta sono entrate in gioco, come specificato, la densità di energia (detta anche “lagrangiana” dacché Joseph-Louis Lagrange (1736–1813) intuì che per studiare un fenomeno il primo passo è formulare in termini matematici quale è la sua densità di energia) e la cosiddetta “massa immaginaria”, concetto, quest’ultimo, di fondamentale rilevanza nella struttura logica dell’universo. Il problema che Peter Higgs intese risolvere a partire dai primi anni sessanta del secolo scorso consisteva nel fatto che se per descrivere ciò che fanno i protoni, i neutroni e gli elettroni si prendeva in considerazione la massa reale, i calcoli non tornavano. Da qui l’idea di mettere nella densità di energia la massa immaginaria e scoprire che in questo modo le cose di cui è fatto il mondo acquistano «massa reale» senza che i calcoli saltino in aria. Quel bosone della cui scoperta tanto si è parlato non è la particella che dà la massa a tutte le altre, come spesso si è scritto, ma è la prova sperimentale dell’esistenza del meccanismo che nell’universo subnucleare dà origine alla massa, colmando un vuoto nella fisica delle particelle elementari e fornendo un importante tassello a quel Modello Standard, cui sopra si è fatto cenno, con il quale, nel campo della fisica, a partire dalla seconda metà del Novecento, si è cercato di unificare le forze che agiscono sia nella materia che nel cosmo. Se la “particella di Dio”, come è stato chiamato il “bosone di Higgs” nulla c’entra con la religione, come dianzi chiarito, è comunque il “materialismo scientifico” ad aver preso un’altra batosta. La prima batosta l’aveva presa quando Einstein aveva scoperto, come si illustrerà di seguito, che la massa dell’universo, fatta di stelle e galassie, è curvatura dello spazio-tempo. Ci sono voluti migliaia di anni per capire sia che massa e energia stanno in stretto rapporto, sia la differenza tra massa e materia.

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Lo si è capito solo a partire dal 1905, allorché si è scoperto, con la Teoria della Relatività Ristretta (‘relatività’ perché la teoria si basa sul concetto che il tempo, la posizione, e il movimento non sono assoluti ma relativi, cioè dipendono da chi osserva; e ‘ristretta’ –  o ‘speciale’ –  in quanto riferita al fatto che essa è valida solo per sistemi inerziali, ovvero dove – in omaggio alle leggi di Galilei – in assenza di forze esterne, ciascun corpo nei confronti dell’altro permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, cioè moto in linea retta e a velocità costante), teoria di Albert Einstein (1879–1955), espressa con la celeberrima equazione E = mc² (dove ‘E’ rappresenta l’energia totale di un sistema, ‘m’ la massa a riposo di un corpo, ‘c²’ la velocità della luce nel vuoto al quadrato), equazione semplice e rivoluzionaria che fissa un punto di arrivo di risultati sperimentali, e che indica – per dirla con estrema  semplificazione – che l’energia contenuta in un corpo costituisce la massa a riposo del corpo stesso. In altri termini, la massa di un corpo a riposo equivale alla sua energia potenziale. Fondamentale, nella teoria, nata per dare una spiegazione dei fenomeni legati all’elettromagnetismo, è la velocità della luce nel vuoto, che corrisponde a circa 300.000 chilometri al secondo, assunta come velocità costante, assoluta e insuperabile, e che diventa elemento decisivo per rendere la massa e l’energia equivalenti. Nella Teoria della Relatività Generale (‘generale’ in quanto riferita a corpi che si muovono a velocità differenti, come avviene nel cosmo con il sole e i pianeti), del 1915, Einstein si servirà, in relazione alla gravità, di ciò che aveva già acquisito nella “relatività ristretta”, vale a dire che Spazio e Tempo (come aveva scoperto teoricamente Hendrik A. Lorentz (1853–1928) studiando le famose quattro equazioni con le quali Maxwell, come si è visto, aveva sintetizzato la realtà elettromagnetica) non sono realtà assolute e separate (un pezzo di tempo e un pezzo di spazio, come Immanuel Kant – 1724/1804 – , il più grande filosofo della modernità, aveva sostenuto sulla scia di Isaac Newton – 1643/1727 – ), ma relative, e costituiscono, nell’universo, un’unica struttura, quella dello Spazio-Tempo.

