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IL BACHA BAZI FRA IL PEGGIO DEL MONDO

Nel breve romanzo filosofico Candide ou l’Optimisme (1759 prima edizione francese e poi anche italiana) Voltaire, scrittore e filosofo dell’Illuminismo, con ironia mescola tragedia e commedia sfatando ogni dottrina ottimistica, a iniziare da quella di Leibniz. Attraverso una serie di eventi e di esperienze negative il protagonista Candido deduce infatti che in questo mondo, predisposto ad essere il migliore dei mondi possibili, le cose non potrebbero andare diversamente.                                                 Varie opinioni negative sul Candide dalla sua prima pubblicazione, ma a noi sembra di poter accogliere il giudizio del critico e psichiatra svizzero Jean Starobinski: quella di Voltaire è una ragione critica che denuncia le disgrazie umane con il riso per evitare il pianto. Ciò che vuole Voltaire per ogni evento e comportamento è quindi la reazione intellettuale, non emotiva, anche quando annuncia, a esempio, la crudeltà che accadeva durante la guerra alle fanciulle “sventrate dopo aver appagato i bisogni naturali di alcuni eroi”, sia prussiani sia francesi.                                                                                                                         Il volteriano migliore dei mondi possibili è quello che, nonostante i secoli trascorsi e la prosopopea della civiltà, continua l’umanità a vivere, anche perché da sempre è deficitaria quella posizione netta contro il male perché possa essere ridimensionato.                     E la politica non è etica, né quella interna, né la estera, chiude un occhio e pure due al fine di evitare complicazioni. Così anche quanti condannano le disumanità finiscono con l’avere le loro pecche, e la giustizia, qualora la si voglia attuare, si presenta tuttalpiù dimezzata.                                                                                                                                 E’ quel che da sempre accade nei rapporti fra gli Stati, dominanti e dominati, pur quando, per ideologie inaccettabili, i dominatori vengono considerati tutori della giustizia che, sotto tanti aspetti, come suol dirsi, fa poi acqua. La politica non può infatti essere etica perché è l’arte del compromesso.                                                                                           In questo ultimo tempo le scene degli afghani di ogni età in cerca di fuga dalla loro terra, gli scatti puntati soprattutto su bimbi piangenti in braccio a madri disperate, sulle vittime degli attacchi terroristici smuovono gli animi, anche i più insensibili.         Si vive lì, ma non solo lì, la barbarie, si rimpiange pertanto chi ha deciso di andare via dopo vent’anni.                                                                                                                               Ma fino a che punto poteva, con la presenza degli USA, essere posta in atto la giustizia? La si poteva attuare eliminando, a esempio, la pratica del Bacha Bazi , un’atroce pratica secolare che annulla la libertà di avere una propria identità, contraria anche alla Sharia e al Codice Civile Afghano? Una pratica antica sui “bambini per gioco”, rapiti e sfruttati sessualmente da adulti di ogni età, costretti ad abiti femminili e a truccarsi, a danzare e cantare, a subire ogni forma di violenza.           E’ continuata la pratica del Bacha Bazi nei vent’anni di permanenza degli USA, pure tra le milizie afghane che erano state reclutate per tenere il territorio contro i talebani.                 E i militari statunitensi? Come leggiamo in una pagina del New York Times, “ai soldati statunitensi è stato detto di ignorare gli abusi sessuali sui ragazzi da parte degli alleati afghani”.                                                                                                                Sì perché alcuni di essi, giustamente indignati da quanto avveniva, si scontravano con i leader delle milizie afghane. Si scontrò anche il capitano Dan Quinn, cui si unì il sergente Martland, contro un leader afghano che teneva incatenato al letto un ragazzo suo schiavo sessuale, ma venne subito sollevato dal comando delle forze speciali e rimpatriato, e la stessa sorte subì il sergente.                                                                     C’erano dunque quelli che ritenevano di non dover stare a guardare le atrocità commesse sui ragazzi, ma la politica chiedeva che non dessero lezioni di diritto.                                                                                                                            Il capitano e il sergente sopra citati non erano i soli a indignarsi, anche altri, come il marine Gregory Buckley Jr., vittima alla base il 2012. Aveva per telefono detto al padre di essere preoccupato degli abusi sessuali di ragazzi e, al padre che gli consigliava di riferire ai suoi superiori, annunciava poi che da costoro gli era stato consigliato “di guardare dall’altra parte perché quella era la loro cultura”.                                          Stupro e violenza venivano ritenuti questione di diritto penale nazionale afghano, non dovevano pertanto interessare, non erano un’arma di guerra, bisognava quindi adottare il non intervento “per mantenere buoni rapporti con la polizia e le milizie afghane”.  E si considerava inoltre che faceva parte della tradizione locale, come il rapimento di fanciulle costrette al matrimonio e tanti altri soprusi su soggetti deboli. Senza dire della sottrazione di organi, anche vitali, per cui si destinavano i fanciulli alla morte, di comportamenti predatori dei comandanti afghani che fuggivano con il salario dei loro uomini, di quelli che ammazzavano le figlie, delitti definiti d’onore.                                                                                                                                            Tra pandemie, cataclismi, stragi, soprusi, violenze e corruzioni prosegue il migliore dei mondi possibili, nei secoli non muta.

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Antonietta Benagiano

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