 

Per avere un’idea di questa sorprendente realtà del mondo fisico, giovi ricordare che la vecchia kantiana distinzione tra spazio e tempo poggiava sulla convinzione che non poteva sorgere alcun equivoco quando si diceva che due eventi in punti lontani nello spazio avvenivano nello stesso istante, e in conseguenza di questa convinzione si riteneva che si potesse descrivere una topografia dell’universo in un dato momento in termini puramente spaziali. Alla luce dell’attuale visione dell’universo, con le sue dimensioni inimmaginabili, questo appare irrealistico, giacché la simultaneità degli eventi si è capito essere un fatto relativo a un particolare osservatore. Detto in altri termini, quello che per un osservatore è una descrizione dello stato dell’universo in un dato istante, per un altro osservatore è una serie di eventi che si verificano in momenti diversi e le cui relazioni non sono soltanto spaziali ma anche temporali. Insomma: in una prospettiva cosmica, ‘prima’ e ‘dopo’ sono concetti relativi. In uno stesso momento, non esiste nulla di simile per due diversi osservatori, a meno non siano fermi l’uno relativamente all’altro. In una prospettiva cosmica dire “adesso” non ha alcun senso: è un’espressione illusoria, che nasce da un’estrapolazione arbitraria della nostra esperienza, quella di un “presente” che non si estende molto più in là del nostro pianeta. Per determinare una posizione o un evento nello spazio, c’è dunque bisogno di quattro misure, le tre dello spazio (lunghezza, larghezza, altezza) più quella del tempo. Ecco perché è appropriato parlare di spazio-tempo: il ‘dove’ e il ‘quando’ sono due facce della stessa medaglia. Nella visione di Einstein la massa non è altro che curvatura di spazio-tempo, nel senso che la presenza di una massa (nel sistema solare quella del sole è di gran lunga la predominante) curva, cioè deforma, lo spazio-tempo, come una biglia di vetro in una superficie morbida: nulla, all’apparenza, di più astratto,  ma che avrebbe potuto ricevere conferma sperimentale dal fatto che, in omaggio alla teorizzata curvatura dello spazio, la luce di una stella, che viaggiando nello spazio è destinata a seguirne le curvature, in prossimità del sole avrebbe subìto una deviazione a motivo della curvatura prodotta dalla massa del sole, in modo che sulla Terra un osservatore, per un’illusione ottica, avrebbe visto la stella da cui proveniva la luce in una posizione diversa rispetto a quella reale, con uno scostamento calcolato da Einstein con esattezza. Una predizione, quella del grande scienziato tedesco, che bisognava comunque provare.

 

Nel 1919, circa quattro anni dopo la pubblicazione della Teoria delle Relatività Generale, che, come tutti i cambiamenti di “paradigma” scientifico, incontrava grande scetticismo presso gli addetti ai lavori, una eclissi solare totale offrì l’occasione della verifica sperimentale. A tale scopo, l’astrofisico inglese Arthur Heddington (1882–1944) organizzò una spedizione nell’Isola di Principe, al largo delle coste africane, da dove il fenomeno si sarebbe potuto osservare in condizioni ottimali. Conoscendo, per osservazioni fatte di notte, la posizione delle stelle in quel periodo dell’anno nella porzione di cielo in cui il sole sarebbe “transitato”, l’oscuramento del sole per effetto dell’eclissi avrebbe consentito di vedere il cielo scuro dietro il disco solare e quindi di fotografare le stelle circostanti e poter così rilevare con precisione lo scostamento della loro posizione apparente rispetto a quella reale conosciuta e calcolare la misura della deviazione della luce. I calcoli fatti da Heddington e dai suoi collaboratori si rivelarono in linea con quelli teorici di Einstein. Fu così che la teoria della relatività generale divenne popolarissima. Ad essa sarebbero venute altre significative conferme sperimentali. Con Einstein lo Spazio non è più uno scatolone vuoto contenente materia, ma è esso stesso materia, che ondula, si flette e s’incurva; e la forza di gravità e lo spazio-tempo sono la stessa cosa. Le orbite dei pianeti attorno al sole sono dunque il risultato della curvatura (o deformazione che dir si voglia) creata nello spazio-tempo dalla massa della nostra stella, ciò che evoca l’immagine del sistema solare come di un gigantesco imbuto dilatato la cui natura curva delle pareti fa ruotare le “palline”, vale a dire i pianeti. Con la teoria della relatività generale di Einstein, dunque, la gravità di Newton, da misteriosa forza di attrazione diventa, in qualche modo, geometria: un effetto di curvatura dello spazio-tempo legato alla presenza di una massa, ciò che aprirà allo studio dell’universo orizzonti fino ad allora imprevisti e imprevedibili. Se Colui che ha fatto il Mondo – osserva a questo riguardo con sottile ironia Zichichi – si fosse basato sulle idee di Kant sullo spazio, non sarebbe potuta esistere in alcun modo la vita, che invece esiste perché, sulla base delle sopra descritte caratteristiche dello spazio e del tempo, la massa si può trasformare in energia, ciò che ci autorizza a pensare che non siamo figli del caos.

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Le Leggi Fondamentali della Natura sono:  l’insieme delle tre summenzionate Forze, vale a dire la Forza Gravitazionale, che, alla luce della scoperta di Einstein, si può definire “la scultura dell’Universo”; la Forza Elettrodebole, che risulta dalla miscela delle Forze Elettromagnetiche, alla cui funzioni essenziali si è già accennato, e le richiamate Forze di Fermi, dette Deboli (che costituiscono la valvola di sicurezza che impedisce che il Sole non si spenga né salti in aria), miscela resa possibile, come si è dianzi accennato, dall’esistenza di quella massa  immaginaria di cui nessuno, fino a poco tempo fa, poteva supporre l’esistenza; la Forza Subnucleare forte, quella forza che nel nucleo dell’atomo tiene insieme i protoni e i neutroni, che potremmo definire “colla nucleare” (scoperta nel 1947), senza la quale, infatti, a causa dell’interazione elettromagnetica, che tende ad allontanare i protoni (carichi positivamente) dai neutroni (senza carica), il nucleo non potrebbe esistere (giova ricordare che nel cuore del nucleo dell’atomo si è scoperto un vero e proprio universo, governato dalle stesse leggi dell’universo cosmico); più le Tre Colonne Fondamentali (vale a dire le tre famiglie di particelle elementari, in ciascuna delle quali è presente un quark e un leptone).

 

Le frontiere della nostra conoscenza del cosmo sono ormai tali che Zichichi si sente autorizzato ad affermare che esiste ciò che egli chiama “Il Supermondo”, che può suonare fantascienza ma che è invece, a parere del grande scienziato, il futuro della fisica moderna, un salto epocale dell’intelligenza umana, una scoperta che diventa a suo avviso necessaria se si vuole far diventare realtà il sogno dell’umanità di tutti i tempi, vale a dire che il mondo nasce da una sorgente comune, ciò che comporta l’Unificazione di tutte le Strutture e Forze Fondamentali a cui si è accennato in precedenza. Questa visione scientifica si fonda sull’idea che se non esistesse questo “Supermondo”, se non fosse possibile questa Grande Unificazione, non si potrebbe spiegare l’esistenza di quelle sette forze naturali che ci sono oggi note e di cui si è parlato, che sono presenti sia nel mondo cosmico che in quello subnucleare, e che obbediscono alla stessa Logica. Tutto muove da quella Fisica virtuale nata nel 1932 con la scoperta della “polarizzazione del vuoto” (ciò che all’apparenza sembra un paradosso), che consiste nel fatto che un fotone (un quanto di luce) produce una coppia di elettrone–antielettrone che si annulla e ridiventa fotone: un fenomeno di quella realtà virtuale che la fisica moderna è chiamata ad indagare, e per la quale Zichichi usa l’immagine di un uomo nel deserto che parla con sé stesso. Ebbene, oggi, a parere di Zichichi, tutte le frontiere della fisica sono nella realtà virtuale, fatta di fenomeni invisibili, che non possono essere, per definizione, osservati in modo diretto, e tuttavia danno luogo ad effetti misurabili e riproducibili. Il “Supermondo” non è, dunque, nella visione del Nostro, un’ipotesi fantasiosa, ma la conseguenza logica dello studio rigoroso finora condotta dalla scienza sulla natura, e della cui necessità egli è in grado di fornire la formalizzazione matematica.

 

Coerentemente con questa impostazione, si può – ad avviso dello scienziato – così argomentare: se esiste “la particella di Higgs”, non potrebbe esistere la “Super particella di Higgs”? Se le dimensioni di quella realtà virtuale, vale a dire non visibile, che è il “Super Spazio” non sono quattro (le tre dimensioni dello Spazio – lunghezza, larghezza, altezza – più il Tempo) ma, forse, quarantatré (ciò che si può non solo ipotizzare ma formalizzare matematicamente, cioè in maniera rigorosamente logica), siamo autorizzati a chiederci: se esiste il “Super Spazio”, perché non dovrebbe esistere il “Super Mondo”? E se esiste il “Supermondo” il primo esempio potrebbe essere, per l’appunto, l’ipotizzata “Super particella di Higgs”. Siamo in attesa di conferme sperimentali, anche se ci vorranno, come per la particella di Higgs, molti anni. Ma Zichichi non demorde: è un uomo senza tempo…Si tratterebbe, come per altre scoperte delle scienze della natura, di trasferire l’astratta ma rigorosa evidenza matematica nella concreta realtà fisica, rimanendo, in ogni caso, nell’Immanenza, non disturbando l’aldilà. Paradossalmente, quel che sappiamo del mondo fisico è molto più astratto di quanto non si potesse supporre. A chi però dovesse lamentare l’inutilità delle scoperte della fisica moderna, bisognerebbe ricordare che da questa astrazione ci viene una grande potenzialità pratica. Una delle tante scoperte fatte dal grande fisico siciliano è aver dimostrato che il protone – che insieme al neutrone, suo fratello gemello sia pure con carica elettrica neutra, costituisce il nucleo dell’atomo – che era stato considerato, al pari dell’elettrone, una particella elementare, ossia fatta solo di sé stessa e quindi priva di struttura, possiede in realtà una struttura cosiddetta “tipo tempo”.

 

Il protone e il neutrone, che insieme all’elettrone costituisce il tessuto dell’intera realtà della materia, contengono invisibili universi subnucleari, ciò che nessuno aveva mai previsto e che ha aperto alla mente umana orizzonti impensabili fino a pochi decenni fa. Si è tentati di dar ragione a Gottfried W. Leibniz (1646–1716), filosofo e matematico geniale, quando pensava che un pezzo di materia in realtà è una colonia di anime. La ricerca sulla fisica delle particelle mette in crisi, insieme al linguaggio ordinario, lo stesso senso comune: si parla, come abbiamo visto, di “massa immaginaria”,  “polarizzazione del vuoto”, “struttura tipo tempo”. Chi avrebbe potuto anche solo immaginare che le particelle di cui è fatta una sola goccia d’acqua fossero sorgenti inesauribili di fenomeni nuovi e di leggi rigorosissime? E chi avrebbe mai potuto concepire che le stelle si sarebbero potute studiare grazie all’indagine condotta su quell’universo subnucleare che sta dentro di noi, così come dentro di noi sta quella realtà strabiliante chiamata Supermondo a cui si è accennato? Il modo in cui queste nuove frontiere della fisica moderna si pongono con il tema del rapporto tra Scienza e Fede diventa, come si può facilmente immaginare, questione di capitale importanza. La complessità che esse evocano è tale che ci lasciano intravedere una realtà che l’intelligenza è in grado di cogliere e persino di formalizzare matematicamente in quanto logicamente consequenziali alle leggi fondamentali conosciute e studiate, ma che le categorie mentali umane, figlie dell’universo quadridimensionale, non riescono a rappresentare. Questo ci ricorda che la vera scienza non aspira a stabilire verità ultime e immutabili ma il suo obiettivo è di avvicinarsi alla realtà del mondo fisico con successive approssimazioni.

 

C’è, in ogni caso, materia più che sufficiente per credere che non possiamo essere figli del caso. Se fossimo figli del caso, o del caos, non potrebbero esistere le leggi fondamentali della natura, testè richiamate, che sono patrimonio del sapere scientifico e che, come si può evincere già da una loro sommaria illustrazione, obbediscono ad una precisa logica, cioè ad un coerente e ordinato svolgimento. C’è dunque una logica nella complessità, e il tutto non può non rimandare ad un autore. Altro che materialismo! Esso è smentito dalla complessità della materia: siamo in presenza di un’affascinante ricerca, quella della fisica moderna, che si configura come una metafisica della materia, o, meglio, una scienza che può fornire delle basi solide ad una nuova filosofia della natura, e che più della metafisica classica può rendere conto della grande complessità del mondo. Si può concludere che conosciamo troppo la materia per poter essere materialisti. E siamo appena agli inizi: nessuno scienziato può dire dove porterà quel gran libro aperto da Galilei circa quattro secoli fa.

 

Alla luce delle conquiste della fisica moderna, il materialismo, storico o scientifico che si voglia, appare come la negazione stessa della scienza. Del resto, come lo stesso Zichichi spesso ricorda, se non esistesse la Trascendenza, (cioè se avessero ragioni gli atei), e tutto si esaurisse nella sola dimensione dell’Immanenza, le massime conquiste della ragione rimarrebbero, in ogni caso, come abbiamo visto, la logica rigorosa teorica (la matematica) e logica teorica sperimentale (la scienza). Ma allora chi nega la Trascendenza, potendosi servire di queste due logiche rigorose dell’Immanenza, dovrebbe poter dimostrare – dimostrare in forma di teorema, o di scoperta scientifica, non semplicemente esprimere un’opinione! – che Dio non esiste, cosa che a nessuno è mai riuscito di fare, a meno che non si voglia sostenere che quell’idea di Infinito e di Assoluto che siamo in grado di concepire senza contraddizione e che avvertiamo (tutti, più o meno intensamente) ce la siamo data da noi stessi come illusoria autoconsolazione (ma sarebbe comunque un’illusione propria della nostra specie e l’idea della Trascendenza frutto del terzo Big Bang) e non ci viene invece da qualcun Altro, come impronta indelebile che il Creatore ha voluto lasciare nella mente della creatura perché lo cercasse e lo riconoscesse. Immaginare che dalla materia inerte di uno sperduto pulviscolo dell’immenso Cosmo possa esserci sprigionata per caso una coscienza in grado di comprendere le leggi dell’Universo è atto di fede superiore ad ogni fede in un Dio creatore.

 

Alla luce di questa ragionevole conclusione, è lecito pensare che l’ateismo, che è la negazione della sfera della Trascendenza della nostra esistenza, non è un atto di ragione, come pretende di essere, giacché ancora nessuno è riuscito a dedurre le Leggi Fondamentali della natura dal caos. L’ateismo è, semmai, un atto di fede: di fede nel nulla.

Le basi dell’ateismo sono dunque deboli e incerte. Esso muove assai spesso più da motivi psicologici che razionali (“Dio non esiste, godetevi la vita!’’ recitava pressappoco un manifesto fatto affiggere qualche anno fa da un’associazione di atei negli autobus di Londra). Zichichi sempre conclude le sue appassionate conferenze invitando i giovani ad essere ambasciatori della Scienza e testimoni della Fede. Nella quarta di copertina del più volte citato Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, si leggono due frasi che ben riassumono il suo pensiero: “Nata con un atto di fede nel creato, la scienza non ha mai tradito il suo padre. Essa ha scoperto – nell’Immanente – nuove leggi, nuovi fenomeni, inaspettate regolarità, senza però mai scalfire, anche in minima parte, il Trascendente” e “Non esiste alcuna scoperta scientifica che possa essere usata al fine di mettere in dubbio o di negare l’esistenza di Dio”. La Scienza è dunque la più grande conquista della ragione nella sfera dell’Immanenza, la Fede è la più grande conquista della ragione nella sfera della Trascendenza e la materia vivente alla quale apparteniamo, risultato del terzo Big Bang, è una straordinaria simbiosi di queste due dimensioni.

 

Il cardinale J.H. Newman (1801–1890), un convertito al cattolicesimo, amava ripetere che se un po’ di cultura ci allontana da Dio, molta cultura (e molta scienza, in questo caso) vi ci riavvicina. Zichichi, prima ancora che un professore, è un maestro: preciso ma non pedante, spesso ironico ma mai sprezzante, distaccato nel tono della voce ma percorso da passione intellettuale fin da quel suo sguardo pieno di luce mediterranea. Più volte presente nella nostra terra d’Abruzzo, si ricorda una memorabile conferenza tenuta all’Aquila nell’Aula Magna della facoltà di Ingegneria il 10 ottobre 2019, nonché la sua visita a San Pietro della Ienca, dove, nella sua qualità di  presidente del World Scientist Foundation, l’11 agosto 2013 ricevette dalla mani di Pasquale Corriere, presidente dell’Associazione “San Pietro della Ienca”, il Premio Internazionale “La Stele della Ienca”, e dove, all’ombra rassicurante del santuario dedicato a San Giovanni Paolo II, toccando i temi che gli sono cari di Scienza e Fede, incantò letteralmente il pubblico presente.

 

Il grande scienziato ha più volte affermato, con la chiarezza che lo contraddistingue, che il cattolicesimo (la religione di Giovanni Paolo II e di Galilei) è la religione che più di ogni altra, attraverso i secoli, ha indagato nella sfera della Trascendenza. Si può affermare che il pensiero teologico cattolico sta allo spirito come la fisica moderna sta alla materia.

A questo straordinario uomo di scienza e di fede L’Aquila, e in particolare il paese di Assergi, devono molto. È stato il principale ideatore e artefice, a partire dai primi anni Ottanta, dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, realizzati in tempi rapidi anche grazie al fattivo interessamento di chi allora dirigeva la politica regionale. Si tratta del più grande centro sotterraneo del mondo in cui si realizzano esperimenti di fisica e astrofisica delle particelle e astrofisica nucleare. Posti a 1.400 sotto lo strato roccioso della montagna, i laboratori sono utilizzati da scienziati provenienti da tutto il mondo, impegnati in vari esperimenti internazionali. La montagna sovrastante, fungendo da schermo per la maggior parte dei raggi cosmici e riducendo così il rumore di fondo, assicura le particolari condizioni di “silenzio cosmico” che consentono di studiare i neutrini, così chiamati da Enrico Fermi (e già intuiti dal geniale Ettore Majorana) non perché sono i figli dei neutroni (nell’universo le parentele funzionano diversamente), ma perché sono particelle subnucleari dalla carica neutra, come i neutroni, ma dalla massa piccolissima e quindi in grado di attraversare indisturbate il cosmo facendo giungere fino a noi preziose informazioni sulla struttura di quelle gigantesche “candele a fusione nucleare” che sono le stelle (all’interno delle quali garantiscono il sistema di raffreddamento evitando che esplodano), nonché altre particelle che interagiscono debolmente con la materia riuscendo ad arrivare fino ai laboratori. Sarebbe auspicabile che il Comune dell’Aquila conferisse a questo grande fisico la cittadinanza onoraria.

 

Al termine di questa sommaria ricostruzione del pensiero di uno tra i più grandi scienziati viventi, che non si è visto spesso in televisione, forse perché non allineato al pensiero laicista dominante nella cultura italiana, piace allo scrivente, nato e cresciuto all’ombra del Gran Sasso, ricordare, anche per smentire la diffusa convinzione che tra gli uomini di scienza è raro trovare dei credenti, le parole riferite da Don Demetrio Gianfrancesco (1922–2004), parroco di Assergi, il quale, chiamato il 3 ottobre 1965 a benedire l’Osservatorio Astronomico di Campo Imperatore che in quel giorno si inaugurava, si sentì dire dal professor Massimo Cimino (1908–1991), siciliano anche lui, insigne astrofisico allora direttore dell’Osservatorio di Monte Mario, da cui quello del Gran Sasso dipendeva, queste parole: “Abbiamo bisogno di una bella benedizione, perché, senza l’aiuto di Dio, noi non possiamo far niente”. Quella cattolica è, tra tutte le fedi religiose, quella che ha dedicato la massima attenzione alla sfera trascendente dell’esistenza umana in termini di indagine razionale, filosofica e teologica. In questo nostro tempo di confusione morale, Zichichi ci ricorda che il motore del progresso è la scoperta scientifica, ma senza la fede in Colui che ha fatto il mondo, nessuna autentico progresso è possibile. In questa prospettiva, c’è bisogno di preparare appassionati ambasciatori di Scienza e credibili testimoni di Fede. Auguriamo ad Antonino Zichichi altri 100 anni di vita e di pensiero fecondo. Ci guadagnerà sia la Scienza sia la Fede, che, come questo modesto scritto ha forse contribuito a mostrare, sono entrambe doni di Dio destinati ad albergare nel cuore di quanti cercano la Verità.

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